martedì 8 luglio 2008

ITALIA MIA, BENCHE' 'L PARLAR SIA INDARNO...


Lo scontro finale
Scritto da Mauro Mellini
martedì 08 luglio 2008

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Siamo arrivati al punto che lo scontro è inevitabile.Lo scontro tra chi, avendo ricevuto dal popolo un inequivoco e legittimo mandato, intende governare il Paese e chi ritiene di essere investito del diritto, anzi, del sacro dovere, di stabilire chi ha il diritto di essere investito del mandato popolare e di mantenerlo, il che, in parole povere significa il potere di sostituirsi al mandato popolare e di stabilire quale sia il voto (buono e) valido e quello (cattivo e) annullabile. E’ uno scontro, quello di oggi, che si verifica a distanza di anni da quando i censori del voto popolare, nel 1994, decisero che la vittoria di Berlusconi, appena sceso in campo, “non valeva” e, quasi senza colpo ferire lo “sostituirono”, grazie anche alla fattiva compiacenza di “uno di loro”, del Presidente Scalfaro.
Da allora è passata parecchia acqua sotto i ponti. Quella pretesa di supersovranità non è stata mai dismessa.
Anzi è stata esercitata, seppure in modo intermittente e frammentario, con utilizzazione di “spalle” diverse, dal Quirinale a componenti della stessa maggioranza, dalla stampa della grande finanza ai partiti di una sinistra che, dichiaratamente o meno, ha finito col considerare il giustizialismo come l’ultima sua spiaggia.
Oggi, dopo la vittoria di Berlusconi alle elezioni, netta e chiara, senza l’equivoco della quinta colonna dell’insulsaggine Casiniana e dopo che l’altrimenti puerile e grottesca ripresa degli attacchi a base di vecchie scorie di inchieste degli anni ruggenti dell’antiberlusconismo giudiziario e di vergognose intercettazioni perpetrate nell’ambito di inchieste “esplorative” è riuscita a mettere in crisi non il governo, ma la linea e la leadership dell’opposizione, costringendo Veltroni, o fornendo a lui il necessario alibi (che nel marasma della sinistra è più o meno lo stesso) ad abbandonare il “dialogo” e la presa di distanza dalla Sinistra Arcobaleno, che aveva contraddistinto, non senza equivoci, (tra cui l’ipotetica dipietrista) la campagna elettorale, ed a tornare a teorizzare lo scontro con la maggioranza e col governo di Berlusconi ed a sostenere le pretese pangiurisdizionaliste e di interventismo politico della magistratura che è di nuovo pieno e manifesto.
E, soprattutto, sembra proprio, malgrado qualche tentennamento e qualche piccola retromarcia più o meno televisiva, e malgrado le solite voci di auspicati compromessi, dati per intervenuti, che governo e maggioranza sulla giustizia, cioè nello scontro, appunto con questa fazione eversiva velleitariamente egemonica e supersovrana, non intendono, come certo non debbono, per il rispetto verso se stessi e verso il popolo, assolutamente mollare e retrocedere.
Quali che siano le apparenze, l’esito dello scontro non dipenderà dalla forza e dalla determinazione dei magistrati oltranzisti. I quali, senza la stolta solidarietà dei loro colleghi che ne respingono, magari, stravaganze ed eccessi di manifesta faziosità, ma non negano loro solidarietà in nome di una mal concepita indipendenza e di una sostanziale irresponsabilità, oltre che di interessi corporativi nulla potrebbero e presto (e male, per loro) sarebbero emarginati. E nulla potrebbero senza “spalle” non tanto nel populismo giustizialista becero e cafone di Di Pietro a quello altrettanto becero dell’abatino Travaglio, ma piuttosto quelle del moderatismo di chi invoca “compostezza e buone maniere” nello scontro con autentici terroristi della toga ed anzi auspica che lo scontro stesso sia evitato.
Ma è altro che qui ed ora vogliamo e dobbiamo affermare, considerando proprio le responsabilità che derivano dalla presa d’atto di questa ineluttabilità dello scontro. Responsabilità anche nostre, che non ne abbiamo, e pochissime ne abbiamo avute in passato, di istituzionali. Responsabilità d’ordine intellettuale e morale, quali quelle che ha ogni cittadino che intende rappresentare e caldeggiare presso altri, poco importa se molti o pochi, scelte rilevanti per la cosa pubblica.
E noi la scelta dello scontro l’abbiamo da anni rappresentata come necessaria ed eneludibile, anche quando nessuno pareva volesse darci ragione.
Quel che credo occorra in questo momento ribadire con forza e fermezza è l’appello a quei magistrati che sono degni di tale funzione e dei suoi alti compiti, che non sono affetti da protagonismo esiziale, da pretese di dover esercitare una missione nei confronti del Popolo per salvarlo dalle sue stesse scelte ritenute malefiche etc. etc. e che non sono neppure somari e fannulloni in cerca di coperture e di assicurazioni contro le contestazioni di queste loro tristi qualità, di compiere un gesto di dissociazione, una scelta di una via diversa da quella imboccata da tanti loro Colleghi che per anni sono riusciti ad egemonizzare la categoria e che sembra non si rendano conto che oramai l’epoca in cui per i magistrati spararle sempre più grosse in senso giustizialista e sinistrorso era il modo migliore per assicurarsi successo o, almeno, impunità e vita tranquilla.
Ciò che si deve chiedere a questi magistrati degni di rispetto e di considerazione non è, però un mero gesto formale. Né solo di astenersi personalmente da certi comportamenti oggettivamente (ma, per taluni, non solo oggettivamente) eversivi.
No, questo non basta più. Occorre spezzare una mal concepita solidarietà. Occorre smetterla di invocare l’indipendenza, l’incensurabilità dell’esercizio delle funzioni a tutela di queste manifestazioni anche altrui di faziosità o, magari, di asinità.
Occorre, anche nell’esercizio delle funzioni giudiziarie vere e proprie, metter da parte quel colpevole atteggiamento per il quale le più grosse corbellerie del “Collega” sono quelle che vanno meno evidenziate, a costo di confermarle e di condividerne le responsabilità.
Quanto vi chiediamo signori magistrati per bene, amici (ci sia consentito) magistrati per bene, é certamente nell’interesse di tutti i cittadini. E’ certamente nell’interesse della Comunità. Ma è nell’interesse della stessa magistratura che rischia di essere travolta nel suo complesso, anche con i suoi uomini migliori e con i valori più significativi della sua funzione, da scelte che le hanno dato una effimera gloria, un potere spropositato, ma l’hanno anche immiserita e screditata, ponendola in una situazione che non potrà essere tollerata troppo a lungo dal Paese, quali che debbano essere le sue sorti politiche.
Se c’è una magistratura moderata, tale non solo nelle parole e nelle etichette, è ora che si manifesti per tale. Prima che sia troppo tardi. Senza gli scrupoli di una solidarietà di casta che diventa, sempre più manifestamente, colpevole e deleteria. Sarà il miglior servizio che degnissime persone possano fare al Paese.

Da: www.giustiziagiusta.info

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