A] L’importanza di Ernesto Sestan (Trento 1898- Firenze 1986) e della sua opera Venezia Giulia. Lineamenti di storia etnica e culturale, (p. e. Edizioni italiane, Roma 1947; a questa si farà qui riferimento nelle citazioni dei numeri di pagina. Esiste una ristampa a cura di Giulio Cervani, edita ad Udine, 1997, dalla casa editrice Del Bianco) nell’abbondante storiografia riguardante la regione suddetta è dovuta ad almento tre fattori.
Anzitutto, Sestan è stato uno storico di prim’ordine (su questo autore, cfr. G. Cherubini, Ernesto Sestan, "Archivio Storico Italiano", CXLIII, 1985, pp. 521-563), un medievista e modernista di spicco nell’intellettualità italiana ed europea, per molti anni docente dell'Università degli studi di Firenze, direttore della Deputazione di storia patria per la Toscana, segretario della Reale Accademia d’Italia, direttore della “Rivista storica italiana” di Roma, responsabile di corsi tenuti a Pisa alla Normale ecc. Gli studi sulla storia giulio-veneta sono piuttosto numerosi, ma assai spesso, per non dire solitamente, preparati da studiosi estranei all’ambito accademico: giornalisti, storici autodidatti ecc. Ciò non significa naturalmente escludere a priori il loro valore, ma semplicemente porre una pur approssimativa gerarchia fra l’autorevolezza che si può riconoscere ad uno storico della statura di Sestan ed altri, magari bravi e bene informati, però magari privi dell’esperienza e delle conoscenze per la produzione d’opere d’un dato livello. Un esempio di questo è Attilio Tamaro, il quale, pur storiografo non mediocre, (soprattutto con la Storia di Trieste, 2 voll. Alberto Stock editore, Roma 1924), presenta tuttavia dei limiti piuttosto evidenti, a cominciare da una certa partigianeria e da una difficoltà di sintesi e strutturazione dell’abbondante materiale raccolto.
Inoltre, lo scritto in questione di Sestan costituisce per molti aspetti un punto di riferimento obbligato per tante ricerche che si sono sostenute in seguito, insomma costituisce un piccolo “classico” nella letteratura scientifica sulla Venezia Giulia, come riconosce Anna Maria Vinci, docente di contemporaneistica all’università di Trieste. Guido Crainz, nel suo Il dolore e l'esilio. L'Istria e le memorie divise d'Europa (Donzelli 2005), parte nella sua indagine sulle “memoria divise” d’Italiani e Slavi della Venezia Giulia da un passo di Sestan (nella regione giulio-veneta "nazionalismi feroci ed esasperati in una lotta senza quartiere in cui gli uni finivano col pareggiare, anche moralmente, gli altri", per poi concludere che "I termini del conflitto trascendevano, nei loro motivi più profondi, il modesto ambito della vita regionale e si ispiravano alle correnti di idee e di passioni che fanno così feroce l'Europa contemporanea"), con cui in pratica questi suggella il suo scritto sulla storia giulio-veneta. In tal modo, Crainz può idealmente intraprende il proprio percorso là dove Sestan lo aveva interrotto, a partire dagli scontri ed i massacri culminati nell’esilio degli Italiani. Anche gli storici che pure si sono poi mostrati per certi aspetti critici verso alcune posizioni sestaniane, come Angelo Ara [da poco mancato, professore di storia moderna all’università di Pavia, amico e collaboratore di Claudio Magris, professore di letteratura tedesca all’università di Trieste, col quale ha condiviso un orientamento culturale rivolto all’analisi della “Mitteleuropa” e sostenitore del carattere specificamente plurale e “di frontiera” della Venezia Giulia e di Trieste, che può essere compreso solo ponendolo all’interno di quella sorta di agorà che è stata la Mitteleuropa] pure non hanno mancato di confrontarsi col suo pensiero (ad esempio, fra i molti scritti di Ara, cfr. A. Ara, Ernesto Sestan tra Veneti e Slavi, R.S. I., XCVIII, 1986, pp. 757-93). In altri termini, sia per chi si pone come suo erede e continuatore, sia per chi cerca strade diverse, il raffronto con lo studio di Sestan è opportuno.
Ancora, non si deve neppure trascurare la storia personale di tale storico. Questi era figlio d’un impiegato delle poste trentino, quindi un pubblico funzionario asburgico, trasferitosi poi in Istria. Nato in Trentino, Ernesto Sestan, nato in Trentino, crebbe nella terra istriana, ad Albona. La sua formazione culturale fu senza dubbio italiana, ma altresì con un’impronta mitteleuropea, tanto che egli parlava della sua preparazione intellettuale come “italo-austriaca”. Il titolo stesso della sua autobiografia è decisamente indicativo, prendendo il nome di Memorie di un uomo senza qualità [Memorie di un uomo senza qualità, Firenze 1997, di cui qui sono utili specialmente le pp. 142 sgg.], con chiaro riferimento al celebre romanzo di Musil, (fra l’altro) ritratto immortale dell’impero asburgico al suo tramonto. Sestan partecipò alla Grande Guerra, ma nell’esercito imperial-regio, anzi iniziò studi di storia (ancora giovanissimo, al momento provvisto soltanto del diploma liceale) proprio nel fatidico autunno del 1918, fine di un’epoca ed apertura di un’altra. Nonostante i sintomi disgregatori dell’Austria imperiale fossero ormai tangibili, pure egli ritornò alla sua unità nell’ottobre del 1918, dopo una breve licenza trascorsa a Trento, partecipando dalla parte dei vinti alla battaglia di Vittorio Veneto, che segnò la fine della dinastia asburgica e del suo plurisecolare impero. Eppure, Sestan si considerava italiano, tanto da esultare della vittoria dell’Italia e della prossima riunificazione di Trento e Trieste alla madrepatria. Questo però non gli impedirà di sostenere, anni più tardi, ormai maturo ed affermato storico, partecipando ad un convegno sulla figura del celebre irredentista Cesare Battisti, che il primo conflitto mondiale è stato sia l’ultima guerra del Risorgimento ovvero l’ultima guerra d’indipendenza, ma anche un’espressione del nazionalismo imperialista, estraneo agli autentici ideali risorgimentali [E. Sestan, Cesare Battisti tra socialismo e interventismo, in: Atti del Convegno di Studi su Cesare Battisti. Trento–Firenze 1979, p. 53]. Durante il secondo conflitto mondiale, Sestan fu un partigiano, ma cercò d’opporsi all’espansionismo slavo e marxista alle frontiere orientali d’Italia. La Premessa che egli pone all’opera qui analizzata, Venezia Giulia, ricorda come egli, originario d’Albona, ove riposano le salme dei suoi genitori, non intenda avanzare alcuna rivendicazione, ma soltanto ricordare una regione ormai perduta di cui egli era membro, cosicché dedica lo scritto «alle ceneri dei miei vecchi, là nel cimitero di Albona, queste brevi pagine di una storia che continua».. La vicenda umana di questo grande storico favorisce la sua comprensione della storia giulio-veneta, ma al tempo stesso lo preserva da spirito di parte e faziosità, anzi pare quasi compendiare nella sua personale biografia larga parte della vicenda degli Italiani giulio-veneti nel Novecento, dal dominio asburgico all’unione con l’Italia, all’esilio.
B] La struttura dell’opera di Sestan sulla Venezia Giulia è la seguente, coi riferimenti ai numeri di pagina sulla base dell’edizione originale:
Avvvertenza (pp. 7-8)
Premessa (pp. 9-11)
- La romanizzazione (pp. 11-17)
- Il trapasso dalla romanità alla italianità (pp. 17-30)
- L’infiltrazione germanica (pp. 30-37)
- L’espansione e la importazione slava (pp. 38-49)
- L’opera di Venezia (pp. 49-71)
- Ripresa germanizzante asburgica (pp. 72-82)
- L’ascesa degli Slavi (pp. 82-95)
- La difesa degli Italiani (pp.95-103)
- L’unione all’Italia e la politica del Fascismo verso gli Slavi (pp. 104-124)
Nota bibliografica (pp. 125-136)
Dopo la Premessa, in cui spiega le ragioni umane che lo hanno condotto alla stesura di quest’opera, con la già ricordata dedica ai suoi genitori sepolti ad Albona, segue l’Introduzione, nella quale egli precisa finalità e limiti della sua ricerca, rivolta essenzialmente alla storia politica e culturale della Venezia Giulia, secondo la prospettiva storiografica prediletta da Sestan, che pure non trascura, in questa ed in altre opere, dati economici e sociali.
Entrando poi nell’argomento, nel capitolo I egli spiega accuratamente come la regione in questione, parte della romana Venetia-Histria, fosse interamente romanizzata già ai tempi di Augusto, anzi la romanità si estendeva in epoca imperiale ben oltre il confine geografico del Monte Nevoso, con la latinizzazione dell’antistante Illiria. Ernesto Sestan quindi può concludere “che la romanità dell'Istria, per la profondità delle sue radici, per la durata nel tempo non è punto diversa ne di qualità deteriore rispetto alla romanità delle altre terre dell'Italia settentrionale,” interamente latinizzate (Ibidem, p. 17).
Il capitolo II descrive il passaggio, graduale e continuo, dalla “romanità” alla “italianità”, o, se si preferisce, dai “Romani” ai “romanici”. La conscientia sui nazionale dei giulio-veneti nel Tardo Antico s’innesta su quella d’epoca della Roma imperiale, e la prosegue. (Ibidem, pp. 28-29).
Il capitolo III, in cui parla delle presenze germaniche in Venezia Giulia, ne rileva implicitamente il ruolo minoritario sotto gli aspetti demografico e culturale, anche se assai rilevante sotto quello politico.
Il capitolo IV passa a parlare dell’arrivo degli Slavi, a partire dai loro primi, timidi ingressi in terra giulio-veneta alla fine del VI secolo d.C, principalmente con semplici incursioni militari, oltretutto respinte. Sestan annota la lentezza della colonizzazione slava ed il carattere non lineare del suo processo. Gli Slavi giunti in Friuli ed in Istria nel VI-VII secolo vengono poi in gran parte riassorbiti all’interno della popolazione latina, tanto che le fonti non segnalano la loro presenza dal IX al XI secolo in terra friulana, e dal IX al XII in quella istriana. Anche a voler rifiutare i semplici dati documentari e letterari, resta il fatto che la popolazione slava nell’area giulio-veneta in questi secoli dovesse essere decisamente ridotta. (Ibidem, pp. 40-41). In altre parole, è possibile argomentare a favore della massiccia prevalenza di latini in Venezia Giulia sino al Duecento, anzi al Trecento. Soltanto le grandi epidemie del 1348-1349, che spopolarono interi territori giulio-veneti, determinarono la comparsa di considerevoli popolazioni slave, anteriormente affatto minoratarie (Ibidem, pp. 38-49). Sestan inoltre rileva la netta subalternità politica, economica e sociale degli Slavi rispetto agli Italiani (Ibidem, p. 39 sgg.). La presenza degli Slavi in Istria si sarebbe poi assestata nei secoli successivi, con l’importazione del feudalesimo da parte della nobiltà tedesca: la componente slava avrebbe fatto da base produttiva per il nuovo modello politico e sociale. Il feudalesimo germanico trecentesco, posteriore alla sudditanza di Trieste a Vienna, sarebbe stato matrice e base materiale per l’innesto di numerosi mutamenti nella regione, tra cui il cambiamento della composizione etnica.
Il capitolo V, dedicato a Venezia, mostra come l’operato della Serenissima abbia comportato un paradosso. Da una parte, essa, come le autorità politiche asburgiche, favorì l’immigrazione slava, per via di ragioni legate alla produzione agricola ed al commercio. Tuttavia, l’espansione veneziana comportò anche una maggiore sottomissione dell’elemento slavo a quello italiano, sia politicamente, sia economicamente. Non si può parlare, secondo Sestan, di vero “colonialismo” veneziano nell’area giulio-veneta, pure la regione si trova ad orbitare a lungo attorno a quello che, dal secolo XIV sino agli inizi del XVI, è il principale centro commerciale europeo, e forse il secondo per importanza finanziaria. Inoltre, Venezia non manca di diffondere anche nell’Istria e nella Dalmazia la sua cultura, che è quella italiana.
Il breve capitolo VI si sofferma sulla germanizzazione dei possedimenti asburgici, che però rimane un fenomeno di scarsa rilevanza quantitativa, legato soprattutto alla presenza politica e militare degli austriaci nella regione, la quale però non modifica in modo sostanziale la società locale, né nella sua demografia, né nell’economia e nella cultura.
I capitoli VII, VIII, IX costituiscono di fatto un trittico, e meritano d’essere esaminati congiuntamente. Essi infatti trattano di come da una situazione etnica piuttosto ben definita (potere politico e militare tedesco, economico, sociale e culturale italiano, netta subalternità degli Slavi, definiti da Sestan quale un elemento, sino ai principi del ‘700, quasi interamente “passivo”; Ibidem, p. 82), si venga a produrre uno stato di latente ostilità reciproca, dovuta in parte alla politica asburgica, in parte alla nascita del patriottismo d’ispirazione democratica e romantica, ciò che oggigiorno è considerato il patriottismo.
Un primo, importantissimo cambiamento nella situazione degli Slavi nella regione si ebbe, come racconta Sestan nel suo Venezia-Giulia, a partire proprio dal XVIII secolo, con la legge che aboliva la schiavitù nei territori austriaci, approvata al principio del ’700, seguita poi nel 1848 dall’abolizione di tutti i diritti di corvée ed i rapporti di servitù (ancora in vigore in Venezia Giulia, come in altre terre mitteleuropee), sostituiti con normali rapporti economici regolati dal denaro. Queste misure diedero l’avvio ad un processo di indebolimento del latifondo e della proprietà pubblica, favorendo la diffusione della piccola proprietà. Da un censimento istriano del 1880, risulta che il 95% della popolazione producente beni agricoli era composta di piccoli proprietari. Si tratta di un dato estremamente significativo: le misure messe in atto dall’amministrazione austriaca ebbero l’effetto di mettere gli Slavi, da un punto di vista economico e sociale, sullo stesso piano dei contadini italiani. Essi cessarono di essere dei “servi della gleba”, legati ai vincoli feudali, e divennero soggetti attivi della vita economica della regione, destinatari di diritti economici cui avrebbero legittimamente voluto affiancare una serie di diritti politici. Nello stesso periodo, forti spinte culturali nazionalistiche avevano incominciato ad irradiare dalle capitali europee, rese più forti dalla spinta germanizzatrice impressa dall’Austria alla propria politica, formalmente, fin dalla fine del Settecento.Dalla metà dell’800 l’amministrazione austriaca si rese anche protagonista di una serie di grandi opere urbanistiche e infrastrutturali, per le quali accorsero in Istria abitanti da parte di altre regioni, molti dei quali di origine slava. I lavoratori erano concentrati in cantieri le cui dimensioni erano del tutto inedite per la regione. Secondo Sestan, per gli Slavi istriani sottoposti all’amministrazione austriaca, l’esperienza dei cantieri fu la prima vera esperienza di massa dai tempi della colonizzazione ed ebbe effetti sconvolgenti per gli equilibri della regione. Per fare un parallelo efficace, si potrebbe dire che l’esperienza storica dei cantieri austro-istriani ebbe, per gli Slavi della regione, conseguenze culturali e politiche paragonabili a quelle determinate dall’esperienza della fabbrica per la classe operaia inglese ed europea nell’800. Essa rappresentò l’occasione per il confronto, per il risveglio delle coscienze e per la diffusione di idee di riscossa e indipendenza nazionali. Essa rese più veloce la diffusione del nazionalismo slavo, che andava costituendosi, non senza conflitti, attorno al nucleo forte dell’identità serbo-croata. Nonostante i fenomeni di aggregazione di massa e la crescita della coscienza nazionale, i diritti politici e le rivendicazioni linguistiche e culturali segnavano il passo: nella Dieta istriana del 1861 vennero eletti solo tre Slavi nella Dieta Provinciale Istriana tutti e tre sacerdoti. Gli Slavi avevano diritto di voto come tutti gli altri, ed erano ormai maggioranza in molte parti del territorio. Ma il diritto di voto era sancito secondo un discrimine censitario e l’insuccesso elettorale dei candidati slavi testimonia in modo molto chiaro della loro povertà. Il fatto che i pochi eletti fossero ecclesiastici, secondo Sestan è indice del difficile ruolo sociale degli Slavi e del fatto che la carriera ecclesiastica rappresentasse uno dei rari mezzi di promozione sociale della parte di popolazione più povera della regione. In tutte le diete provinciali gli Slavi avanzarono richieste per l’utilizzo della lingua slava nei documenti ufficiali, che furono respinte. Il governo viennese agì con sottigliezza, assieme decapitando e reprimendo i movimenti nazionalistici italiano e slavo, dall’altra aizzando le reciproche ostilità, specialmente col favorire gli Sloveni ed i Croati a danno degli Italiani, ben più pericolosi per il diverso livello economico e culturale. Secondo la ricostruzione di Sestan, la vittoria italiana nel primo conflitto mondiale determinò la quasi istantanea (e volontaria) scomparsa di Magiari e Tedeschi dai territori che fino a poco tempo prima erano stati competenza austriaca, spiegabile col fatto che si trattava principalmente di funzionari e militari dell’imperial-regio governo. Il dominio italiano divenne effettivo anche in zone interne dell’Istria e del Friuli, nei confronti di popolazioni che, da generazioni, erano ignare di risiedere su terre che fossero oggetto di diverse rivendicazioni politiche e territoriali. Scriveva Ernesto Sestan: “Per tutta questa popolazione slava, certamente, in quei primi giorni di novembre 1918, nei quali le truppe italiane vittoriose presero possesso del paese…le ragioni di sorpresa, di turbamento, di confusione, ma anche di fiduciosa attesa erano molte. I più sorpresi dovettero essere quegli sloveni dei distretti della Carniola, di Idria, di Bisterza che da secoli vivevano la loro vita politica, se mai, in contrasto con i tedeschi; che, probabilmente, mai prima di allora avevano saputo di essere oggetto di rivendicazione da parte degli italiani e che tuttavia si vedevano improvvisamente incorporati nelle aspirazioni italiane, amministrati da autorità italiane”. Il Trattato di Rapallo del 12 dicembre del 1920 chiude un regime di armistizio, come osserva il Sestan, durato nella Venezia Giulia “un tempo indicibilmente lungo…cioè per oltre due anni”, e lo chiude includendo nel Regno d’Italia qualcosa come quattrocentomila slavi. Il fascismo in Istria ed in Friuli ebbe caratteristiche particolarmente dure:in primo luogo per ragioni “tradizionali” legate alle zone di confine, che divennero zone di attrito all’inizio del ’900, nel momento in cui la polemica nazionalistica prese a farsi più accesa. Nasce nella Venezia Giulia il cosiddetto “fascismo di frontiera”, al quale Mussolini riconosce, a torto od a ragione, il merito della progenitura di tutto il movimento fascista nazionale, tanto che nell’impresa fiumana di Gabriele D’Annunzio può trarre ispirazione per alcuni dei suoi temi cardinali: il nazionalismo e l’imperialismo, l’arditismo, l’idea della vittoria mutilata, ecc. Era normale che un movimento come quello fascista, fortemente nazionalista, avesse in queste regioni un carattere più aggressivo;inoltre, dopo la smobilitazione, molti reduci del primo conflitto rimasero nelle zone che li avevano visti impegnati nei combattimenti di frontiera. Particolarmente aggressivi, alcuni di loro furono tra i fondatori del fascismo italiano. A partire dagli anni ’20 questi gruppi di ex combattenti si resero protagonisti di numerosi scontri con i socialisti, accusati di essere traditori della causa italiana in quanto internazionalisti, e con gli Slavi che si erano organizzati per portare avanti rivendicazioni politiche ed autonomistiche. Il conflitto raramente si mantenne nei limiti della legalità ed i contrasti furono molto duri. Alle elezioni del 1921 non venne eletto nessun parlamentare slavo, ma i voti degli slavi è probabile che convergessero sui candidati comunisti e internazionalisti, che ottennero un buon successo.Pochi mesi dopo si tenne un censimento che, per l’Istria, attestava una maggioranza schiacciante di italiani. Sulla validità di questo censimento si discute fra storici, ma non è il caso qui di meglio precisare. È certametne possibile che il risultato fosse il frutto di una serie di brogli e della complicazione dei quesiti, tutti in lingua italiana, rivolti a “gonfiare” la presenza italiana nella regione. Tale censimento rappresentò la «fragilissima base giuridica» sulla quale si procedette alla «italianizzazione degli Slavi», a partire dal 1925, destinata ad acuire i contrasti fra le due comunità.
C] L’opera Venezia Giulia dello storico istriano non è affatto una sorta di “masso erratico” nella produzione storiografica sestaniana, ma al contrario si presente Fra le principali opere del Sestan è di notevole interesse, per ciò che qui interessa, Stato e nazione nell’Alto Medioevo. Ricerche sulle origini nazionali in Francia, Italia, Germania, (Edizioni scientifiche italiane, Napoli 1952), in cui egli si sofferma proprio sulle “radici” storiche altomedievali della formazione dell’identità nazionale francese, tedesca ed italiana. Grazie alla preparazione di Sestan, il “caso” giulio-veneto può quindi essere inquadrato, pur nella sua specificità, all’interno d’una prospettiva ben più ampia, italiana ed europea, evitando le storture derivanti da una visione meramente localistica, inevitabilmente limitante ed anche deformante.
Bisogna sottolineare il profondo legame di Sestan con la storiografia e la cultura tedesca, nonché, in particolare, con quella austriaca, che tanto contribuì alla sua formazione di studioso. Lo storico trentino è stato sempre sensibile al problema della nazionalità ed assieme profondamente ostile ad ogni sua affermazione nazionalistica, tanto da potersi dichiarare, profondo conoscitore della civiltà germanica, quale un intellettuale di matrice italo-austriaca, sperimentando il dissidio interiore ma anche i vantaggi d’appartenere a due culture così diverse.
Gli stessi studi sul Risorgimento di Sestan si pongono nella prospettiva suddetta, col paragone fra Risorgimento italiano e unità tedesca (1942) al volume sulla costituente di Francoforte del 1848, e poi ancora proprio l’opera qui considerata sulla Venezia Giulia. La nazione per Sestan nasceva da un processo spontaneo e preesisteva allo Stato. Quest’ultimo poteva farsi interprete dell’identità nazionale, ma poteva anche affermarsi in opposizione ad essa, procedendo senza tener conto delle differenze fra i popoli per cementare l’artificiosità di alcuni organismi politici. Nella storia recente dell’Italia e dell’Europa, dopo i conflitti mondiali, il recupero delle valenze positive insite nell’idea di nazione era una necessità irrinunciabile per Sestan, che si considerava erede della tradizione risorgimentale del patriottismo democratico.
Si può quindi concludere sulla piena collocazione dello studio sestaniano sul “confine orientale” d’Italia all’interno della sua complessiva produzione storiografica, senza forzature ma anzi in piena integrazione.
Lo studio Venezia Giulia di questo grande storico si segnala non solo per la linearità e semplicità della narrazione, che maschera il profondo lavoro di ricerca e rielaborazione svolto, capace di sintetizzare in breve e in un’opera ben strutturata questioni delicate e complesse, ma anche per il suo equilibrio ed imparzialità.
Pur nel riconoscimento dell’importanza degli Slavi ed anche dei Tedeschi nella storia giulio-veneta, lo scritto sestaniano si può considerare a pieno titolo quale un’attestazione della fondamentale, sebbene non esclusiva, italianità della Venezia Giulia. In particolare, Sestan ha posto in rilievo come, da Roma antica sino al Trecento, la regione sia stata a schiacciante maggioranza latina, mentre, praticamente per l’intera sua storia, abbia visto la preminenza economica, sociale e culturale degli Italiani.E’ indubbio che, come ogni cosa a questo mondo, l’opera sestaniana abbia dei limiti, primo fra tutti la sua età. Però rimane un punto di partenza e di confronto per ogni discussioni sulla storia “etnica” o “nazionale” giulio-veneta, tanto da costituire sull’argomento un autentico classico.
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7 commenti:
Caro Marco Giulio, avevo invitato Adalberto a raggiungerti su questo blog, ma per ora non ha dato adesione.
Non importa, perché, come avrai visto ho messo il link del Legno Storto, per cui potrai addirittura conversare con lui da qui.
Per mio conto sono lietissima dei pezzi che vorrai stampare in prima pagina. Tu sei parte di quell'Italia che ci esalta e che rappresenta la nostra cultura.
Grazie.
Carissima Ambra, forse ce l'ho fatta: sono riuscito a entrare. E aggiungo all' autorevole intervento di Lucius la notizia che sto attendendo l'edizione del Sestan da Colloredo con la quale potrò adeguatamente puntualizzare anche nel tuo bellissimo sito il mio pensiero su una Venezia Giulia da considerare totalmente Italiana.Preciso infine che non mi sono per tal motivo imbrancato alle invadenti "slavonerie" di quel travagliato territorio, spinto come sono da una imparziale ricerca volta a definire correttamente una situazione storico-etnica-geografica di quella Regione.
Un caro saluto da Adalberto
Non ti limitare ai commenti.
Pubblica le tue parole in nuovi post, ben visibili in prima pagina, che anche qui si chiama "Home".
Ciao a presto Ambra
Farò un intervento "serio" appena possibile. Grazie Ambra. Adalberto
Cominciavo a impensierirmi.
Troppo bello sarà leggerti in Home.
Un abbraccio Ambra
Cara Ambra,
anzitutto Ti ringrazio sinceramente per le Tue parole: sei sempre molto, troppo generosa nei miei confronti!
Se posso dirlo, hai certamente fatto bene ad invitare il signor Adalberto sul Tuo sito: è un gentiluomo d'altri tempi.
Scusami se in questo periodo sono un poco assente!
Un caro e sincero saluto a Te ed a Tua sorella Ilda
Marco
Nobile ed illustre signor Adalberto,
La ringrazio della Sua adesione e presenza su questo sito e Le porgo il mio più sincero benvenuto.
Colgo l'occasione solo per qui comunicarLe, evitando di sovraccaricare il Forum1 del Legno di messaggi privati, come al più tardi entro domenica dovrei poter riprendere la discussione interrotta, inserendo un nuovo pezzo sulla storia religiosa giulio-veneta.
Ho certo intenzione di rispondere ai quesiti che Lei di volta in volta solleva, ma all'interno d'un discorso complessivo e progressivo, che, seppur con estrema lentezza, sto cercando di svolgere.
Ho consultato (frettolosamente) i siti da Lei consigliati, ma al momento non mi pronuncio, se non altro perché gli argomenti trattati sono quasi sempre molto posteriori cronologicamente al periodo che per ora mi propongo d'esaminare.
Un poco per volta, se Lei avrà la pazienza d'aspettare l'eterno ritardatario, cercherò di rispondere a tutti gli interessanti quesiti e problemi che Lei instancabilmente propone.
Arrivederci a presto (spero!), con i miei più cortesi saluti
Marco
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