sabato 3 gennaio 2009

QUESTA LA SCUOLA IN ITALIA (click)

Scuola, il sistema pedagogico-insurrezionale
Scritto da Simonde de Sismondi
sabato 03 gennaio 2009

Come molti hanno osservato, l'aspetto più rilevante delle proteste del mondo della scuola non è costituito dalla loro presunta "novità", quanto piuttosto dalla continuità rispetto al passato. Da oltre quarant'anni non vi è stato anno scolastico che non abbia visto il consueto rituale delle autogestioni, delle occupazioni, con relativo cascame di cortei e manifestazioni di protesta varie. Tutto ciò non può essere quindi considerato un fatto eccezionale, quanto piuttosto una realtà "istituzionale", e strutturale della scuola italiana. In questi anni, per più ragioni, si è progressivamente sviluppato un sistema formativo che potremmo definire pedagogico-insurrezionale, di cui occorre analizzare con attenzione logiche, organizzazioni e finalità educative. Il carattere principale di tale sistema è costituito da una concezione della vita associata in chiave populistico- ribellistica. Il modello di società cui fa riferimento è un comunitarismo di ascendenza roussoviano-totalitaria, in cui convivono contemporaneamente dirigismo centralista da un lato e assemblearismo dall'altro. Entrambi questi due elementi, non sono affatto in contraddizione ma spesso e volentieri complementari. In primo luogo, per entrambi ogni aspetto dell'esistenza deve essere determinato e gestito da decisioni politiche: non c'è spazio per scelte autonome, funzioni o ruoli prestabiliti e chiaramente disciplinati per legge; tutto deve essere estremamente fluido e indistinto, pronto ad eseguire decisioni politiche assunte a livello centrale o condizionabile da decisioni assembleari a livello locale.
Il carattere centralistico e dirigista non è certamente una novità dell'attuale scuola di stato, ma è ad essa connaturato, sin dalla sua nascita, con l'unità d'Italia: più che occuparsi della formazione degli italiani, il nuovo sistema scolastico doveva creare un senso di appartenenza alla nuova nazione, creare una cultura e una sensibilità nazionale. Realizzata l'unità d'Italia per via autoritaria ed elitaria, ben poco condivisa dal resto della popolazione, con procedure il più delle volte sommarie e approssimative (i famosi plebisciti) si dovevano "fare gli italiani". Un obiettivo questo, come si vede, non puramente istituzionale, ma ideologico. Questa centralità della dimensione etico-politica non subirà alcun mutamento nelle vicende successive della storia italiana. D'altra parte, una volta creato uno strumento propagandistico di questo genere, è alquanto difficile, per chi detiene il potere rinunciarvi. Molto meglio usarlo per i propri scopi. E infatti il fascismo ne amplierà a dismisura il carattere ideologico-propagandistico: non soltanto le materie di studio dovevano evidenziare la centralità del regime, ma viene introdotto anche lo studio della cultura fascista, in linea con le più aggiornate esperienze totalitarie. Oltre a questo, si amplierà ulteriormente la presenza dello stato in ambito educativo, attraverso l'attribuzione ad esso di compiti specificamente assistenziali. Questa sorta di cavallo di Troia dello statalismo, la necessità di intervenire per rispondere a "bisogni"fondamentali", resterà una costante della cultura scolastica italiana e verrà adottato nel dopoguerra della sinistra cattolica e comunista, sotto forma di lotta per l'imposizione del "tempo pieno". Il comunismo il fascismo e il cattolicesimo "adulto" di sinistra sono accomunati dalla convinzione che, nella società moderna, le normali famiglie non siano in grado di educare i propri figli e che questo compito debba essere assunto da illuminate élite pedagogico-politiche che gravitano attorno alla scuola pubblica in diretto collegamento on la politica. Esse, in varie forme e partendo da diverse ispirazioni, fanno propria una visione millenaristica e utopistica della modernità, come nuova e irreversibile fase della storia umana che ha creato un mondo "nuovo" caratterizzato dalla dominanza di paradigmi scientistico-positivistici cui deve essere assimilata l'attività educativa. In questo contesto, l'educazione e l'istruzione non è più trasmissione di regole di vita, ma pura applicazione delle tecniche ritenute più adeguate alle emergenze di uno stato-società idraulica, per usare le parole di Wittfogel, che per funzionare e vivere la sua "eccezionalità" storica richiede la cooperazione disciplinata di tutte le possibili energie umane.
Nel dopoguerra, la scuola è progressivamente diventata terreno di dominio della sinistra marxista e di quella democristiano-cattolica, entrambe interessate alle potenzialità ideologiche e politiche che questa consentiva. Erano forse queste le uniche forze che avevano un programma di gestione della scuola pubblica adeguato alle sue potenzialità totalitarie. A seguito delle rivolte del '68, in breve tempo monopolizzate politicamente dalla sinistra marxista, essa si è sempre più trasformata in strumento di propaganda politica e di agitazione politica della società. E' a partire da questo periodo che il sistema pedagogico insurrezionale si viene istituzionalizzando ed assume i caratteri "strutturali" tuttora presenti. In particolare, il monopolio culturale della sinistra fa della scuola pubblica il canale privilegiato per la diffusione delle sue idee e delle sue politiche e , per certi versi, per il reclutamento del suo personale politico. La quotidianità stessa della scuola è ormai intrisa dei suoi riti e delle sue liturgie: in particolare, la tipica tecnica dell'utilizzo a scopo propagandistico dello spontaneismo insurrezionale. Se non ci fosse la scuola pubblica, non esisterebbero forse movimenti estremistici di sinistra o per lo meno mancherebbe loro un adeguato mezzo di diffusione delle loro idee, che richiedono, per essere accettate e condivise il particolare stato emozionale ed esagitato che si viene creando nelle occupazioni e nelle "assemblee" cui spesso e volentieri i loro referenti, spesso convocati come "esperti" e vari insegnanti rigorosamente "democratici" non mancano di dare spontaneamente e con abnegazione il loro contributo, in gran parte nella totale assenza di un adeguato contraddittorio.
La presenza ubiqua di assemblee e consigli vari non è quindi un aspetto marginale di questo tipo di scuola: il testo dei decreti delegati del 1974, integrato e ampliato dal testo unico del 1994, prevede, infatti, assemblee di classe per una durata di due ore al mese e una intera giornata anch'essa mensile per le assemblee di istituto. Tutte quante queste manifestazioni devono utilizzare il tempo dedicato alla normale attività didattica.
Se nel 1974, in occasione dell'istituzione dei decreti delegati, ciò sanciva la provvisoria e confusa accettazione "istituzionale" all'interno del sistema scolastico delle forme organizzative di un movimento studentesco che doveva in primo luogo mantenere canali di collegamento tra vertici politicizzati e base studentesca, esso è, con l'andare tempo, diventato rito e prassi pedagogica. Sono numerose le dichiarazioni e le circolari che ribadiscono l'equiparazione delle ore di assemblea alle ore di lezione: il testo unico del 16\4\94 ribadisce, all'art. 13 che le assemblee studentesche "nella scuola secondaria superiore costituiscono occasione di partecipazione democratica per l'approfondimento dei problemi della scuola e della società in funzione della formazione culturale e civile degli studenti." Ulteriori interventi normativi, quali quella del MIUR del novembre 2003, precisano che le le assemblee "dedicate a problemi sociali, culturali, artistici e scientifici, alle quali abbiano partecipato esperti, regolarmente autorizzati dal Consiglio d'istituto, (comma 7, art. 13 T.U.), sono da considerare a tutti gli effetti come lezioni". E' praticamente difficile, se non impossibile, trovare assemblee che, almeno nominalmente, non siano convocate per la trattazione di importanti problemi sociali ecc. ecc. Ovviamente, nessuno si sogna di negare la libertà di riunione, ma un'interruzione annuale dell'attività didattica, e quindi dell'apprendimento delle materie di studio, pari a circa 15 giorni di scuola non ha il minimo senso, specie se si pensa che nulla vieterebbe di svolgere queste assemblee in ore non scolastiche e che in gran parte esse vedono la partecipazione di ristrette minoranze e sono in gran parte dedicate all'apprendimento di vari giochi o forme di espressione artistica (la dama, gli scacchi, il ricamo, le libere composizioni in carta o altre attività ludiche). Due o, al massimo, tre assemblee annuali sarebbero più che sufficienti. A questo vanno poi aggiunte le varie occupazioni e autogestioni, che normalmente comportano la perdita di almeno un mese di scuola all'anno.
Appare quindi chiaro che l'obiettivo principale del sistema pedagogico insurrezionale non è costituito dall'apprendimento di conoscenze disciplinari: queste, in realtà, costituiscono un aspetto secondario del percorso scolastico. Gli stessi programmi scolastici hanno di fatto un valore puramente indicativo e possono essere facilmente decurtati, a seconda della durata effettiva dell'anno scolastico. Tutto quanto questo spiega molto bene la disinvoltura con cui si occupano le scuole, o se ne interrompe il loro normale funzionamento, spesso per intere settimane se non mesi.Una scuola in cui l'attività didattica è costantemente interrotta per i motivi più disparati non fornisce alcuna seria competenza disciplinare, non conosce standard qualitativi rigidamente definiti con cui gli studenti devono confrontarsi, non è in altre parole una scuola seriamente selettiva. Studiare seriamente una qualsiasi disciplina richiede, infatti, una costante applicazione, una continua verifica delle conoscenze raggiunte. Non si può interromperne lo studio per settimane o mesi o magari proseguirlo distrattamente e superficialmente, limitandosi a qualche nozione malamente raffazzonata in pochi giorni. Occorre infatti entrare nello spirito di ciò che si impara, comprenderne il linguaggio e il significato. Tutto ciò non si ottiene certamente con un impegno saltuario e superficiale. Chi accetta di studiare in questo contesto, è del tutto lontano dall'idea che ciò che impara è importante e può determinare il proprio futuro. Nella migliore delle ipotesi, si limita ad un comportamento da travet sfaticato, che distribuisce sagacemente i giorni di interruzione e di aassenza in concomitanza con feste o alte interruzioni, o da soldato obbligato alla naia. Si impara solo a passare il tempo e a mettersi disciplinatamente in fila, in attesa di concorsi fasulli e assunzioni di precari vari. In pratica, usciti come studenti dalla scuola, ci si rientra come insegnanti spesso per effetto della solita sanatoria o abilitazione riservata.
Al disinteresse degli studenti corrisponde la tendenza tipica della pedagogia dominante a svalutare totalmente i "contenuti" rispetto all'apprendimento di astratte e confuse metodologie. Nella pratica, tali metodologie, si traducono in acritica esibizione di schemi banalmente behavioristici, di fatto indifferenti ad ogni contenuto culturale. Non si apprendono né contenuti né concetti, ma è tutto un farneticare di procedure, livelli di apprendimento, prove comuni, parametri di verifica, che non verificano niente eccetto il tempo perso nella messa in produzione di un costoso e incomprensibile fordismo burocratico
La stesse modalità di partecipazione dei genitori lasciano non poco a desiderare e contribuiscono ad abbassare ulteriormente la qualità della scuola. Sotto questo punto di vista, il legislatore è riuscito nel duplice "miracolo" di impedire un serio e trasparente controllo dei risultati da parte dei singoli genitori e degli studenti e allo stesso tempo di rallentare quando non demonizzare l'azione del docente. I primi, se chiedono una qualche spiegazione, si trovano di fronte ad una ipertrofica produzione cartacea priva di significato, gli altri vengono puntualmente colpevolizzati nel caso in cui la maggioranza della classe non ottenga risultati soddisfacenti(cosa che non corrisponde alla conoscenza degli elementi previsti nei programmi). Con una "saggia"gestione sinergetica tra studenti e genitori, dirigenze inebetite e insegnanti fannulloni una classe può quindi tranquillamente sbarcare il lunario studiando poco o nulla.
Si può anzi dire che in questo ambito gli studenti come individui non esistono nemmeno: ci sono solo le classi con relativi consigli. Tutto è deciso dai consigli di classe, per cui uno studente anche a 17\18 anni può avere una grave insufficienza in una materia ed essere promosso a maggioranza. Tutto ciò dà luogo ad una insostenibile ipertrofia assembleare: francamente non si capisce quale cruciale motivo possa esservi per convocare consigli di classe su base mensile; l'apprendimento del teorema di Pitagora o della consecutio temporum non avvengono su base assembleare. Sotto questo punto di vita la scuola funziona come se in un ospedale l'operato di un medico fosse sottoposto assemblearisticamente al controllo di un "consiglio di reparto" di cui farebbero parte i rappresentanti e i parenti dei pazienti.
Oltre a ciò, nella normativa non vi è una chiara distinzione tra le responsabilità e gli ambiti propri dei docenti e quelli dei genitori. Basta semplicemente pensare che le ridicole procedure assemblearistiche previste dalla normativa scolastica obbligano i docenti ad adottare libri di testo per classi in cui non insegneranno, e a sottoporli al parere di genitori ovviamente anch'essi appartenenti ad altre classi. Per adottare il libro di testo da lui ritenuto idoneo, un docente deve quindi passare clandestinamente, a mo' di roba distribuita al parco del Lambro, l'elenco delle sue adozioni ad un collega che a sua volta le sottoporrà alla vidimazione del consiglio classe.
Una scuola organizzata e gestita in questo modo è semplicemente una "morta gora", non produce nulla, eccetto il consueto rito mediatico delle insurrezioni-occupazioni. E' un apparato propagandistico utilizzabile a fini politici In pratica una mimesi di stampo totalitario, che prevede una partecipazione alla vita sociale in termini di ribellistici, con buona pace di chi crede che a scuola si impari l'educazione.

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