Visualizzazione post con etichetta Testimonianze. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Testimonianze. Mostra tutti i post

giovedì 18 dicembre 2008

HANNAH ARENDT SULL'EUTANASIA


La “morte pietosa” di Eluana

Martedì 02 Dicembre 2008 12:21

Prima di Auschwitz Hitler pensò all’eutanasia e al “modo umanitario” con cui porre fine alla vita delle “persone incurabili”.
Una pagina profetica della grande filosofa e scrittrice Hannah Arendt.

L’idea di sterminare tutti gli ebrei, e non soltanto quelli russi o polacchi, aveva radici molti lontane. Era nata non nell’Rsha o in qualcuno degli altri uffici di Heydrich o di Himmler, ma nella Cancelleria del Führer, cioè nell’ufficio personale di Hitler. Non aveva nulla a che vedere con la guerra e non fu mai giustificata con le necessità militari. Uno dei grandi meriti del libro The final solution di Gerald Reitlinger è quello di aver dimostrato, in base a documenti che non lasciano dubbi, che il programma di sterminare col gas gli ebrei dell’Europa orientale fu uno “sviluppo” del programma dell’eutanasia di Hitler. (…)

Le prime camere a gas furono costruite nel 1939, in ottemperanza al decreto di Hitler, del 1° settembre di quell’anno, secondo cui alle «persone incurabili» doveva essere «concessa una morte pietosa». (Fu probabilmente questa origine a infondere nel dott. Servatius la sorprendente convinzione che lo sterminio coi gas dovesse essere considerato una «questione medica»). L’idea in sé, come abbiamo detto, risaliva a molto tempo prima. Già nel 1935 Hitler aveva spiegato al suo “Capo medico del Reich” Gerhard Wagner che, se fosse venuta la guerra, avrebbe «ripreso e condotto in porto questa faccenda dell’eutanasia, poiché in tempo di guerra è molto più facile». Il decreto entrò immediatamente in vigore per ciò che riguarda i malati di mente, e così tra il dicembre del 1939 e l’agosto del 1941 circa cinquantamila tedeschi furono uccisi con monossido di carbonio in istituti dove le camere della morte erano camuffate in stanze per la doccia – esattamente come lo sarebbero state più tardi ad Auschwitz.

Il programma suscitò enorme scalpore. Era impossibile tener segreta l’uccisione di tanta gente; la popolazione tedesca delle zone in cui sorgevano quegli istituti se ne accorse e ci fu un’ondata di proteste, da parte di persone di ogni ceto che ancora non si erano fatte un’idea “oggettiva” della natura della scienza medica e dei compiti del medico. Nell’Europa orientale lo sterminio coi gas – o, per usare il linguaggio dei nazisti, il «modo umanitario» di «concedere una morte pietosa» – iniziò quasi il giorno stesso in cui in Germania fu sospesa l’uccisione dei malati di mente. Gli uomini che avevano lavorato per il programma di eutanasia furono ora inviati a oriente, a costruire gli impianti per distruggere popoli interi – e questi uomini erano scelti o dalla Cancelleria del Führer o dal ministero della sanità del Reich, e solamente ora furono messi, amministrativamente, sotto il controllo di Himmler.

Gli istituti di carità del Führer
Nessuna delle varie Sprachregelungen (regolamenti della lingua, ndr) studiate in seguito per ingannare e camuffare ebbe sulle menti degli esecutori l’effetto potente di quel decreto hitleriano, contemporaneo allo scoppio della guerra, dove la parola «assassinio» era sostituita dalla perifrasi «concedere una morte pietosa». Eichmann, quando il giudice istruttore gli chiese se l’istruzione di evitare «inutili brutalità» non fosse un po’ ridicola visto che gli interessati erano comunque destinati a morte certa, non capì la domanda, tanto radicata nella sua mente era l’idea che peccato mortale non fosse uccidere, ma causare inutili sofferenze. E durante il processo ebbe scatti di sdegno sincero per le crudeltà e le atrocità commesse dalle Ss e raccontate dai testimoni, anche se la Corte e il pubblico quasi non se ne accorsero perché, fuorviati dal suo sforzo costante di non perdere l’autocontrollo, si erano convinti che egli fosse un uomo incapace di commozione e indifferente.


A scuoterlo veramente non fu l’accusa di aver mandato a morire milioni di persone, ma soltanto l’accusa – mossagli da un testimone e non accolta dalla Corte – di avere un giorno picchiato a morte un ragazzo ebreo. Certo, egli aveva mandato gente anche nell’area dove operavano gli Einsatzgruppen (i reparti speciali tedeschi, ndr), i quali non concedevano “una morte pietosa” ma fucilavano, tuttavia doveva poi aver provato un senso di sollievo quando ciò non fu più necessario data la sempre crescente “capacità di assorbimento” delle camere a gas. Doveva anche aver pensato che il nuovo metodo rappresentava un decisivo miglioramento nell’atteggiamento del governo nazista verso gli ebrei poiché il beneficio dell’eutanasia, a regola, era riservato soltanto ai veri tedeschi. Col passare del tempo, mentre la guerra infuriava e dappertutto era morte e violenza (sul fronte russo, nei deserti africani, in Italia, sulle coste francesi, tra le rovine delle città tedesche), i centri di sterminio di Auschwitz e di Chelmno, di Majdanek e di Belzek, di Treblinka e di Sobibor, dovevano davvero essergli apparsi altrettanti «istituti di carità», come li chiamavano gli esperti di eutanasia.

domenica 3 agosto 2008

LUCHY RICORDA

LA STRAGE DI BOLOGNA 2 agosto 1980

Era il primo mio giorno di ferie, allora, assieme alla famiglia ero partito da casa, ad 800 metri dalla stazione dove passavo davanti per andare via da casa, qualche ora prima dello scoppio con meta le colline reggiane per una "battuta di pesca" nel fiume Secchia, dove da anni andavo a passare qualche giornata per Barbi, Cavedani e qualche Trota.

Poco prima delle 11,00, in mezzo al fiume e con gli stivali addosso e l'acqua sino all'inguine, posto su una roccia a piombo su di una profondità di almeno 3 metri, sento un urlo da parte di mia moglie che stava dall'altra parte del fiume, tra gli alberi assieme al figlio, ad ascoltare musica dalla radio.

Urlo anch'io per chiedere cosa succede, dal momento che non è difficile da quelle parti trovare biscie o, al peggio, vipere.

Lei viene quasi di fronte a me e dice : < E' scoppiato qualcosa nel ristorante della stazione a casa, è crollata la parte sinistra della stazione, ci sono morti e parecchi.

Stavo con la canna diritta, quasi a pelo d'acqua e mi sono sentito mancare e per fortuna, mi sono gettato all'indietro cadendo in acqua, fredda ma che mi ha permesso di rialzarmi subito, visto che la profondità in cui mi sarei abissato con due "stivali pieni d'acqua" che tirano in basso, era sul davanti.

Rifeci tutto il giro del fiume per andare da loro, mi cambia in qualche modo e ripartimmo per tornare a casa, con un'unica fermata per un caffè doppio prima di Sassuolo, poi arrivammo davanti alla stazione a Bologna, poco dopo le 12, 20.

Un disastro, ancora si muoveva l'autobus locale utilizzato per portare via i cadaveri delle persone morte, qualche ambulanza che riusciva a portare feriti, anche gravi ma che poterono essere salvati.

Un amico, che faceva parte del CdiA dell'Istituto Ortopedico Rizzoli e che era non lontano dallo scoppio ma che non aveva ferite visibili, sembrava un "morto che cammina" perchè "rintronato" ( poi si seppe che aveva avuto lesione ai timpani ), amici del sindacato che erano tra coloro che lavoravano a mani nude per togliere i detriti, vidi anche un paio di colleghi di lavoro dell'Azienda in cui ero operaio in distacco tra cui un giovane parente di quella ragazza che in foto, appena portata fuori dal ristorante in cui lavorava, divenne il simbolo fotografico di quella tragedia : urlante con la faccia stravolta e che conoscevo perchè abitava proprio dentro una villetta del parco dell'Istituto Rizzoli, in cui ero abbastanza "di casa".

Partecipai all'organizzazione dei funerali, a quello che si definiva "servizio d'ordine" perchè ci si attendeva molta partecipazione, come in effetti avvenne e per un paio d'anni, quelli successivi, anche alla Commemorazione ma poi smisi perchè seguendo le varie fasi dell'indagine, cominciarono a nascere i dubbi e le notizie che filtravano dall'Associazione sulla mancata compattezza dei parenti, le ampliavano perchè troppo spesso sentivo parlare di "a quelli interessano solo i rapporti con il PCI", "abbiamo dubbi sulla colpevolezza conclamata nera", ecc. che non sto a spiegare qui.

Per qualche anno, dissi a chi mi chiedeva del perchè non mi rendessi disponibile ancora, che sarei ritornato quando l'allora Presidente dell'Associazione fosse cambiato, ma col nuovo dopo averlo sentito la prima volta parlare, mantenni se possibile ancora di più la mia "distanza" dall'evento, perchè è questo che è diventato : un evento, ma "targato".

Ho scritto altre volte, negli anni e dove potevo, che non ho mai pensato fossero colpevoli i 3 condannati, per una serie di circostanze che piano piano, troppo piano, uscivano da un clichè che giorno dopo giorno, anno dopo anno, mi sembrava sempre più preconfezionato.

Non da oggi, quindi, chi non si è messo le fette di mortadella sugli occhi ha la conferma di quanto pensava, ma non basta : per chi è stato condannato ingiustamente ma soprattutto per chi è stato "protagonista del dolore subito", DEVE ristabilirsi la VERITA'.