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giovedì 21 maggio 2009

Fumetti porno, Genova spiega il sesso ai bimbi

A cos'altro dovremo soggiacere ?
Come si può non essere anticomunisti ?

sabato 3 gennaio 2009

QUESTA LA SCUOLA IN ITALIA (click)

Scuola, il sistema pedagogico-insurrezionale
Scritto da Simonde de Sismondi
sabato 03 gennaio 2009

Come molti hanno osservato, l'aspetto più rilevante delle proteste del mondo della scuola non è costituito dalla loro presunta "novità", quanto piuttosto dalla continuità rispetto al passato. Da oltre quarant'anni non vi è stato anno scolastico che non abbia visto il consueto rituale delle autogestioni, delle occupazioni, con relativo cascame di cortei e manifestazioni di protesta varie. Tutto ciò non può essere quindi considerato un fatto eccezionale, quanto piuttosto una realtà "istituzionale", e strutturale della scuola italiana. In questi anni, per più ragioni, si è progressivamente sviluppato un sistema formativo che potremmo definire pedagogico-insurrezionale, di cui occorre analizzare con attenzione logiche, organizzazioni e finalità educative. Il carattere principale di tale sistema è costituito da una concezione della vita associata in chiave populistico- ribellistica. Il modello di società cui fa riferimento è un comunitarismo di ascendenza roussoviano-totalitaria, in cui convivono contemporaneamente dirigismo centralista da un lato e assemblearismo dall'altro. Entrambi questi due elementi, non sono affatto in contraddizione ma spesso e volentieri complementari. In primo luogo, per entrambi ogni aspetto dell'esistenza deve essere determinato e gestito da decisioni politiche: non c'è spazio per scelte autonome, funzioni o ruoli prestabiliti e chiaramente disciplinati per legge; tutto deve essere estremamente fluido e indistinto, pronto ad eseguire decisioni politiche assunte a livello centrale o condizionabile da decisioni assembleari a livello locale.
Il carattere centralistico e dirigista non è certamente una novità dell'attuale scuola di stato, ma è ad essa connaturato, sin dalla sua nascita, con l'unità d'Italia: più che occuparsi della formazione degli italiani, il nuovo sistema scolastico doveva creare un senso di appartenenza alla nuova nazione, creare una cultura e una sensibilità nazionale. Realizzata l'unità d'Italia per via autoritaria ed elitaria, ben poco condivisa dal resto della popolazione, con procedure il più delle volte sommarie e approssimative (i famosi plebisciti) si dovevano "fare gli italiani". Un obiettivo questo, come si vede, non puramente istituzionale, ma ideologico. Questa centralità della dimensione etico-politica non subirà alcun mutamento nelle vicende successive della storia italiana. D'altra parte, una volta creato uno strumento propagandistico di questo genere, è alquanto difficile, per chi detiene il potere rinunciarvi. Molto meglio usarlo per i propri scopi. E infatti il fascismo ne amplierà a dismisura il carattere ideologico-propagandistico: non soltanto le materie di studio dovevano evidenziare la centralità del regime, ma viene introdotto anche lo studio della cultura fascista, in linea con le più aggiornate esperienze totalitarie. Oltre a questo, si amplierà ulteriormente la presenza dello stato in ambito educativo, attraverso l'attribuzione ad esso di compiti specificamente assistenziali. Questa sorta di cavallo di Troia dello statalismo, la necessità di intervenire per rispondere a "bisogni"fondamentali", resterà una costante della cultura scolastica italiana e verrà adottato nel dopoguerra della sinistra cattolica e comunista, sotto forma di lotta per l'imposizione del "tempo pieno". Il comunismo il fascismo e il cattolicesimo "adulto" di sinistra sono accomunati dalla convinzione che, nella società moderna, le normali famiglie non siano in grado di educare i propri figli e che questo compito debba essere assunto da illuminate élite pedagogico-politiche che gravitano attorno alla scuola pubblica in diretto collegamento on la politica. Esse, in varie forme e partendo da diverse ispirazioni, fanno propria una visione millenaristica e utopistica della modernità, come nuova e irreversibile fase della storia umana che ha creato un mondo "nuovo" caratterizzato dalla dominanza di paradigmi scientistico-positivistici cui deve essere assimilata l'attività educativa. In questo contesto, l'educazione e l'istruzione non è più trasmissione di regole di vita, ma pura applicazione delle tecniche ritenute più adeguate alle emergenze di uno stato-società idraulica, per usare le parole di Wittfogel, che per funzionare e vivere la sua "eccezionalità" storica richiede la cooperazione disciplinata di tutte le possibili energie umane.
Nel dopoguerra, la scuola è progressivamente diventata terreno di dominio della sinistra marxista e di quella democristiano-cattolica, entrambe interessate alle potenzialità ideologiche e politiche che questa consentiva. Erano forse queste le uniche forze che avevano un programma di gestione della scuola pubblica adeguato alle sue potenzialità totalitarie. A seguito delle rivolte del '68, in breve tempo monopolizzate politicamente dalla sinistra marxista, essa si è sempre più trasformata in strumento di propaganda politica e di agitazione politica della società. E' a partire da questo periodo che il sistema pedagogico insurrezionale si viene istituzionalizzando ed assume i caratteri "strutturali" tuttora presenti. In particolare, il monopolio culturale della sinistra fa della scuola pubblica il canale privilegiato per la diffusione delle sue idee e delle sue politiche e , per certi versi, per il reclutamento del suo personale politico. La quotidianità stessa della scuola è ormai intrisa dei suoi riti e delle sue liturgie: in particolare, la tipica tecnica dell'utilizzo a scopo propagandistico dello spontaneismo insurrezionale. Se non ci fosse la scuola pubblica, non esisterebbero forse movimenti estremistici di sinistra o per lo meno mancherebbe loro un adeguato mezzo di diffusione delle loro idee, che richiedono, per essere accettate e condivise il particolare stato emozionale ed esagitato che si viene creando nelle occupazioni e nelle "assemblee" cui spesso e volentieri i loro referenti, spesso convocati come "esperti" e vari insegnanti rigorosamente "democratici" non mancano di dare spontaneamente e con abnegazione il loro contributo, in gran parte nella totale assenza di un adeguato contraddittorio.
La presenza ubiqua di assemblee e consigli vari non è quindi un aspetto marginale di questo tipo di scuola: il testo dei decreti delegati del 1974, integrato e ampliato dal testo unico del 1994, prevede, infatti, assemblee di classe per una durata di due ore al mese e una intera giornata anch'essa mensile per le assemblee di istituto. Tutte quante queste manifestazioni devono utilizzare il tempo dedicato alla normale attività didattica.
Se nel 1974, in occasione dell'istituzione dei decreti delegati, ciò sanciva la provvisoria e confusa accettazione "istituzionale" all'interno del sistema scolastico delle forme organizzative di un movimento studentesco che doveva in primo luogo mantenere canali di collegamento tra vertici politicizzati e base studentesca, esso è, con l'andare tempo, diventato rito e prassi pedagogica. Sono numerose le dichiarazioni e le circolari che ribadiscono l'equiparazione delle ore di assemblea alle ore di lezione: il testo unico del 16\4\94 ribadisce, all'art. 13 che le assemblee studentesche "nella scuola secondaria superiore costituiscono occasione di partecipazione democratica per l'approfondimento dei problemi della scuola e della società in funzione della formazione culturale e civile degli studenti." Ulteriori interventi normativi, quali quella del MIUR del novembre 2003, precisano che le le assemblee "dedicate a problemi sociali, culturali, artistici e scientifici, alle quali abbiano partecipato esperti, regolarmente autorizzati dal Consiglio d'istituto, (comma 7, art. 13 T.U.), sono da considerare a tutti gli effetti come lezioni". E' praticamente difficile, se non impossibile, trovare assemblee che, almeno nominalmente, non siano convocate per la trattazione di importanti problemi sociali ecc. ecc. Ovviamente, nessuno si sogna di negare la libertà di riunione, ma un'interruzione annuale dell'attività didattica, e quindi dell'apprendimento delle materie di studio, pari a circa 15 giorni di scuola non ha il minimo senso, specie se si pensa che nulla vieterebbe di svolgere queste assemblee in ore non scolastiche e che in gran parte esse vedono la partecipazione di ristrette minoranze e sono in gran parte dedicate all'apprendimento di vari giochi o forme di espressione artistica (la dama, gli scacchi, il ricamo, le libere composizioni in carta o altre attività ludiche). Due o, al massimo, tre assemblee annuali sarebbero più che sufficienti. A questo vanno poi aggiunte le varie occupazioni e autogestioni, che normalmente comportano la perdita di almeno un mese di scuola all'anno.
Appare quindi chiaro che l'obiettivo principale del sistema pedagogico insurrezionale non è costituito dall'apprendimento di conoscenze disciplinari: queste, in realtà, costituiscono un aspetto secondario del percorso scolastico. Gli stessi programmi scolastici hanno di fatto un valore puramente indicativo e possono essere facilmente decurtati, a seconda della durata effettiva dell'anno scolastico. Tutto quanto questo spiega molto bene la disinvoltura con cui si occupano le scuole, o se ne interrompe il loro normale funzionamento, spesso per intere settimane se non mesi.Una scuola in cui l'attività didattica è costantemente interrotta per i motivi più disparati non fornisce alcuna seria competenza disciplinare, non conosce standard qualitativi rigidamente definiti con cui gli studenti devono confrontarsi, non è in altre parole una scuola seriamente selettiva. Studiare seriamente una qualsiasi disciplina richiede, infatti, una costante applicazione, una continua verifica delle conoscenze raggiunte. Non si può interromperne lo studio per settimane o mesi o magari proseguirlo distrattamente e superficialmente, limitandosi a qualche nozione malamente raffazzonata in pochi giorni. Occorre infatti entrare nello spirito di ciò che si impara, comprenderne il linguaggio e il significato. Tutto ciò non si ottiene certamente con un impegno saltuario e superficiale. Chi accetta di studiare in questo contesto, è del tutto lontano dall'idea che ciò che impara è importante e può determinare il proprio futuro. Nella migliore delle ipotesi, si limita ad un comportamento da travet sfaticato, che distribuisce sagacemente i giorni di interruzione e di aassenza in concomitanza con feste o alte interruzioni, o da soldato obbligato alla naia. Si impara solo a passare il tempo e a mettersi disciplinatamente in fila, in attesa di concorsi fasulli e assunzioni di precari vari. In pratica, usciti come studenti dalla scuola, ci si rientra come insegnanti spesso per effetto della solita sanatoria o abilitazione riservata.
Al disinteresse degli studenti corrisponde la tendenza tipica della pedagogia dominante a svalutare totalmente i "contenuti" rispetto all'apprendimento di astratte e confuse metodologie. Nella pratica, tali metodologie, si traducono in acritica esibizione di schemi banalmente behavioristici, di fatto indifferenti ad ogni contenuto culturale. Non si apprendono né contenuti né concetti, ma è tutto un farneticare di procedure, livelli di apprendimento, prove comuni, parametri di verifica, che non verificano niente eccetto il tempo perso nella messa in produzione di un costoso e incomprensibile fordismo burocratico
La stesse modalità di partecipazione dei genitori lasciano non poco a desiderare e contribuiscono ad abbassare ulteriormente la qualità della scuola. Sotto questo punto di vista, il legislatore è riuscito nel duplice "miracolo" di impedire un serio e trasparente controllo dei risultati da parte dei singoli genitori e degli studenti e allo stesso tempo di rallentare quando non demonizzare l'azione del docente. I primi, se chiedono una qualche spiegazione, si trovano di fronte ad una ipertrofica produzione cartacea priva di significato, gli altri vengono puntualmente colpevolizzati nel caso in cui la maggioranza della classe non ottenga risultati soddisfacenti(cosa che non corrisponde alla conoscenza degli elementi previsti nei programmi). Con una "saggia"gestione sinergetica tra studenti e genitori, dirigenze inebetite e insegnanti fannulloni una classe può quindi tranquillamente sbarcare il lunario studiando poco o nulla.
Si può anzi dire che in questo ambito gli studenti come individui non esistono nemmeno: ci sono solo le classi con relativi consigli. Tutto è deciso dai consigli di classe, per cui uno studente anche a 17\18 anni può avere una grave insufficienza in una materia ed essere promosso a maggioranza. Tutto ciò dà luogo ad una insostenibile ipertrofia assembleare: francamente non si capisce quale cruciale motivo possa esservi per convocare consigli di classe su base mensile; l'apprendimento del teorema di Pitagora o della consecutio temporum non avvengono su base assembleare. Sotto questo punto di vita la scuola funziona come se in un ospedale l'operato di un medico fosse sottoposto assemblearisticamente al controllo di un "consiglio di reparto" di cui farebbero parte i rappresentanti e i parenti dei pazienti.
Oltre a ciò, nella normativa non vi è una chiara distinzione tra le responsabilità e gli ambiti propri dei docenti e quelli dei genitori. Basta semplicemente pensare che le ridicole procedure assemblearistiche previste dalla normativa scolastica obbligano i docenti ad adottare libri di testo per classi in cui non insegneranno, e a sottoporli al parere di genitori ovviamente anch'essi appartenenti ad altre classi. Per adottare il libro di testo da lui ritenuto idoneo, un docente deve quindi passare clandestinamente, a mo' di roba distribuita al parco del Lambro, l'elenco delle sue adozioni ad un collega che a sua volta le sottoporrà alla vidimazione del consiglio classe.
Una scuola organizzata e gestita in questo modo è semplicemente una "morta gora", non produce nulla, eccetto il consueto rito mediatico delle insurrezioni-occupazioni. E' un apparato propagandistico utilizzabile a fini politici In pratica una mimesi di stampo totalitario, che prevede una partecipazione alla vita sociale in termini di ribellistici, con buona pace di chi crede che a scuola si impari l'educazione.

giovedì 23 ottobre 2008

LETTERA APERTA AGLI STUDENTI (clik)




Cari studenti, avete voglia di uscire dagli slogan? Lo so che in queste ore di inebriante ribellione vi sentite incaricati di una missione altissima. Guardavo per le vie e dentro le Tv i vostri volti sorpresi dal primo rossore pubblico, le mani abituate a chat e messenger che si levano timide a mostrare i tazebao, quelle mise un po’ smandrappate che si tirano dietro inconsapevoli strascichi di Sessantotto. E pensavo che quando dite di volere una scuola migliore, be’, avete proprio ragione. Ma come si fa ad avere una scuola migliore? Provate a tirare fuori dagli armadi delle aule gli slogan che vi hanno preceduto: «Ucci Ucci sento odore di Falcucci», «Con simpatia la Moratti a Nassirya», «Ministro Fioroni, servo dei padroni». A Berlinguer furono mostrate le chiappe, De Mauro fu sbertucciato come Pinocchio. Ora tocca alla Gelmini, che «divora i bambini». Le rime sono persino facili, avanti con la fantasia.

Vi siete mai chiesti, però, perché ogni riforma della scuola, proposta da qualsiasi ministro, di qualsiasi partito, è sempre fallita? Cui prodest? E che ci fanno dietro le vostre spalle professori e sindacalisti? E i no global? Che c’entrano? È davvero necessario occupare le scuole? E occupare le stazioni? Chi è che vi spinge a iniziative contro la legge? Che interesse ha? Che ci fanno i politici (persino l’assessore all’Istruzione di Napoli) fra i vostri banchi? Chi è che pensa di sfruttare il vostro primo rossore per colorare piazze altrimenti vuote? Vi hanno raccontato un sacco di balle sulla riforma Gelmini. L’hanno fatto in classe. L’hanno fatto in modo strumentale. Vogliamo discuterne? Noi siamo qui. A disposizione.

Oggi non invochiamo la Polizia: anzi, pensiamo che l’intervento delle forze dell’ordine per garantire lo svolgimento delle lezioni sarebbe una sconfitta per tutti. Pensateci. E, se potete, provate a uscire dal solito cliché delle barricate. Provate ad andare oltre gli slogan. Provate a discutere nel merito come si fa ad avere una scuola migliore. Questo sì che sarebbe, per una volta, davvero rivoluzionario.

sabato 20 settembre 2008

DURO & IMPURO by Luca Bagatin



E dunque......Buon XX Settembre a tutti !
Buona festa della Democrazia, delle Libertà, dell'Unità d'Italia e della Liberazione dal dogma e dall'assolutismo temporale vaticano !
Oggi è il giorno della festa della laicità. Una laicità che è sempre sana e positiva proprio in quanto consente a tutti di esprimere in un libero, civile e democratico Stato sovrano la propria opinione.
Il 20 settembre 1870 i Bersaglieri entravano a Porta Pia e restituivano Roma all'Italia, incoronandola capitale del Regno e sconfiggendo il Potere papalino, austroungarico e napoleonico, garantendo e costruendo pian piano uno Stato liberale e moderno coronando così il sogno dei monarchici liberali cavouriani, ma anche quello dei repubblicani mazziniani e garibaldini, dei massoni, degli ebrei (da sempre discriminati dal Potere vaticano), degli anticlericali ovvero di coloro che, lungi dall'essere antireligiosi, si battono da sempre contro i dogmi e gli assolutismi di ogni colore e fede politica o religiosa.
Il fascismo, negli anni '20, abolì la festa del XX Settembre anche proprio per ingraziarsi il favore della Chiesa cattolica.
Oggi le cose non sono cambiate. Lo stesso Bettino Craxi, pur laico, sancì un nuovo Concordato fra Stato italiano e Chiesa cattolica che, se da una parte garantiva una nuova separazione dei poteri, dall'altra concedeva al Vaticano il perverso sistema di finanziamento per mezzo dell'8 per mille in sede di dichiarazione dei redditi e la possibilità di assumere e scegliere insegnanti di religione, purtuttavia mantenuti dallo Stato italiano !
I vari leader politici di oggi, italiani o europei, da Berlusconi a Veltroni passando per Sarkozy e financo per l'ultimo Tony Blair, hanno dimostrato come è assai facile chinarsi di fronte al Vaticano. Del resto quest'ultimo ha dalla sua una potentissima banca che rende conto solo al Papa, ovvero lo IOR (Istituto per le Opere Religiose), nota anche per i suoi traffici sin dai tempi del fascismo e del nazismo passando per lo scandalo del Banco Ambrosiano.
Triste storia davvero, documentata anche dalle ottime opere di approfondimento del grande democratico azionista e liberale Ernesto Rossi da "Il manganello e l'aspersorio" a "Il Sillabo e dopo" sino a "Nuove pagine anticlericali".
Oggi più che mai il nuovo Capo dei cattolici, Sig. Joseph Ratzinger, cerca di entrare nelle sale del potere al fine di imporre i dogmi della sua Chiesa e costringendo, specialmente l'Italia, a rimanere indietro nella ricerca scientifica, la quale sarebbe capace di garantire nuovi scenari per la salute, e nell'ambito dei diritti civili ed individuali. Ciò è gravissimo e non degno dell'Occidente progredito e democratico.
Per questo è importante ricordare e celebrare il XX Settembre, Equinozio d'Autunno, che peraltro rappresenta una festa Pagana e Gnostica le cui tradizioni sono invise al dogma clericale in quanto portatrici di Luce e Verità interiore: figlie delle più Antiche Civilità che popolarono la Terra.
Oggi, come ogni anno, i Massoni del Grande Oriente d'Italia si recheranno a Porta Pia anche per rendere omaggio ai 60 anni della Costituzione Repubblicana con importanti interventi pubblici di Oscar Giannino, Massimo Teodori e molti altri.
I Radicali, invece, quest'anno celebreranno il XX Settembre a Londra, presso l'Istituto Italiano di Cultura, per dare un respiro europeo a questa festività, ricordando il Risorgimento Liberale e Repubblicano d'Europa e l'indimenticabile Sindaco di Roma Ernesto Nathan, mazziniano, radicale, ebreo, massone e d'origine inglese, il quale fu l'unico che riformò radicalmente la città in favore delle classi sociali più deboli, si prodigò per gli asili e la scuola pubblica gratuita per tutti e diede alla politica dell'epoca una forte impronta laica ed anticlericale.
Dunque, come dicevamo, Buon XX Settembre a tutti e che i Lumi di Porta Pia e dell'Equinozio d'Autunno possano illuminare le nostre menti e quelle delle generazioni successive per garantirci un presente ed un futuro civile, liberale e democratico.

Luca Bagatin
www.lucabagatin.ilcannocchiale.it

domenica 7 settembre 2008

Lode alla "santa" assessora che vuole sdoganare la religione

articolo di Antonio Socci
Pubblicato su Libero il giorno: 07/09/08
Elena Donazzan. Ricordatevi questo nome. Potrebbe diventare la nostra Sarah Palin. Non arriva dal bianco Alaska, ma dal Veneto bianco. Oggi è assessore regionale e chi la conosce sa che stoffa, che preparazione e che piglio ha. Pure l'aspetto, alquanto piacevole, e la giovane età ne fanno un personaggio. Rodato in quel vivaio di passioni politiche che è Alleanza Nazionale. Dunque la Donazzan è entrata nell'occhio del ciclone per questa sua proposta: rendere obbligatorio l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole della sua Regione. Dovrebbe essere un'ovvietà se non fossimo un Paese sciocco e smarrito. Franco Fortini, critico letterario e poeta di estrema sinistra fu il mio professore (più amato) all'università . Un giorno di febbraio arriva in aula e comincia a leggere ad alta voce un magnifico poema. Alla fine chiese se qualcuno sapeva cosa aveva letto. Era il "Mercoledì delle Ceneri" di T.S.Eliot. In effetti quel giorno si celebrava tale ricorrenza liturgica. Fortini ne chiese il significato. La gran parte non lo sapeva. Lui cominciò una filippica. In sintesi disse: «Voi siete in una facoltà di lettere a studiare l'arte, la letteratura, la filosofia, la storia e domani probabilmente andrete nelle scuole a insegnare. Ebbene, non potrete capire mai niente di tutto questo e neanche del Paese dove vivete e di questa città (Siena), senza conoscere perfettamente il contenuto della fede cattolica e quello che ha significato».Parola di un grande professore ebreo e marxista. Più o meno le stesse cose mi "gridò", qualche anno dopo, in una intervista per "Il Sabato", Massimo Cacciari, indignato dalla crassa ignoranza del cattolicesimo che aveva riscontrato, anche lui, nei suoi studenti.Meglio tardi che maiÈ prevedibile che contro la Donazzan ora l'intellighentsia progressista alzerà gli scudi: è la stessa intellighentsia che nei mesi scorsi si è spellata le mani, nelle piazze d'Italia, per applaudire le letture dantesche di Roberto Benigni. Ebbene la Divina Commedia è un compendio perfetto di teologia cattolica e non si capisce neanche una terzina senza conoscere il cattolicesimo.Sostanzialmente eliminata dagli studi scolastici dagli anni Settanta in poi, la Commedia oggi è stata riscoperta da coloro che l'avevano abolita. Meglio tardi che mai. Ma intanto abbiamo derubato i giovani della Bellezza (quella che contiene il Vero e il Bene) e dobbiamo correre ai ripari almeno da questa generazione in poi. I giovani soprattutto hanno bisogno della Bellezza come del pane, la poesia è la loro casa. Noi li abbiamo derubati e sfrattati dalla nostra storia. E ora si trovano stranieri in questa terra italiana ed europea. Apolidi della vita, erranti nel deserto che avanza. E spesso si vendicano del Nulla in cui li fanno vivere con la violenza.Il più grande educatore del nostro tempo, don Luigi Giussani iniziò le sue "lezioni di religione" al liceo Berchet di Milano, nel 1954, leggendo Leopardi. Pensate un po': il poeta "ateo e materialista" era indicato da Giussani come colui che più e meglio di chiunque coglie l'essenziale della vita, la nostra natura desiderante, le domande struggenti che vibrano nelle vene dei giovani e letteralmente ci fanno uomini: chi siamo, che senso ha la vita, perché "tutto passa e quasi orma non lascia", che senso ha il cielo stellato, dov'è la Bellezza le cui scintille si riflettono sul volto di ogni donna…Gesù Cristo è venuto e ha detto di essere lui la risposta a queste domande.Giussani non faceva "propaganda cattolica". No: insegnava a ragionare, a decifrare la condizione umana e a valutare le risposte. Come sa bene chi lo ebbe come professore, lui letteralmente insegnava la libertà, cioè l'uso della ragione che è la cosa più preziosa. Ma è quello che il cattolicesimo ha fatto per secoli con i popoli europei. Tanto è vero che proprio da questi popoli è sbocciata quella straordinaria capacità di indagine e di conoscenza dell'universo che - tradottasi in scienza e tecnologia - ha letteralmente civilizzato il mondo.Lo spiega benissimo il sociologo americano Rodney Stark nel libro "La vittoria della Ragione". Sottotitolo: "Come il cristianesimo ha prodotto libertà, progresso e ricchezza" (Lindau). E anche Thomas E. Woods in "Come la Chiesa Cattolica ha costruito la civiltà occidentale" (Cantagalli) . Dobbiamo ai monaci medievali tutto: perfino il parmigiano, il prosciutto e lo champagne. "Educatori economici" dell'Europa li definì lo storico (laico) Henri Pirenne. E i diritti dell'uomo e il diritto internazionale non sono nati nella teologica "Scuola di Salamanca" ? Perfino Bertrand Russel, nel suo libro più anticristiano, riconosce: "La libertà che vige nei paesi in cui la civiltà ha origine europea (cioè la sola libertà esistente nel mondo, nda) si può storicamente far risalire al conflitto fra Chiesa e Stato nel medioevo".Infatti, si può capire la Costituzione italiana senza le nozioni cattolicissime di "persona", corpi intermedi e sussidiarietà ? Il comunista (cattolico) Franco Rodano spiegò che perfino la bellezza della campagna umbra (e toscana) si deve al cattolicesimo e specialmente alla Riforma tridentina.Il piagnisteo laicoEvitiamo - per favore - il solito piagnisteo laico su questa proposta veneta. Perché la Donazzan ha dalla sua anche il meglio della cultura laica. Innanzitutto Kant in quale era convinto che "il Vangelo fosse la fonte da cui è scaturita la nostra cultura". Poi il "papa laico" Benedetto Croce: «Il Cristianesimo è stato la più grande rivoluzione che l'umanità abbia mai compiuta: così grande, così comprensiva e profonda, così feconda di conseguenze, così inaspettata e irresistibile nel suo attuarsi, che non meraviglia che sia apparso o possa ancora apparire un miracolo».Un altro grande intellettuale laico, Federico Chabod, nella "Storia dell'idea d'Europa", scrive: «Non possiamo non essere cristiani, anche se non seguiamo più le pratiche di culto, perché il Cristianesimo ha modellato il nostro modo di sentire e di pensare in guisa incancellabile; e la diversità profonda che c'è fra noi e gli Antichi, fra il nostro modo di sentire la vita e quello di un contemporaneo di Pericle e di Augusto, è proprio dovuta a questo gran fatto, il maggior fatto senza dubbio della storia universale, cioè il verbo cristiano.Anche i cosiddetti "liberi pensatori", anche gli "anticlericali" non possono sfuggire a questa sorte comune dello spirito europeo».Il simbolo del laicismo italiano, Gaetano Salvemini raccontò un giorno di essersi trovato in una stagione della vita come "sperduto nel buio" e dice di aver trovato una "guida e mi sono trovato bene a lasciarmene guidare. E questa guida è stato Gesù Cristo che ha lasciato il più perfetto codice morale che l'umanità abbia mai conosciuto. Io non so se Gesù Cristo sia stato davvero figlio di Dio o no. Su problemi di questo genere sono cieco nato. Ma sulla necessità di seguire la moralità insegnata da Gesù Cristo non ho nessun dubbio". Infine, per guardare all'estero, Richard Rorty (simbolo del neopragmatismo americano): «Se si guarda a un bambino come a un essere umano, nonostante la mancanza di elementari relazioni sociali e culturali, questo è dovuto soltanto all'influenza della tradizione ebraico-cristiana e alla sua specifica concezione di persona umana».E Karl Loewith: «Il mondo storico in cui si è potuto formare il "pregiudizio" che chiunque abbia un volto umano possieda come tale la "dignità" e il "destino" di essere uomo, non è originariamente il mondo, oggi in riflusso, della semplice umanità, avente le sue origini nell' "uomo universale" e anche "terribile" del Rinascimento, ma il mondo del Cristianesimo, in cui l'uomo ha ritrovato attraverso l'Uomo-Dio, Cristo, la sua posizione di fronte a sé e al prossimo».Elena Donazzan ha colto nel segno. E non va lasciata sola: una nuova scuola produce un'Italia nuova.
www.antoniosocci.it

(All'attenzione di Marco)

lunedì 28 luglio 2008

IL CINEMA ITALIANO E' IN LUTTO (click)



28/7/2008
Roma, è morta Marisa Merlini
L'attrice aveva 84 anni

All'età di 84 anni è morta nella sua casa romana l'attrice Marisa Merlini. Lo hanno annunciato i familiari. Era nata a Roma il 6 agosto 1923. Bruna, procace, dotata di una simpatia innata, appena diciassettenne aveva esordito con successo nella rivista. Fra le sue ultima apparizioni al cinema, nel 2005 ha preso parte al film di Pupi Avati "La seconda notte di nozze".

Il debutto sul set risale a quando aveva 20 anni e si impone come una delle migliori caratteriste del cinema italiano del dopoguerra.

Interprete di moltissime pellicole (soprattutto comiche, genere a lei particolarmente congeniale), non dimentica il palcoscenico e in varie occasioni si lascia tentare dalla televisione. Levatrice e madre non sposata che conquista (inutilmente) il cuore del maresciallo De Sica in "Pane, amore e fantasia" (1953) di Luigi Comencini, è poi una turista malinconica in "Tempo di villeggiatura" (1956) di Antonio Racioppi (ruolo con cui vince il Nastro d'Argento) e un'allegra prostituta in "Dramma della gelosia - Tutti i particolari in cronaca" (1969) di Ettore Scola.