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martedì 15 febbraio 2011

PRIMA CHE SIA TARDI "ASCOLTIAMO"...

ANTOLOGIA DEL PENSIERO DI GIOVANNI FALCONE! IL PRIMO A CHIEDERE LA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE
pubblicata da Tato Tripodo il giorno martedì 15 febbraio 2011 alle ore 20.53

In questi brani c'è tutto il riformismo di Giovanni Falcone grande uomo di giustizia preso ad esempio insieme al giudice borsellino come un modello da seguire!

Bene dott. Palamara e con lei tutto il pool di Milano vi consiglio di leggere questa breve antologia dei pensieri di Giovanni Falcone:



1) Il CSM è diventato anzichè organo di autogoverno e di garante della magistratura, una struttura da cui il magistrato si deve guardare... con le correnti interne diventate cinghia di trasmissione della lotta politica. ( La Repubblica 20 maggio 1990)



2) Quanti altri danni deve produrre questa politicizzazione della giustizia? ( La Stampa 6 settembre del 1991).



3) IO dico che bisogna stare attenti a non confondere la politica con la giustizia penale. In questo modo l'Italia pretesa culla del diritto, rischia di diventarne la tomba. ( La Stampa 6 settembre del 1991).



4) Non si può investire della cultura del sospetto tutto e tutti. La cultura del sospetto non è l'anticamera della verità. La cultura del sospetto è l'anticamera del khomeinismo. ( citato in Mario Patrono, " il cono d'ombra" MIlano 1996).



5) Mi sento di condividere l'analisi secondo cui , in mancanza di controlli istituzionali sull'attività del PM, saranno sempre più grandi i pericoli che influenze informali e collegamenti occulti con centri occulti di potere possano influenzare l'esercizio di tale attività...Mi sembra giunto il momento di razionalizzare e coordinare l'attività dei PM finora reso praticamente irresponsabile da una visione feticistica della obbligatorietà dell'azione penale e della mancanza di tali controlli su tale attività. ( convegno di Senigallia 15 Marzo 1990).



6)Il PM non deve avere nessun tipo di parentela col giudice e non essere, come invece oggi è, una specia di paragiudice.... Chi come me , richiede che siano invece giudice e PM due figure strutturalmente differenziate nelle competenze e nella carriera, viene bollato come nemico della indipendenza della magistratura; un nostalgico della discrezionalità dell'azione penale desideroso di porre il PM sotto il controllo dell'Esecutivo. ( la Repubblica 3 ottobre 1991)

domenica 11 luglio 2010

ACQUE TORBIDE



Nelle acque intorbidate dal temporale il pescatore esperto getta l'amo e sa che forse farà buona pesca.
Oggi, nel torrente della politica, i temporali si susseguono a ritmo serrato, le acque vanno sempre più intorbidandosi e da ogni dove si assiepano sulle rive italiche pescatori vogliosi di prede, chi più esperto, chi proprio un dilettante, ma tutti ugualmente assatanati.
Avviene così che, in quella selva di ami, i pesci decidano di far digiuno e ai pescatori non resti che cucinarsi le esche.
Riusciranno a non morir di fame e a sopravvivere ?
Tornate chiare le acque, ci sarà forse un pescatore che deciderà di raccogliere i pesci con la rete, allora imprigionati, a morire asfissiati saranno proprio loro.
Così è l'alternarsi dei regimi.

mercoledì 19 maggio 2010

ANCORA UNA VITTIMA DI GUERRA (click)


Giornalista italiano ucciso a Bangkok
Il fotoreporter Fabio Polenghi, 45 anni, assassinato durante l'assalto dei militari al covo delle camicie rosse

giovedì 15 aprile 2010

COME SI PUO' PERSEGUITARE LA CHIESA (click)

PEDOFILIA
March 28th, 2010 | Categoria: Antidoti
Sulla rassegna «I segni dei tempi» ho trovato questo articolo di Olavo de Carvalho, uscito su «O Globo» il 27 aprile 2002 e tradotto. Merita riportarlo quasi integralmente. «In Grecia e nell’Impero Romano l’uso di minori per la gratificazione sessuale degli adulti era una pratica tollerata e persino apprezzata. In Cina, i bambini castrati erano venduti a ricchi pedofili e questo è stato un commercio legittimo per millenni. Nel mondo islamico, la morale rigida che regola i rapporti tra uomini e donne sono spesso compensati dalla tolleranza circa la pedofilia omosessuale. In alcuni Paesi si è protratta almeno fino all’inizio del XX secolo, rendendo l’Algeria, per esempio, un giardino di delizie per i viaggiatori depravati (leggere le memorie di André Gide, Si le grain ne meurt). In tutti quei luoghi dove la pratica della pedofilia decadde, fu per l’influenza del cristianesimo – e praticamente solo per essa – che ha liberato i bambini da quel terribile giogo. Ma che ha pagato un pedaggio. È stata come una corrente sotterranea di odio e di risentimento che ha attraversato due millenni di storia, aspettando il momento della vendetta. Quel momento è arrivato. Il movimento di induzione alla pedofilia inizia con Sigmund Freud quando crea una versione caricaturale erotizzata dei primi anni di vita, una storia assorbita facilmente dalla cultura del secolo. Da allora la vita familiare, nell’immaginario occidentale, è sempre più stata vista come una pentola a pressione di desideri repressi. (…) Il potenziale politico esplosivo di questa idea è immediatamente utilizzato da Wilhelm Reich, psichiatra comunista che organizza in Germania un movimento per “liberazione sessuale dei giovani”, poi trasferito negli Stati Uniti, dove arriva a costituire, probabilmente, l’idea guida principale per la rivolta degli studenti negli anni ‘60. Nel frattempo, il Rapporto Kinsey, che ora sappiamo essere stato una frode in piena regola, distrugge l’immagine di rispettabilità dei genitori, presentandoli alle nuove generazioni come ipocriti malati o come occulti libertini sessuali.
L’arrivo della pillola e dei preservativi, che i governi stanno cominciando a distribuire allegramente nelle scuole, suona come il tocco di liberazione generale dell’erotismo dei bambini e degli adolescenti. Da allora l’erotizzazione dell’infanzia e dell’adolescenza si propaga dai circoli accademici e letterari alla cultura delle classi medie e basse attraverso innumerevoli film, spettacoli televisivi, “gruppi di incontro”, corsi sulla pianificazione familiare, annunci e tutto il resto. L’educazione sessuale nelle scuole diventa un incentivo diretto ai bambini e ai giovani a praticare ciò che vedono nei film e in televisione. Ma fin qui la legittimazione della pedofilia è solo insinuata, nascosta, in mezzo a rivendicazioni che la includono come conseguenza implicita. (…) Uno degli autori del Rapporto Kinsey, Wardell Pomeroy, pontifica che l’incesto “spesso può essere utile”.

Con il pretesto della lotta contro la discriminazione, i rappresentanti del movimento gay sono autorizzati a insegnare nelle scuole elementari i benefici della pratica omosessuale. Chiunque vi si opponga è stigmatizzato, perseguitato, licenziato. (…) È impensabile che una rivoluzione mentale tanto ampia, che si è diffusa in tutta la società, miracolosamente non influenzi una parte speciale del pubblico: i sacerdoti e seminaristi. Nel loro caso si è sommato alla pressione esterna uno stimolo speciale, ben calcolato per agire dall’interno. In un libro recente, Goodbye, Good Men, il corrispondente americano Michael S. Rose mostra che da tre decenni organizzazioni gay statunitensi stanno infiltrando loro membri nei dipartimenti di psicologia dei seminari per ostacolare l’ingresso dei candidati vocazionalmente forti e motivati per forzare l’ingresso massivo di omosessuali nel clero. (…) Molestati e sabotati, confusi e indotti, è inevitabile che prima o poi, molti sacerdoti e seminaristi finiscano per cedere al generale degrado nei confronti di bambini e adolescenti. E quando ciò accade, tutti gli esponenti della cultura moderna “liberata”, l’intero establishment “progressista”, tutti i media “avanzati”, in breve, tutte le forze che per cento anni sono andati spogliando i bambini dell’aura protettiva del cristianesimo per consegnarli alla cupidigia degli adulti cattivi, improvvisamente si rallegrano, perché hanno trovato un innocente sul quale scaricare la loro colpa. Cento anni di cultura pedofila, all’improvviso, sono assolti, puliti, riscattati davanti all’Onnipotente: l’unico colpevole di tutto è … il celibato sacerdotale! Il cristianesimo deve pagare adesso per tutto il male che ha impedito loro di fare. (…) Mai la teoria di René Girard sulla persecuzione del capro espiatorio come soluzione per il ripristino delle unità illusoria di una collettività in crisi, ha trovato una conferma così evidente, così ovvia, così universale e allo stesso tempo. (…)».

giovedì 17 dicembre 2009

Chi grida al tiranno legittima il "tirannicidio" (click)

di Marcello Veneziani

In democrazia è ammesso uccidere un dittatore: così i Di Pietro e le Bindi hanno legittimato l'attentato a Berlusconi. Ma d'ora in avanti chi definisce un "regime fascista" questo governo se ne deve assumere le responsabilità

Al di là della campagna d’odio e d’insulti contro Berlusconi che ha l’alibi di essere reciproca, c’è un motivo preciso e unilaterale che basta da solo a legittimare la violenza contro il premier: è l’accusa, rivolta da Di Pietro, un pezzo di sinistra, varia stampa, tv e intellettuali, di essere un tiranno. D’ora in poi dev’essere chiara una cosa: chiunque definisce tirannide o regime fascista il governo di Berlusconi si assume la responsabilità politica e civile di mandante morale delle aggressioni subìte da Berlusconi e di ogni altro eventuale attentato.

Perché si sa che per abbattere il tiranno è ammesso anche il tirannicidio, lo dice anche la giurisprudenza liberale e democratica. In difesa della libertà e dei diritti umani si può anche uccidere il dittatore. Saddam docet. E se si giudica tiranno Berlusconi, se lo si definisce pubblicamente in questo modo, si legittima l’attentato contro di lui e si ritiene lecita ogni violenza pur di eliminare il despota. Se Berlusconi eguale Mussolini, poi, è possibile anche fare di Piazza Duomo un nuovo Piazzale Loreto perché è ammesso perfino il massacro e lo scempio del dittatore, secondo i medesimi civilissimi, democraticissimi e umanissimi signori. Ora torniamo al caso nostro, a Berlusconi.

L’evidenza della realtà smentisce che siamo anche vagamente in una dittatura. In una tirannide chi esprime queste accuse al tiranno viene infatti perseguitato, incarcerato, eliminato; invece assistiamo da svariato tempo a libere denunce televisive e giornalistiche di tirannide del governo Berlusconi senza alcun effetto nei confronti di chi lo denuncia, sia esso politico, giornalista o semplice cittadino. Persino i precedenti aggressori di Berlusconi non sono stati neanche ventiquattr’ore in carcere e chi lo ha aggredito verbalmente in tribunale ha ricevuto pure il plauso della magistratura perché la sua critica aveva utilità sociale, con la lode aggiuntiva di averla pronunciata in tribunale. La smentita più evidente che siamo in una tirannide è l’incolumità assoluta di chi pronuncia questa dura accusa, il suo permanere indisturbato nel pieno esercizio del suo ruolo di oppositore, giornalista e ospite televisivo. Una tirannide, anche velata, non ammette il dissenso, soffoca le voci ostili, sopprime i suoi avversari.

Da noi invece coloro che dicono di trovarsi in una dittatura si presentano tranquillamente alle elezioni, aumentano perfino i loro consensi mentre perdura la presunta dittatura; esternano quotidianamente e con grande risonanza pubblica, camminano indisturbati per le strade, nessuna sopraffazione, manipolazione o pressione impedisce il libero esercizio della loro denuncia. Ora, dopo aver accusato il premier - oltre che mafioso, buffone, corrotto, erotomane e altro - di essere tiranno e dittatore fascista, e perfino coinvolto nelle stragi di mafia, sia ben chiaro a tutti che ogni atto violento troverà in questa accusa così palesemente falsa e tendenziosa, atta a turbare l’ordine pubblico, la sua origine e il suo mandante, politico, morale e culturale. Questo sia ben chiaro in modo particolare alla sinistra radicale, alla stampa e alla tv giacobina, ai delinquenti di facebook che inneggiano a quel criminale, ai dipietristi che parlano di dittatura fascista, alle rosybindi e a tutti coloro che usano simili espressioni per demonizzare e abbattere Berlusconi. Solo un irresponsabile può parlare di dittatura.
Lo scrivevamo già prima che accadesse il fattaccio, denunciando la settimana scorsa il clima; ma oggi c’è la dimostrazione evidente, le parole si sono fatte sangue. Così come solo una bestia idiota e feroce può dire davanti alla maschera di sangue di Berlusconi: non faccia la vittima. Bestia idiota perché nega l’evidenza atroce e sanguinosa della realtà, bestia feroce perché riesce a non provare neanche un filo di umana e cristiana pietà di fronte al viso tumefatto e insanguinato di una vittima della violenza e dell’odio. Ho letto articoli decisi nella condanna del gesto, in questi giorni, ma ho letto anche articoli ipocriti che velavano l’odio e quasi il compiacimento per l’accaduto con un’untuosa e affettata solidarietà; e ne ho letti perfino di spregevoli (per esempio quello di Alberto Statera su la Repubblica). Ora vorremmo un ritorno alla serietà, un ritorno al senso dello Stato, una presenza incisiva delle istituzioni e delle forze dell’ordine. Vorremmo che il governo governasse, punto e basta.

In piena sovranità, in piena legittimità, con un pieno mandato popolare, senza doversi perdere fra le trame e gli attentati giudiziari e stradali, parlamentari e istituzionali, di questi ultimi mesi. Un periodo di operoso silenzio e di tacito recupero della fiducia nell’azione del governo, delle istituzioni e delle forze dell’ordine. Un atto di responsabilità generale che isoli la violenza e non incoraggi la vendetta, con la certezza che entrambe sarebbero stroncate con la dovuta energia. Mi sono rifiutato di partecipare al programma Annozero di Santoro previsto sull’argomento. Da tempo rifuggo la tv rissosa e faziosa, rifiuto di partecipare a programmi fatti apposta per scannarsi (e mi sottraggo pure allo scemeggiare della tv fatua, che ogni tanto vuol darsi una tintura di impegno civile e culturale).

Non sono il burattino o il mastino di nessuno, e perciò non vado a eccitare le tifoserie o a farmi eccitare per inveire; e non amo nemmeno godermi in poltrona altri burattini e mastini all’opera. Vorrei che finisse nel nostro Paese il piacere della corrida tra umani, il gusto della rissa in video e in pubblico, vorrei che fossero disertate da attori e spettatori queste immonde sceneggiate, che cadessero in un nauseato silenzio. Vorrei tornare alla civiltà del pensare e dell’agire, allo stile e all’educazione, al rispetto e alle idee; una comitiva di profughi dall’Italia, senza permesso di soggiorno.

domenica 13 dicembre 2009

PICCOLA ODISSEA QUOTIDIANA (click)

Un breve colloquio, ma che fa molto pensare e denuncia una situazione insostenibile.

sabato 14 novembre 2009

GUIDO BOTTERI per VENESSIA




(Entra un venessiano alto e robusto, un vero marcantonio, insomma e parla)

Amici, Venessiani, compatrioti, prestatemi orecchio; io vengo a seppellire Venessia, non a lodarla. Il mare che circonda gli uomini sopravvive loro; ma a volte c'è l'acqua alta; e così sia di Venessia. Il nobile Cacciari v'ha forse detto che Venessia era ambiziosa ?: se così era, fu un ben grave difetto: e gravemente Venessia ne ha pagato il fio. Qui, col permesso di Cacciari e degli altri - ché Cacciari è filosofo e uomo d'onore; così sono tutti, tutti filosofi e uomini d'onore quelli che hanno ucciso questa città - io vengo a parlare al funerale di Venessia. Ella fu città amica, allegra e aperta verso di me: ma Cacciari dice che fu ambiziosa; e Cacciari è filosofo e uomo d'onore. Molti turisti han visitato Venessia, il prezzo dei vaporetti e delle gondole ha riempito il pubblico tesoro: sembrò questo atto ambizioso, a Venessia ? Quando i poveri hanno pianto, per non aver visto piazza San Marco, Venessia ha lacrimato, perché pioveva, quel giorno: l'ambizione dovrebbe essere fatta di più rude stoffa; eppure Cacciari dice ch'ella fu ambiziosa; e Cacciari è filosofo e uomo d'onore. Tutti vedeste come al Carnevale la gente era allegra: fu questo atto di ambizione? Eppure Cacciari dice ch'ella fu ambiziosa; e, invero, Cacciari è filosofo e uomo d'onore. Non parlo, no, per smentire ciò che Cacciari disse, ma qui io sono per dire ciò che io so. Tutti la amaste una volta, né senza ragione: qual ragione vi trattiene dunque dal piangerla ? O senno, tu sei fuggito tra gli animali bruti e gli uomini hanno perduto la ragione. Scusatemi; il mio cuore giace là nella bara con Venessia e debbo tacere sinché non ritorni a me.
(pausa di dolore)
Pur ieri la laguna di Venessia avrebbe potuto accogliere il mondo intero: ora ella giace là, e non v'è alcuno, per quanto basso, che le renda onore. O signori, se io fossi disposto ad eccitarvi il cuore e la mente alla ribellione ed al furore, farei un torto a Cacciari e un torto a Mognato, i quali, lo sapete tutti, sono uomini d'onore: e non voglio far loro torto: preferisco piuttosto far torto alla defunta, far torto a me stesso e a voi, che far torto a sì onorata gente. Ma qui è una pergamena col sigillo di Venessia - l'ho trovata nelle sue calli...è il suo testamento: che i popolani odano soltanto questo testamento, che, perdonatemi, io non intendo di leggere, e andrebbero a baciar le ferite della morta Venessia, ed immergerebbero i loro lini nel sacro sangue di lei; anzi, chiederebbero un pezzetto di un campiello per ricordo e, morendo, ne farebbero menzione nel loro testamento, lasciandolo, ricco legato, alla prole.

Cittadini: Vogliamo udire il testamento: leggetelo, leggetelo.

Pazienza, gentili amici, non debbo leggerlo; non è bene che voi sappiate quanto Venessia vi amò. Non siete di legno, non siete di pietra, ma uomini, e essendo uomini, e udendo il testamento di Venessia, esso v'infiammerebbe, vi farebbe impazzire: è bene non sappiate che siete i suoi eredi; ché, se lo sapeste oh, che ne seguirebbe!

Cittadini: Il testamento! Il testamento!

Se avete lacrime, preparatevi a spargerle adesso.
Tutti conoscete questo palazzo: io ricordo l'ultima volta che uno di noi, un venessiano che amava Venessia, l'abitò: era una serata estiva, e quel giorno mi vennero i nervi: l'indifferenza della giunta per la sua sorte come un pugnale l'ha trapassato: ed egli se ne andato, via, lontano da ciò che amava, forse per sempre.
E in quest'altra casa, abitava una vera famigliola venessiana, che pagava l'affitto; e quando andò fuori per lasciar i luoghi amati della propria gioventù, guardate come il figlio di un vicino li seguì, quasi si precipitasse fuori di casa per assicurarsi se fosse o no quella persona che conosceva assai bene che così infelicemente se ne andava; per colpa di Cacciari che, come sapete, era ed è il sindaco di Venessia, e non difende i suoi cittadini: ed essi son andati via in tanti, e tanti, e tanti ancora, e colpita, ferita, tradita la città che fu grandissima e serenissima, è morta, perché le si spezzò il suo gran cuore. E come il sangue che esce da un corpo pugnalato, così i cittadini di Venessia, pugnalata dalla sua giunta, son sgorgati dal suo corpo, costretti ad andar via, loro che eran l'autentico sangue vitale di quella città. Così è caduta Venessia. Oh, qual caduta fu quella, miei compatrioti!

Allora io e voi e tutti noi cademmo, mentre il sanguinoso tradimento trionfava sopra di noi. Oh, ora voi piangete; e, m'accorgo, voi sentite il morso della pietà: queste son generose gocce. Anime gentili, come? piangete quando non vedete ferita che l'immagine di Venessia ? Guardate qui, eccola lei stessa, straziata come vedete, dai traditori. Percorrete le sue calli, i suoi canali, guardatevi intorno a piazza San Marco, in cerca di quelli che furono i suoi cittadini veri e prediletti, e che ora non ci sono più !

Ecco il testamento, e col sigillo di Venessia: ad ogni cittadino venessiano, veramente venessiano, ella dà, ad ognuno individualmente, una casa.
Inoltre, ella vi ha lasciato tutti i suoi paesaggi, le sue private calli e gli orti nuovamente piantati, al di qua di Canal Grande, e anche al di là; ella li ha lasciati a voi ed ai vostri eredi per sempre: pubblici luoghi di piacere, per passeggiare e per divertirvi. Questo era Venessia! Quando ne verrà un'altra simile, una più bella ?

lunedì 2 novembre 2009

La “questione morale” in Italia

di Roberto de Mattei

Il “caso Marrazzo”, dopo il “caso Boffo” e le vicende legate al nome del presidente Berlusconi, ha riproposto con forza all’attenzione dell’opinione pubblica la gravità della “questione morale” in Italia.

Per i mass-media la rilevanza dello scandalo Marrazzo non deriva dal fatto che l’ex presidente della Regione Lazio fosse un frequentatore abituale di transessuali, ma dall’estorsione di cui egli è stato vittima, e forse complice. Nella vita privata infatti, secondo i mezzi di comunicazione, ognuno è libero di comportarsi a proprio piacere.

Con ciò l’Italia si avvia a celebrare degnamente i 150 anni della propria unificazione (marzo 2011). La classe politica risorgimentale predicò infatti il principio “libera Chiesa in libero Stato”, che sancisce la separazione della sfera religiosa da quella politica; negò, di conseguenza, l’esistenza della morale religiosa come fondamento del nuovo Stato unitario, anche se affermò la necessità di una morale “laica” a cui avrebbe dovuto ispirarsi la vita pubblica. Il romanzo Cuore di Edmondo de Amicis è lo specchio di questa concezione ottocentesca, che cercava di conservare il trinomio Dio, Patria e Famiglia, dissociandolo dalla Chiesa cattolica, che ne costituisce la fonte naturale.

I regimi politici cambiarono: all’Italia liberale succedette quella fascista e a questa l’Italia repubblicana e resistenziale; ma i regimi e le ideologie di volta in volta dominanti non riuscirono a sradicare i buoni sentimenti e principi degli italiani. Poi, a partire dagli anni Sessanta del Novecento, accaddero tante cose nella vita politica e religiosa del nostro Paese: l’apertura a sinistra, il Concilio Vaticano II, il Sessantotto. Da allora l’Italia ha vissuto una Rivoluzione nei costumi e nella mentalità più devastante di una guerra mondiale.

La guerra del 1915-1918 fece in Italia 600.000 morti; quella del 1940-1945 ne provocò 450.000. Quante sono le vittime dell’aborto, della droga, della Rivoluzione sessuale, della depressione conseguente alla crisi della famiglia e alla perdita dei valori tradizionali? Si contano a milioni e sono vittime non solo fisiche, ma morali. Ciò che esse hanno perduto non è solo il corpo, ma l’anima, la ragione, la speranza di vivere con dignità e la fiducia in una vita futura felice, oltre la morte. La crisi è spirituale e non è solo italiana, ma europea e mondiale. Non è in frantumi soltanto la morale della Chiesa, ma anche quella laica, fondata sul diritto naturale.

Il caso Marrazzo è esemplare. Nessun commentatore ha osato pronunciare un giudizio sul comportamento dell’ex presidente della Regione dal punto di vista della morale, religiosa o laica che sia. Si parte dal presupposto che la vita privata degli uomini politici sia una sfera intoccabile, del tutto scissa da quella pubblica. L’azione pubblica è certamente più importante di quella privata. Per questo, lo abbiamo scritto, è preferibile un uomo politico immorale, ma contrario alla legalizzazione dell’immoralità, ad un altro uomo politico virtuoso nella vita privata, ma favorevole ad istituzionalizzare l’immoralità nelle leggi e nel costume.

Tuttavia, i cittadini hanno il diritto ad essere rappresentati da uomini totalmente integri e a conoscere e valutare la vita privata dei loro rappresentanti, per potere fare comunque le proprie scelte, alla luce dei principi morali in cui credono. E anche la trasgressione morale conosce diversi livelli di gravità. Oggi però si è perso il metro di giudizio e, ancora prima, si è smarrita l’idea stessa del Bene e del Male, del vizio e della virtù, del lecito e dell’illecito. L’unica cosa importante è non infrangere la legge. Purché non vi sia reato tutto è permesso. E’ la legge positiva, frutto della volontà mutevole degli uomini, a stabilire le leggi della convivenza civile. Non esistono, e guai ad evocarle, regole immutabili, principi assoluti, valori non negoziabili. L’unico peccato, nella società permissiva, è il moralismo, ovvero l’atteggiamento di chi ritiene che la morale non cambia, perché stabile e permanente è la natura dell’uomo.

Oggi il continuo divenire e trasformarsi della morale è incarnato dalla figura del transessuale. Si tratta di una negazione dell’immutabilità della natura e delle sue leggi vissuta, ostentata, imposta, se è vero che il ministro delle Pari Opportunità Mara Carfagna vorrebbe includere esplicitamente nel reato di omofobia la categoria transessuale, criminalizzandone la critica.

Con transessuale, si badi, non si intende chi, con un intervento chirurgico ha voluto definire un’incerta identità sessuale e conduce poi una vita coerente e regolata, ma chi sceglie una condizione sessualmente ambivalente per mercificare il proprio corpo. Quale giustificazione può darsi per chi fruisce di questo mercato? E se questa giustificazione esiste, magari riconducendola alla libertà di autodeterminazione, come negare analoga giustificazione a chi volesse consumare un atto sessuale con un fratello o una sorella, con un animale o con un cadavere? Nella perversione umana non c’è fine ed il marchese de Sade ha già teorizzato tutte le possibilità.

I mezzi di comunicazione ignorano le leggi morali e spesso le combattono. I cattolici però, di fronte agli scandali, non possono restare in silenzio, come oggi sembra accadere. Non si tratta di accusare l’ex presidente Marrazzo, ma di stigmatizzare la natura del peccato che lo ha portato alla sua uscita di scena. Ci vorrebbe la voce di un profeta dell’Antico Testamento, di un san Francesco di Assisi o di una santa Caterina da Siena per gridare ai quattro venti che se il transessuale è un fratello per il quale, come per ogni altro uomo, Gesù Cristo ha versato il suo sangue, la filosofia e la pratica transessuale sono un abominio, frutto del coerente processo di degradazione della società contemporanea.

Una società che rinnega la natura umana e si abbandona alle tendenze sregolate è condannata ad essere spazzata dalla storia, come tante volte è accaduto. E’ per evitare l’annientamento delle nazioni europee, di cui parla il messaggio di Fatima, che occorre risvegliarsi, ricomponendo la frattura tra politica e morale che costituisce il peccato di origine dell’Italia risorgimentale.

Sono queste le parole che ci attendiamo dai nostri Pastori, ai quali ci rivolgiamo sperando contro ogni speranza. (Roberto de Mattei)

domenica 1 novembre 2009

CE LA FAREMO A LIBERARCI DELLA MAFIA (click)

Mafia, in arresto 8 boss al giorno

Lucia Esposito
Pubblicato il giorno: 01/11/09

Preso. Meno uno. Un altro nome e un’altra faccia (...)

(...) da depennare dalla lista dei trenta latitanti più pericolosi. L’ultimo irreperibile consegnato alla giustizia è Salvatore Russo, ricercato da quindici anni. L’hanno ammanettato gli uomini della squadra mobile di Napoli guidata da Vittorio Pisani (che ha osato criticare la scorta a Roberto Saviano scatenando ire funeste e sinistre) al ritorno da una battuta di caccia a Somma Vesuviana, poco lontano dalla sua abitazione in provincia di Napoli

Ma questi sono tempi durissimi per i criminali in fuga perché la controffensiva dello Stato alla malavita non è mai stata più agguerrita. E vincente. «Ogni giorno sono stati arrestati otto mafiosi dall’inizio del governo Berlusconi», il ministro dell’Interno Roberto Maroni il dieci ottobre scorso, al termine del consiglio dei ministri, ha quantificato il risultato di questa che è diventata una caccia senza tregua ai criminali che credevano di poter continuare a vivere come degli invisibili: 270 latitanti presi, di cui tredici erano nell’elenco dei “trenta più pericolosi” e trentacinque in quello dei “cento più pericolosi”.

E così, paradossalmente, il governo di Silvio Berlusconi, accusato di essere uno dei referenti politici della mafia dopo la stagione delle stragi, continua a strappare da latitanze, anche ventennali, malavitosi che credevano di averla ormai fatta franca. Proprio venerdì scorso i giudici d’appello del processo contro Marcello Dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa hanno deciso di sospendere la requisitoria del procuratore generale Nino Gatto per acquisire la deposizione del pentito Giuseppe Spatuzza che, appunto, accusa Berlusconi di contatti con ambienti mafiosi. Ed ecco il controsenso: il Cavaliere sarebbe stato la sponda politica della malavita organizzata e tuttavia, da presidente del Consiglio, ha ingaggiato una guerra senza precedenti per smantellare quelle stesse organizzazioni criminali a cui avrebbe assicurato copertura istituzionale. Salvatore Russo è solo l’ultimo nome sparito dalla lista degli infami. Prima di lui c’era stato il rocambolesco arresto di Giuseppe Setola, il boss dei boss dei casalesi inizialmente sfuggito alla cattura come un topo attraverso le fogne e poi incastrato sui tetti di un casolare del casertano da dove cercava di scappare come un gatto. E prima ancora Giovanni Strangio e suo cognato Francesco Romeo, i presunti killer della strage di Ferragosto a Duisberg, si erano dovuti rassegnare a una vita dietro le sbarre. I due se ne stavano tranquilli nell’appartamento di un condominio di Amsterdam quando i poliziotti della squadra mobile di Reggio Calabria e gli agenti dello Sco interruppero il loro tran tran quotidiano di latitanti.

Il killer della ’ndrangheta Pietro Criaco che si lavava le mani con il sangue delle sue vittime, aveva festeggiato il Natale con moglie e figli in un caseggiato del suo paese, Africo Nuovo, in provincia di Reggio Calabria. Era ancora in pigiama e ha affidato la sua libertà a un ultimo disperato tentativo, la fuga sui tetti della mansarda rustica dov’era nascosto insieme alla moglie Nadia. È entrato in carcere il ventinove dicembre del 2008, era ricercato dal 1997. Giuseppe Bastone, elemento di spicco del clan camorristico degli scissionisti, è stato scovato dentro un tunnel sotto il condominio “Lotto G” di via Labriola a Scampia, alla periferia di Napoli. Il re del narcotraffico internazionale, il boss Salvatore Miceli, si era trasferito in Venezuela, a Caracas. Prima di lui, sono stati presi i camorristi Filippo Abate e Giosuè Fioretto e il superlatitante Patrizio Bosti. E poi Umberto Onda, Gianfranco Antonioli, Raffaele Bidognetti figlio del boss “Cicciott’ e mezzanotte”, Paolo Schiavone, cugino del boss Francesco «Sandokan», Enrichetta Avallone moglie del capoclan latitante Antonio Iovine. Nomi e facce depennate da quell’elenco lunghissimo, mentre la lista degli introvabili si fa sempre più corta perché in un anno e mezzo 270 ex primule rosse sono state portate ad appassire in carcere.

mercoledì 28 ottobre 2009

D E N U N C I A.

Non tutti potranno partecipare alla manifestazione di protesta ma tu puoi inviare questo video ai tuoi contatti e mostrare alla gente cosa sta accadendo.

L'unione fa la forza
Divisi cadiamo

venerdì 16 ottobre 2009

E' GIUSTO SAPERE (click)

Nuove guerre
"Faccio il contractor per difendere la giustizia e la libertà"
intervista a Gianpiero Spinelli di
Roberto Santoro
16 Ottobre 2009

Gianpiero Spinelli viene da una famiglia di militari. Il nonno, il padre. Anche lui è stato soldato. Ora fa il contractor, quelli che negli anni Sessanta e Settanta chiamavano volgarmente "mercenari". Ma il mondo è cambiato e oggi servono professionisti della sicurezza da impegnare nelle aree di crisi. L'editore Mursia, che alle spalle ha una lunga tradizione di memorialistica, ha scelto Spinelli per raccontare le "nuove guerre". Abbiamo discusso con lui in una fredda mattina romana.

Spinelli, per quale agenzia lavora?

H3 Group. Sono specializzato nelle scorte e nei programmi di protezione e nell’addestramento.

Qual è la vita quotidiana di un Contractor?

Non esiste un giorno diviso da un altro. L’operazione finisce alle 18.00. Hai due ore di “relax” in cui devi fare la manutenzione del tuo equipaggiamento, visto che dietro non c'è una logistica. Se le armi e la radio non funzionano devi sbrigartela da solo.

E dopo la “pausa”?

Si fanno il Security Making Process e il Force Protection Making Process, la pianificazione delle operazioni del giorno dopo. Abbiamo informazioni sul nostro cliente ma ce le hanno anche i nostri nemici. Dobbiamo anticiparli.

All’interno delle agenzie avete delle unità di analisi, di studi dei rischi?

L’analisi geopolitica è alla base di tutte le nostre procedure.

Chi sono questi analisti?

Quello di Blackwater è Cofer Black, che è stato per lunghi anni responsabile dell’antiterrorismo alla Cia. E’ l’uomo che ha catturato Carlos.

Com’è andata in Iraq?

Sono morte centinaia di persone per l’incapacità di un solo uomo, Paul Bremer. In Iraq i generali di Saddam erano a conoscenza di un sistema di difesa interno di tipo “Stay-behind” – lavorare dietro le linee nemiche, usare depositi nascosti e pieni di esplosivo… e sono stati deposti in massa. Per fortuna è arrivato Negroponte e le cose sono cambiate. Da “bad guys” i sunniti sono diventati “good guys”.

E in Afghanistan?

C’è un progetto nella Valle dell’Helmand: 1.400 Marines insieme all’esercito afghano si occuperanno di stabilizzare la zona. I Contractors dovrebbero difendere le Ong impegnate nei processi di ricostruzione, cercando di trovare “occhi ed orecchie” nelle tribù afgane.

Anche le Ong sono protette dai Contractor?

Proteggiamo clienti, governi, corporations, ma tra i nostri clienti ci sono anche le Ong. E’ insensato usare decine di Marines per scortare un convoglio umanitario.

Vi definiscono "mercenari"

In Iraq ci sono stati migliaia di Contractor morti e feriti. E’ più facile fare la guerra che fare le scorte.

"Gente senza ideologia"

C’era un amico di mio padre, era un ufficiale dell’aereonautica brasiliana. Non sopportava che i cubani volessero prendersi l’Angola. Così mollò tutto e si arruolò come soldato semplice nella Legione Straniera per combattere il comunismo.

Quanto guadagna mediamente un Contractor?

L’amico di mio padre non ci guadagnò nulla. Ora fa il pilota di elicotteri per sopravvivere. Oggi però dei professionisti ben addestrati prendono tre o quattro volte quello che guadagna un militare.

Lei lo fa per soldi?

Ho sempre creduto nella giustizia e nella libertà. Quando sono andato in Iraq ho sentito ragazzi che avevano avuto le famiglie distrutte dal regime di Saddam. Storie di mogli e sorelle rapite da Hudai e che non avevano fatto più ritorno a casa. Se qualcuno porta via mia moglie gliela distruggo la casa. E non lo faccio certo per soldi.

Fabrizio Quattrocchi era un suo amico

L’11 Settembre, quando ho visto gli aerei che si conficcavano nelle Torri, mi sono detto “Non posso più stare a guardare. Ognuno deve fare la sua parte”. Sono del Sud, vengo dal Mezzogiorno. Se da noi ognuno avesse fatto la sua parte, avesse denunciato, ora non avremmo il problema delle mafie. L’11 Settembre mi sono sentito attaccato in casa mia. Me ne potevo fregare. In fondo vivo a Sammichele di Bari, mica a New York. Un paese agricolo dove a nessuno verrà mai in mente di far esplodere una bomba. Mi sono sentito attaccato moralmente, quel giorno. Poi è venuto tutto il resto.

lunedì 10 agosto 2009

ENRICO MEDI , lo scienziato credente (click)


Enrico Medi nasce a Porto Recanati il 26 aprile 1911: suo padre esercita nel paese la professione di medico chirurgo. Frequenta le elementari nella scuola dell'allora Corso Vittorio Emanuele III° (oggi Corso Matteotti). Medi è ancora giovanissimo quando lascia le sponde dell'Adriatico per approdare a Roma, dove, appena diciassettenne, entra nell'università laureandosi a 21 anni in fisica pura con Enrico Fermi.

Libero docente di Fisica terrestre nel 1937, è chiamato nel 1942 alla cattedra di fisica sperimentale dell'Università di Palermo. La prima tesi al mondo sul neutrone è opera sua, così come le prime esperienze sul radar che raccolsero però l'ignorante supponenza delle autorità pubbliche del tempo. Anche i suoi studi sulle fasce ionizzanti dell'alta atmosfera subirono la stessa sorte.

Occorrerà attendere cinque anni e la segnalazione dell'americano Van Allen per rendersi conto, con colpevole ritardo, che Medi aveva ragione.

Dopo la triste esperienza della guerra e del fascismo, nel 1946 Medi è eletto nell'Assemblea Costituente e successivamente è deputato al parlamento nella prima legislatura della Repubblica. La sua carriera politica giunge al culmine nel 1971 quando risulta primo degli eletti (75.000 voti di preferenza) al Consiglio Comunale di Roma. Ma, come ricorda Federico Alessandrini, egli era un uomo che "mal si adattava al compromesso, alla concessione sistematica, alla reticenza.... preferì, dunque, ritirarsi per continuare un'azione volta a formare gli uomini...".

Già dal 1949 è direttore dell'Istituto Nazionale di Geofisica e titolare della cattedra di Fisica terrestre presso l'Università di Roma: nel 1958 è nominato Vice-Presidente dell'Euratom. Il suo nome divenne noto al grande pubblico soprattutto per i suoi interventi alla televisione. Con chiarezza e semplicità di espressione svolse un ruolo importante nel campo della divulgazione scientifica e con grande successo personale il 21 Luglio 1969 commentò a tutti gli italiani lo sbarco sulla Luna dell'astronauta Amstrong.

"Questo Enrico Medi - scrive Marino Scalabroni - dalla mente di scienziato e dal cuore di poeta, questo diffusore della scienza fuori dalle paludate assise accademiche, questa coscienza che dalle immensità dei mondi o degli infinitesimali cosmi atomici ha saputo raggiungere accenti di grande poesia, questo Medi nostro, è nato qui (Porto Recanati), in questa terra dove si sposa il dramma infinito di Leopardi alla umile e ultraterrena dolcezza del mistero Lauretano...".

Scienziato credente, offrì tutte le sue energie per l'avvento di una umanità migliore. Rivolse la sua opera soprattutto ai giovani, visti nella luce di un superiore modello: il Cristo.

Enrico Medi concluse la sua giornata terrena sul tramonto della domenica del 26 maggio 1974. Riposa nella tomba di famiglia, nel cimitero di Belvedere Ostrense.

Il 26 maggio 1996 viene introdotta la causa di beatificazione.

domenica 9 agosto 2009

Il re di Ponza: "Vergogna sequestrare i pontili" (click)


di Stefano Lorenzetto

Nell’unica isola della Repubblica italiana che misuri 1 chilometro quadrato e abbia una densità di popolazione di 1 abitante per chilometro quadrato era inevitabile che quell’unico abitante si autoproclamasse dapprima sindaco e poi presidente, come certifica la carta intestata che s’è fatto stampare. In realtà Ernesto Prudente, capo dello Stato libero di Palmarola, è da una vita il re di tutto l’arcipelago ponziano. Un’autorità morale indiscussa, eletta per acclamazione. E da monarca assoluto parla del suo quasi omologo, il sindaco, in questi giorni torridi, con la Procura di Latina impegnata a sequestrare attracchi abusivi e noleggi di barche: «Ponza è un’isola splendida, unica al mondo. Le istituzioni avrebbero l’obbligo di servirla in ginocchio. Invece... Come proprietario di un pontile, il signor sindaco è l’ultimo che può aprire bocca. Deve soltanto dimettersi. Pensi che ha appena ordinato alla polizia urbana d’indagare su tutti coloro che hanno una partita Iva. Da non credere. Ha messo gli uni contro gli altri. Una faida, sembra di stare in Calabria».
L’ultima volta che un primo cittadino venne costretto a lasciare lo scanno fu nel 2001 e il compito di farlo sloggiare se lo assunse in prima persona, a dispetto del cognome che porta, Prudente. «Chill’era nu sindaco per modo di dire, visto che amministrava società in affari col Comune. Lo portai in tribunale per conflitto d’interessi. Arrivai a mie spese fino in Cassazione. Vinsi io. Adesso il detronizzato è stato accolto nell’Italia dei valori da Antonio Di Pietro», socchiude a fessura gli occhietti azzurro cielo, come a dire che Dio li fa e poi li accoppia.
Il presidente di Palmarola, vecchio socialista, era bambino quando imparò che cosa fosse la politica, quella vera. «Ponza divenne luogo di confino degli antifascisti un anno prima che io nascessi. In via Dragonara, dove abitavo, c’erano tre mense per gli esiliati. Di lì passavano tutti, Pietro Nenni, Sandro Pertini, Giorgio Amendola, Umberto Terracini, Altiero Spinelli, Lelio Basso, anche se allora noi manco sapevamo chi fossero. Il progetto di ristrutturazione della casa di mia nonna Giuseppa Albano reca la firma di Amadeo Bordiga, uno dei fondatori del Pci, che era ingegnere. Giuseppe Di Vittorio, futuro segretario della Cgil, allevava galline. Un milite in camicia nera, di guardia nella garitta 24 ore su 24, impediva che parlassero con noi. Però ricordo che la domenica uno di loro si fermava per un istante sull’uscio di casa nostra, attratto dal brusio della radio a galena, e chiedeva: “La mia Inter cosa fa?”».
Con un’altra delle sue battaglie politico-amministrative, trent’anni fa Prudente ha ottenuto la residenza sull’isola di Palmarola, che dista 5 miglia da Ponza, lontana a sua volta 18 miglia da San Felice al Circeo, il punto di terraferma più prossimo. Ci abita, tutto solo, dalla fine di settembre alla fine di maggio. Impossibile resistere al richiamo di quello scoglio che affiora dal mare. «Lascio la moglie, i due figli, i nipoti e vado. Credo che sia la mia anima a convocarmi». Adesso che ha un po’ d’insufficienza respiratoria, il romitaggio presenta molte più incognite. «D’estate? Mai». In questa stagione Palmarola smarrisce il suo fascino selvaggio, diventa preda dei turisti che vi approdano da mattina a sera. «L’80 per cento delle imbarcazioni che fanno rotta sulle Isole Ponziane arriva anche qui». Sono i tre mesi in cui la meta arretra anche nelle classifiche personali di Folco Quilici, l’unico documentarista che ha battuto tutti gli oceani e che la considera fra le dieci isole più belle del pianeta, e di Bruno Vespa, che peraltro può continuare ad ammirarla a distanza dalla sua fantastica casa di Ponza scavata nella roccia, con terrazza a picco sul mare.
Nell’unica isola della Repubblica italiana che misuri 1 chilometro quadrato e abbia una densità di popolazione di 1 abitante per chilometro quadrato era inevitabile che quell’unico abitante si autoproclamasse dapprima sindaco e poi presidente, come certifica la carta intestata che s’è fatto stampare. In realtà Ernesto Prudente, capo dello Stato libero di Palmarola, è da una vita il re di tutto l’arcipelago ponziano. Un’autorità morale indiscussa, eletta per acclamazione. E da monarca assoluto parla del suo quasi omologo, il sindaco, in questi giorni torridi, con la Procura di Latina impegnata a sequestrare attracchi abusivi e noleggi di barche: «Ponza è un’isola splendida, unica al mondo. Le istituzioni avrebbero l’obbligo di servirla in ginocchio. Invece... Come proprietario di un pontile, il signor sindaco è l’ultimo che può aprire bocca. Deve soltanto dimettersi. Pensi che ha appena ordinato alla polizia urbana d’indagare su tutti coloro che hanno una partita Iva. Da non credere. Ha messo gli uni contro gli altri. Una faida, sembra di stare in Calabria».
L’ultima volta che un primo cittadino venne costretto a lasciare lo scanno fu nel 2001 e il compito di farlo sloggiare se lo assunse in prima persona, a dispetto del cognome che porta, Prudente. «Chill’era nu sindaco per modo di dire, visto che amministrava società in affari col Comune. Lo portai in tribunale per conflitto d’interessi. Arrivai a mie spese fino in Cassazione. Vinsi io. Adesso il detronizzato è stato accolto nell’Italia dei valori da Antonio Di Pietro», socchiude a fessura gli occhietti azzurro cielo, come a dire che Dio li fa e poi li accoppia.
Il presidente di Palmarola, vecchio socialista, era bambino quando imparò che cosa fosse la politica, quella vera. «Ponza divenne luogo di confino degli antifascisti un anno prima che io nascessi. In via Dragonara, dove abitavo, c’erano tre mense per gli esiliati. Di lì passavano tutti, Pietro Nenni, Sandro Pertini, Giorgio Amendola, Umberto Terracini, Altiero Spinelli, Lelio Basso, anche se allora noi manco sapevamo chi fossero. Il progetto di ristrutturazione della casa di mia nonna Giuseppa Albano reca la firma di Amadeo Bordiga, uno dei fondatori del Pci, che era ingegnere. Giuseppe Di Vittorio, futuro segretario della Cgil, allevava galline. Un milite in camicia nera, di guardia nella garitta 24 ore su 24, impediva che parlassero con noi. Però ricordo che la domenica uno di loro si fermava per un istante sull’uscio di casa nostra, attratto dal brusio della radio a galena, e chiedeva: “La mia Inter cosa fa?”».
Con un’altra delle sue battaglie politico-amministrative, trent’anni fa Prudente ha ottenuto la residenza sull’isola di Palmarola, che dista 5 miglia da Ponza, lontana a sua volta 18 miglia da San Felice al Circeo, il punto di terraferma più prossimo. Ci abita, tutto solo, dalla fine di settembre alla fine di maggio. Impossibile resistere al richiamo di quello scoglio che affiora dal mare. «Lascio la moglie, i due figli, i nipoti e vado. Credo che sia la mia anima a convocarmi». Adesso che ha un po’ d’insufficienza respiratoria, il romitaggio presenta molte più incognite. «D’estate? Mai». In questa stagione Palmarola smarrisce il suo fascino selvaggio, diventa preda dei turisti che vi approdano da mattina a sera. «L’80 per cento delle imbarcazioni che fanno rotta sulle Isole Ponziane arriva anche qui». Sono i tre mesi in cui la meta arretra anche nelle classifiche personali di Folco Quilici, l’unico documentarista che ha battuto tutti gli oceani e che la considera fra le dieci isole più belle del pianeta, e di Bruno Vespa, che peraltro può continuare ad ammirarla a distanza dalla sua fantastica casa di Ponza scavata nella roccia, con terrazza a picco sul mare.
La sua caverna non è certo all’altezza.
«Parva sed apta mihi, avrebbe detto Orazio. Trenta metri quadrati: cucina, due camerette, bagno e cambusa. Piccola ma adatta a me».
Né luce, né gas.
«Ci sono i pannelli solari, tre gruppi elettrogeni, un’elica che col vento alimenta sei batterie. Congelatori e frigorifero funzionano a gas. Una bombola mi dura un mese. Ho la radio per comunicare con le navi di passaggio, con i pescatori e con la famiglia. Mia moglie mi chiama da mezzogiorno all’una e dalle 19 alle 20. Adesso poi ci sono i telefonini: se mi metto sul versante dell’isola che guarda Ponza posso parlare con chi voglio. L’unica volta che mi sono dimenticato d’accendere il cellulare, uno dei miei figli è piombato qui scortato da un suo amico alto un metro e 90, che di scarpe porta il 47. Io, ignaro di tutto, udendo il tramestio fra gli arbusti, ho lanciato un fischio da stadio. Subito s’è sentito un urlo: “È vivo!”. Mi credevano morto. Però subito dopo m’avrebbero ammazzato volentieri. Vuol mettere le tribolazioni dei contadini che c’erano prima di me? Dovevano accendere un falò alle estremità di Palmarola. Quello era il segnale che avevano bisogno di aiuto».
Per l’acqua come fa?
«Se il mio antro si chiama Grotta dell’acqua, un motivo ci sarà, le pare? Gli uomini preistorici ci scavarono una cisterna. Ho da parte 10.000 litri di acqua piovana».
Quali sono i momenti più brutti a Palmarola?
«Sono anche i più belli, quando il mare è in burrasca e sembra che voglia annettersela. Allora scendo fino all’insenatura dove urla di più, dove cerca di prendersi i faraglioni, e me ne sto lì in contemplazione per ore».
Non teme che un’onda anomala la sommerga?
«Tipo tsunami lei dice? Be’, ci sono alcuni posti di passaggio in cui, se non stai attento, la tempesta ti porta via. Ma il mio rifugio è a 170 metri sul livello del mare. L’unica cosa che non faccio mai, neppure con la calma piatta, è andare a pesca. Gli scogli sono pericolosi e io, con l’età, ho imparato che non devo cadere».
Che cosa apprezza di più dell’isola?
«Il silenzio. In certi valloni è così profondo che mette paura».
C’è qualcuno che vorrebbe ritirarsi a vivere qui?
«Tantissimi. Solo che dopo tre giorni mi dicono: “Chiami una barca, per favore”».
Anche Vip?
«Io me ne strafotto dei Vip. L’unico al quale non ho ancora stretto la mano è quello vestito di bianco».
Chi sarebbe?
«Il Papa. Ma solo perché non è mai venuto né a Ponza né a Palmarola. Per il resto, sono stato presentato a tutti, da Costantino di Grecia a Juan Carlos di Spagna. Mi considero l’uomo più ricco del mondo. Ho tanti amici. Qualunque cosa mi passi per la testa, loro me la procurano. Mi sono riconoscenti per il fatto che gli metto a disposizione la mia povertà. È difficile condividere la povertà. Se lei è povero, quel poco che ha cerca di tenerlo per sé. Due giorni fa mi hanno regalato una grancevola, assai più rara dell’aragosta. E un mese fa ho assaggiato per la prima volta in vita mia i mirtilli. Io contraccambio con mazzetti di asparagi selvatici, che qui crescono in abbondanza».
Nel 1995 i carabinieri scoprirono suoi conterranei che d’estate affittavano le grotte neolitiche di Palmarola per 6 milioni di lire al mese.
«Guardi, sono grotte che il re di Napoli nel 1788 suddivise fra alcune famiglie ponzesi. Niente di abusivo. I carabinieri sono venuti anche a casa mia, a cercare punte di lancia fatte con la selce e raschiatoi di ossidiana. E cocci di anfore e di tegole dei Romani. Continuo a trovarne e mi preoccupo di salvarli».
Se l’uomo è un animale sociale, com’è che lei va in cerca di solitudine e di silenzio?
«Perché devo far parlare il mio interno».
E che cosa le dice il suo interno?
«Che solo a Palmarola posso tornare bambino e assecondare la mia sensibilità per quei valori della natura che oggidì sono d’intralcio agli altri uomini».
Mi parli della natura sull’isola.
«Tanti serpenti, ma non pericolosi, soprattutto bisce d’acqua. Tante lucertole. Tanti topi. Ho sempre con me il mio Geppo. È un drahthaar, un cane da ferma tedesco. Senza, mi sentirei morto. Ci parliamo. Lui lo sa che sull’isola siamo soli. Va a dormire nella cuccia soltanto quando mi sono coricato io».
Entrambi esiliati come San Silverio, il 58° Papa, patrono di Ponza. Stando al «Liber Pontificalis», le sue spoglie mortali sono ancora qui.
«Ho fatto ricerche. La storia del pontefice non è ben chiara. Deposto dall’imperatrice di Costantinopoli, Teodora, moglie di Giustiniano, fu trascinato a Palmarola, dove morì di stenti nel 537. Su quel faraglione c’è la sua cappella. Il 9 giugno arriva un barcone, il prete vi celebra la messa, poi il labaro del santo viene portato per la novena a Ponza, dove il 20 giugno c’è la festa patronale».
Terra di confino da 1500 anni, Mussolini non inventò nulla.
«Su questo ho avuto una dura polemica con l’altro Silverio, Corvisieri, il fondatore di Avanguardia operaia, che è originario di Ponza. Ho dato ragione a Berlusconi, che nell’estate di sei anni fa aveva descritto il confino fascista come una villeggiatura. Non v’è dubbio che il Duce decise di mandare i suoi nemici a Ponza perché il luogo è molto ameno. Lo scelse per far capire all’estero, soprattutto in Francia, che il regime trattava bene gli oppositori. Con questo non voglio dire che togliere la libertà a un uomo non rimanga il peggiore dei delitti».
Non è che i ponzesi siano inclini alla litigiosità, vero?
«Ma no. È solo che il nostro mare è ricco di aragoste e di polipi, i quali notoriamente si detestano, tanto che di due attaccabrighe diciamo che parene u purpe e a ravoste. Del resto pretesti per arrabbiarci ce ne forniscono tutti i giorni».
Si riferisce ai pontili?
«Quello è solo il casus belli. Il porto risale all’epoca dei Borboni. Non è facile ormeggiare in questa rada, i barcaioli si sono dovuti arrangiare con i blocchi di cemento in fondo al mare. Ora i magistrati li sequestrano perché sono abusivi. Bella scoperta, si sapeva da 40 anni. Però attraccano ai corpi morti anche le motovedette dei carabinieri, della Guardia costiera e delle Fiamme gialle. Non si possono creare nuovi ormeggi perché deturpano la costa. Allora perché non riesumare l’antico porto romano, che sta sott’acqua da duemila anni? È un’insenatura naturale che entra nell’isola per un chilometro e non si vede dal mare, sarebbe un approdo molto sicuro per l’inverno. Ci sentiamo abbandonati. Il collegamento della Caremar con Anzio di solito durava fino al 30 settembre. Quest’anno hanno annunciato che cesserà il 22 agosto. Incredibile».
Che cosa prova quando deve salire sull’aliscafo per raggiungere il continente?
«Una brutta sensazione. La nave che lascia questa costa fa un danno all’anima. E lo fa a tutti, perché tutti mi dicono di provare la stessa cosa».













giovedì 6 agosto 2009

EROI VITTIME DI UNA GIUSTIZIA POLITICA DI PARTE. (click)

«Attaccamento alle istituzioni»: encomio in carcere per Ignazio D'Antone


La sua storia fa il paio con quella di Bruno Contrada. Tutti e due superpoliziotti a Palermo nei caldissimi anni Ottanta, tutti e due finiti sotto accusa per concorso esterno in associazione mafiosa, tutti e due condannati a dieci anni per avere - così hanno stabilito le sentenze - tradito lo Stato, favorendo la latitanza di boss di Cosa nostra. Eppure appena qualche giorno fa Ignazio D'Antone, 67 anni, detenuto da cinque, ha ricevuto un encomio dall'organizzazione pentitenziaria militare del carcere in cui si trova rinchiuso, quello di Santa Maria Capua Vetere, a Caserta. La motivazione? Perché «ha dimostrato di essere in possesso di un attaccamento alle istituzioni profondamente sentito».
L'encomio risale a qualche settimana fa. A rendere nota la notizia, il difensore di Contrada, l'avvocato Giuseppe Lipera, che si chiede, amaro, se già la sola motivazione di questo riconoscimento ufficiale «non basterebbe per avanzare istanza di revisione della sentenza di condanna basata su un reato non previsto dal nostro codice penale e cioè concorso esterno in associazione mafiosa».
La motivazione dell'encomio è molto articolata. «Detenuto in espiazione pena -si legge -dalle eccellenti doti complessive che ha sempre assicurato, peraltro a titolo esclusivamente gratuito, una spontanea e assidua collaborazione nelle attività scolastiche che caratterizzano la vita dell'istituto. In particolare - prosegue il riconoscimento ha fornito un contributo determinante nella preparazione dei volontari in ferma prefissata annuale al superamento delle prove concorsuali per il passaggio alla ferma prefissata di quattro anni».
L'encomio ricorda che gli operatori preparati da D'Antone hanno ottenuto ottimi risultati in sede di concorso. «La profonda attività di "umanizzazione" dimostrata nei confronti di tutta la popolazione carceraria - continua la nota di elogio -nonché il tatto sempre signorile riservato agli operatori è da prendere quale esempio da imitare malgrado le difficoltà connesse con lo stato di detenzione. Il dottor D'Antone - è la conclusione -ha dimostrato di essere in possesso di un attaccamento alle istituzioni profondamente sentito».
Catanese, capo della squadra Mobile di Palermo dopo l'uccisione, il 21 luglio del 1979, di Boris Giuliano, D'Antone negli anni Ottanta è stato uno degli uomini di punta della polizia di Palermo. Ha diretto, tra l'altro, anche la Criminalpol del capoluogo siciliano, quindi è stato nell'ufficio dell'Alto commissario per la lotta alla mafia e poi al Sisde. A chiamare in causa D'Antone - così come Contrada - alcuni pentiti. Due in particolare gli episodi contestati: il mancato blitz, nel 1984, all'hotel Costa Verde di Cefalù durante la festa di nozze di Antonino Spadaro, figlio del boss della Kalsa; e un altro presunto blitz mancato, nel 1983, quello al battesimo del nipote di Pietro Vernengo. D'Antone ha sempre respinto tutte le accuse, sostenendo di avere sempre fatto il suo dovere di poliziotto, altro che favoritismi ai boss. Anche i vertici di Polizia e forze dell'ordine chiamati al suo processo hanno confermato il suo comportamento irreprensibile. Ma, come per Contrada, non è bastato. La sentenza di condanna è definitiva dal maggio del 2004.

sabato 1 agosto 2009

POVERA PATRIA MIA CHE DEVE ASSISTERE A QUESTE COSE ! (click)

Retroscena del partito degli affari
di Peppino Caldarola

La «questione morale» irrompe nel congresso del Pd. Ci aveva provato maldestramente Ignazio Marino il giorno dopo l’arresto dello stupratore di Roma, Luca Bianchini, dirigente di sezione del Pd. Fu un tentativo ridicolo che provocò scandalo e costrinse il senatore ad una rapida marcia indietro. In verità appena pochi giorni dopo fu lo stesso Marino ad essere coinvolto in una brutta storia. L’università di Pittsburgh l’accusò di aver falsificato alcune note spese e il candidato alla segreteria del Pd, dopo aver gridato al complotto, ammise le irregolarità. Ora tocca alla bufera pugliese che vede coinvolti tutti i partiti di centro-sinistra, fra cui il Pd, in una brutta storia di tangenti e di mafia, e di escort, per forniture sanitarie.
L’ultimo anno ha visto diverse organizzazioni e molti dirigenti del Pd messi sotto tiro dalla magistratura. Il record delle inchieste spetta a due regioni. In primo luogo alla Campania dove Antonio Bassolino è stato inquisito per il ciclo dei rifiuti. Sempre in Campania è sotto inchiesta la sindaca Rosa Russo Iervolino e un’indagine riguarda anche la provincia di Salerno. L’altra regione record del presunto malaffare è la Calabria, dove la giunta Loiero è da tempo sotto i riflettori dei magistrati e l’uomo forte del Pd, l’ex segretario regionale Nicola Adamo, ha il suo gran daffare per tirarsi fuori da indagini che lo hanno lambito. Inchieste si stanno occupando della giunta regionale di centro-sinistra della Basilicata. Un’inchiesta ha travolto la giunta regionale abruzzese e il povero Del Turco. Risalendo la penisola troviamo gli avvisi di garanzia all’ex assessore della giunta Domenici di Firenze, Graziano Cioni mentre ad Ancona il 4 febbraio un’indagine toccò il sindaco Sturani che non è stato più ripresentato nelle recenti amministrative. Questi sono i casi maggiori poi vi sono numerosi piccoli episodi locali.
In questo quadro cade fragorosamente l’indagine pugliese. Qui il salto di qualità è straordinario. L’intero sistema politico del centro-sinistra è sotto indagine su una materia, la Sanità, che era stata fatta oggetto di una dura polemica di Vendola contro la giunta Fitto e contro Fitto medesimo quando gli capitò di finire sotto i riflettori di un’altra inchiesta giudiziaria. Il «caso pugliese» differisce dagli altri perché il sospetto degli inquirenti è che non ci si trovi di fronte ad un certo numero di «mariuoli» ma al cospetto di un vero sistema di potere che collega uomini politici, personaggi degli enti erogatori e imprenditori scaltri. L’indagine riguarda gli ultimi quattro anni della giunta regionale, praticamente dall’inizio della legislatura.
Di fronte a tutto questo i candidati alla segreteria del Pd tacciono, in attesa che passi «’a nuttata». Eppure «’a nuttata» sarà lunga da passare perché gli scandali, al di là delle responsabilità personali da accertare, indicano che nel Sud, ma anche in molte realtà del Centro-Nord, il Pd ha subìto una vera mutazione genetica. In molte realtà i gruppi dirigenti non sono più selezionati attraverso la pratica antica della cooptazione. Per fare il dirigente devi pagare. Nei vecchi partiti i leader sceglievano i propri luogotenenti, a cui affidavano il compito di controllare il consenso, attraverso l’uso della clientela. Ora la cooptazione fa prevalere altre priorità. Il dirigente periferico che vuole emergere deve dimostrare di essere in grado di procurare quattrini, di saper navigare nelle acque dello stagno in cui affari e politica si incrociano.
La politica è costosa e chiunque si immetta nel circuito politico deve avere una propria autonomia finanziaria e sarà tanto più apprezzato dai vertici locali e da quelli nazionali quanto più sarà in grado di essere autosufficiente nell’organizzare iniziative che non cadano sul bilancio del partito. In ogni realtà c’è un uomo forte che è in grado di organizzare una festa, una cena di centinaia di persone, di stampare manifesti e materiale elettorale che saranno pagati da imprenditori compiacenti. Si racconta anche di note spese di sartoria che finiscono nei bilanci di alcune aziende. Si crea così una sorta di catena fra questi «found riser» locali e quelli che controllano il partito a livello comunale, provinciale e nazionale. È una struttura affaristica che è diventata la vera ossatura del partito «leggero».
Un tempo c’erano i vecchi amministratori che sulle tessere e sulle feste dell’Unità costruivano il tesoretto che serviva alla politica. Oggi questo nuovo tesoretto non sempre va nelle casse di partito ma finisce nelle diverse associazioni dirette spesso da parlamentari o ex parlamentari. Ma questa raccolta di fondi non si esaurisce nella richiesta di denaro ai «compagni benestanti», ma deve dar vita a una vera e propria impresa politico-economica. Qui nascono l’affare e l’affarismo. Qui il giovane dirigente ambizioso in grado di sostenere le spese della propria organizzazione e della propria campagna elettorale scopre che c’è un appalto che può favorire un amico generoso. Nel Sud questo appalto il più delle volte riguarda il mondo della Sanità. A questo punto c’è il salto di qualità, l’ingresso nel cenacolo dei potenti, la proiezione nel ruolo nazionale. È un reticolo di rapporti fittissimo, difficile da rompere, ma che soprattutto nessuno vuole rompere. Sarebbe interessante sapere dai candidati segretari del Pd se intendono fare qualcosa per spezzare questo intreccio affaristico. Nel Pd, almeno nel Sud, c’è una gigantesca «questione morale».

venerdì 31 luglio 2009

ANNI DI PIOMBO, INQUIETANTE DOCUMENTAZIONE (click)

Dal blog CIELI LIMPIDI di Gabriele Paradisi (raggiungibile cliccando sul titolo) si apprendono cose davvero inquietanti su Moro, la sua morte, la strage di Bologna e il lodo Moro...
Episodi terribili di quelli che vengono definiti Anni di piombo e su cui ancora non si è fatta sufficiente chiarezza.
Fin quando questa non sarà fatta, ci porteremo sulle spalle un peso che non farà di questa Italia un Paese libero.

sabato 21 febbraio 2009

IL MITO DI ROMA

E’ uscito lo scorso anno il libro “Il mito di Roma. Da Carlo Magno a Mussolini”, scritto da Andrea Giardina, antichista, ed André Vauchez, medievista. Questo saggio non concerne la storia romana in quanto, bensì, come spiega eloquentemente il titolo stesso, la storia della continuità ideale e simbolica di Roma antica nelle epoche posteriori.
La tesi fondamentale è che il modello di civiltà rappresentato da Roma abbia segnato la cultura occidentale in misura persino maggiore di quelli offerti da Gerusalemme e da Atene, beninteso in determinati campi ed ambiti.
Praticamente tutti i popoli che hanno più segnato la storia europea dal momento della caduta di Roma hanno dovuto confrontarsi con la sua eredità ed hanno considerato la storia della Città Eterna quale un modello esemplare da seguire ed imitare. Le civiltà posteriori oltre a ricercare l’imitazione nei riguardi della repubblica e dell’impero romani, ebbero nei confronti della storia dell’Urbe come un complesso di inferiorità, riconoscendo implicitamente l’irripetibilità delle sue vicende e del suo operato: già questo fu l’atteggiamento di Carlo Magno, che pure fu il padre di una rinnovata istituzione imperiale in Occidente.
L’opera presenta quindi una successione impressionante di nazioni, capi di stato, condottieri ecc. che vollero, in un modo od in altro, proclamarsi eredi e continuatori di Roma antica, appunto da Carlo Magno a Mussolini, passando per Ottone III, Federico II di Svevia, Carlo V d’Asburgo, Luigi XIV, Napoleone, e molti, moltissimi altri. Fra le entità politiche, l’impero dei Franchi, la Francia monarchica, la Repubblica francese, tutti e tre i “Reich” tedeschi (il primo medievale, il secondo fondato da Bismarck e persino quello nazista), la Spagna imperiale ecc. trassero ispirazione da Roma.
Questi due studiosi, Giardina e Vauchez, hanno inoltre il merito di spiegare ai lettori in quale modo i personaggi e le civiltà suddette abbiano inoltre introdotto delle forzature e mistificazioni nell’interpretazione della storia romana, al fine di meglio proporsi quali suoi continuatori. In questa opera di de-mitizzazione storica largo spazio è riservato al fascismo ed al nazismo, la cui imitazione di Roma antica fu limitata soltanto ad alcuni aspetti, tralasciandone intenzionalmente altri con un’operazione deformante.
Il lavoro, preparato da una coppia di storici d’indubbio valore, è senz’altro di alto livello. Un’osservazione critica si può comunque rivolgere allo studio non tanto per negare quanto sostiene, quanto per ampliarne la prospettiva in un duplice modo.
Anzitutto, l’opera di Giardina e Vauchez si limita intenzionalmente alla sola Europa occidentale, trascurando la presenza del “mito di Roma” nell’area orientale, non solo con l’impero costantinopolitano o “romeo”, che rimase sino alla sua fine del 1453 la diretta ed ininterrotta prosecuzione dell’impero romano d’oriente, ma anche con i Rumeni, presso i quali l’idea di essere discendenti da Roma è fondamento dell’identità nazionale, presso la “terza Roma”, cioè la Santa Russia degli zar, e persino presso i Turchi, il cui impero rivendicò se stesso quale prosecuzione di quello romano. Anzi, bisognerebbe parlare del “mito di Roma” anche nel continente americano, da Simon Bolivar il Libertador, che concepì il suo progetto politico di liberazione dal colonialismo spagnolo durante la sua visita a Roma stessa ed in conseguenza della medesima, sino agli USA attuali, che nelle proprie èlites coltivano l’idea di una renovatio imperii, persino sul piano strettamente simbolico (il Campidoglio, l’aquila americana ecc.).
Inoltre, Roma non si è limitata a trasmettere la sua eredità sul piano politico, avendo segnato la storia posteriore anche, e forse soprattutto, negli ambiti del diritto, dell’arte militare, della letteratura, del cristianesimo. D’altronde, gli studi al riguardo abbondano e Giardina e Vauchez avrebbero rischiato di dover ripetere quanto già detto da altri.
In conclusione, lo studio “Il mito di Roma” è sicuramente pregevole, anche se, causa le dimensioni smisurate dell’argomento, finisce con l’amputare e restringere in maniera eccessiva.

martedì 17 febbraio 2009

SILENZIO COLPOSO (clik)


In questo giorno per noi gioioso della riconquista politica della Sardegna io ti voglio ricordare e ringraziare per la tua opera a favore dell'Italia tutta.
Grazie indimenticato Predidente della Repubblica ANTONIO SEGNI.

giovedì 12 febbraio 2009

NESSUN MALATO SOFFRA FAME E SETE (click)

Nessun malato deve soffrire per mancanza del necessario e la vita umana va vissuta con pienezza anche quando è fiaccata dal male. È quanto ha riaffermato ieri pomeriggio Benedetto XVI rivolgendosi ai malati dell’Unitalsi e ai pellegrini dell’Opera romana pellegrinaggi nella celebrazione della Giornata mondiale del malato che la Chiesa celebra in coincidenza con la memoria liturgica della Vergine di Lourdes. «Ci rendiamo conto sempre più che la vita non è un bene disponibile, ma un prezioso scrigno da custodire e curare con ogni attenzione possibile, dal momento del suo inizio fino al suo ultimo e naturale compimento»

giovedì 5 febbraio 2009

ELUANA ENGLARO



Abbiamo il coraggio di lottare in questa guerra per la sopravvivenza.
Non servono armi, serve solo la volontà e l'onestà.