Un approccio sicuramente erroneo al problema dell’eutanasia, od ad altri consimili, è quello di considerarlo quale un contrasto fra principi religiosi e laici. Tale posizione risulta in realtà funzionale alle argomentazioni di coloro che ne sono favorevoli, di norma sedicenti laici, i quali in tal modo cercano di negare a priori la legittimità dei ragionamenti dei loro avversari, sostenendo che non sono di per sé accettabili in quanto ispirate a criteri religiosi e pertanto incompatabili con la laicità dello stato.
Bisogna quindi premettere che il dibattito sull’eutanasia o l’aborto, anzi su qualsiasi questione, non può e non deve essere mescolato a criteri di natura religiosa, ideologica, sentimentale ecc., ma ispirato unicamente a quelli d’oggettività e razionalità, così come si farebbe o si dovrebbe fare in ambito scientifico. Soltanto in questo modo si può tentare di giungere alla verità, che non appartiene a nessuno ed è tale per chiunque adoperi la ragione e possiede quindi carattere d’universalità. Come ha detto Giovanni Gentile: “Non esiste il mio pensiero o il tuo pensiero, esiste il pensiero”.[1]
In altri termini, il problema posto è su ciò che è giusto fare, e la risposta può provenire dai più diversi ambiti culturali ed intellettuali, indifferentemente siano essi laici o religiosi: ciò che importa è fornire argomenti probanti.
In questo inoltre si può evitare l’obiezione, in verità pretestuosta, di chi in nome della “laicità” di fatto intende negare diritto di cittadinanza ai credenti in qualsiasi religione, impedendo di sostenere le proprie posizioni, il che conduce ad uno stato non più laico (estraneo alle opinioni filosofiche e teologiche dei suoi cittadini) bensì laicista od ateo (l’agnosticismo o l’ateismo di fatto nuova “religione di stato”).
Ippocrate, il Greco padre della medicina, non era cattolico, ma se prescrisse a infinite generazioni di medici, col suo celebre giuramento, «non darai la morte, non prescriverai veleni», fu perché gli era chiara la conseguenza finale del minare il muro della difesa medica della vita.
Pertanto, a prescindere dalle considerazioni sulla sacralità della vita, che pure certamente si possono svolgere, che cosa si può dire contro la proposta della legalizzazione dell’eutanasia?
Inesistenza del libero arbitrio
L’argomento principe dei sostenitori dell’eutanasia consiste in un richiamo al criterio della libera scelta dell’individuo: chi decide d’uccidersi per sfuggire ad una grave malattia, ha il diritto di farlo.
Tuttavia, tale asserzione si presenta facilmente contestabile. Anzitutto, molte categorie d’infermi per i quali è proposta la “dolce morte” sono del tutto privi di coscienza, in stato comatoso ovvero vegetativo, e non possono in alcun modo esprimere la propria volontà. Anche nel caso che abbiano espresso precedentemente una loro volontà in proposito, non si può dire che siano in grado di confermarla.
Inoltre, anche coloro che teoricamente sono in grado d’esercitare tale possibilità, sovente sono menomati nel proprio “libero arbitrio” dalle circostanze in cui si trovano. Un essere umano gravemente malato può essere indebolito nelle proprie facoltà mentali, rimanere colpito anche psicologicamente con l’insorgere di malattie della psiche, ed anche abbattuto dallo stato di debolezza e sofferenza in cui è caduto. E’ discutibile, perlomeno in alcuni casi, che sia realmente in grado di compiere una scelta consapevole e razionale.
Soprattutto, un uomo malato al punto da poter desiderare la morte risulta obiettivamente vulnerabile a pressioni e suggestioni esterne, ben più di quanto non accada normalmente. Egli può essere indotto all’eutanasia dai suoi medici, che possono dirgli che “non esiste altra soluzione”, o parenti, che possono fargli capire d’essere indesiderato e di rappresentare un peso umano ed economico. Una persona che percepisca il sostegno dei propri cari può ben desiderare la vita, ma se viene ad essere implicitamente od esplicitamente rifiutato può allora scegliere la morte. Considerando che casi d’induzione al suicidio avvengono nella vita quotidiana, certamente si avrebbero anche con la legalizzazione dell’eutanasia, offrendo un “materiale umano” mediamente molto più debole.
Tutte le possibilità suddette si sono già tradotte in atto in Olanda, tanto che molti suoi cittadini hanno preso a redarre dichiarazioni firmate in cui si nega il diritto di compiere su di lui l’eutanasia, ed a portarle sempre con sé.[2]
Diminuzione delle cure
Oggigiorno esistono un gran numero di malattie piuttosto rare per le quali le cure sono insufficienti, così come colpiscono malanni cagioni di gravi sofferenze, senza che sia disponibile un terapia del dolore totalmente efficace. L’esistenza di simili problemi è naturalmente uno stimolo alla ricerca scientifica per la loro risoluzione. Tuttavia, nel momento in cui si diffondesse la pratica dell’eutanasia, proprio la “dolce morte” finirebbe col diventare agli occhi di medici e pazienti la soluzione prima, indebolendo le motivazioni al miglioramento delle terapie.
Laddove l’opzione eutanasica fosse accolta come possibile, ne conseguirebbe molto probabilmente un affievolimento dello sforzo teso a ridurre la sofferenza e la cura, soprattutto per quanto riguarda i gruppi socialmente ed economicamente più deboli, per i quali il ricorso all’eutanasia diventerebbe la soluzione più "ovvia" ed economica. Non si tratta affatto d’una possibilità teorica, bensì d’una eventualità altamente probabile, sia per i costi della ricerca scientifica, in quanto minore è il numero di persone colpite da una data malattia, minori sono le somme investite per la sua cura, essendo proporzionalmente più basse le possibilità di lucro.
Il fatto è già avvenuto con l’aborto, al quale in molti paesi si fa ricorso anche nel caso di malattie o malformazioni facilmente curabili, ma soltanto ad un determinato prezzo: l’aborto invece costa di meno, oppure è offerto gratuitamente dal servizio sanitario, in alternativa al trattamento rivolto alla guarigione, più costoso.
Si può portare un esempio consimile. Uno studio del 1994 ha documentato che malati di cancro appartenenti a minoranze etniche negli Stati Uniti d’America avevano possibilità tre volte maggiori di ricevere un trattamento inadeguato della sofferenza rispetto agli altri pazienti.
L’impiego dell’eutanasia consentirebbe quindi di ridurre od anche abolire le spese ed il servizio pubblici per determinate terapie, con uno scambio economicamente vantaggioso per le casse del sistema sanatario: l’aborto o la “dolce morte” costano di meno di date cure.
Imbarbarimento della società
Ma esiste un’altra valida ragione contro l’eutanasia, data dall’imbarbarimento della società. Per spiegare in che cosa consista tale pericolo occorre fare un passo indietro e domandarsi perché esistevano gruppi di pressione tanto forti a sostegno della pratica del suicidio assistito. La ragione è quella sopra ricordata, e consiste anzitutto nell’interesse economico. I bambini costano e comportano sacrifici, specialmente quelli malati, pertanto la soluzione ritenuta nell’immediato economicamente vantaggiosa consiste nel sopprimerli con l’aborto. I malati incurabili e gli anziani impossibilitati a badare a sé stessi rappresentano anche loro un gravame finanziario e sociale per lo stato e le famiglie, per cui diviene parimenti funzionale agli interessi dell’economia eliminarli fisicamente. La nostra società, che ha elevato a proprio dio il piacere ed a suo strumento il denaro, vuole individui adulti e sani, capaci di produrre e consumare: bambini, malati, anziani non rientrano in questa categoria, per cui sono di troppo.
In Olanda, paese che ha legalizzata l’eutanasia, si è compiuta col pretesto della pietà un’operazione di risparmio sulle spese assicurative, previdenziali, sanitarie. Si può dire che in tutte le società umane la senectus è stata vista come immagine della saggezza e della dignità, mentre i malati sono stati oggetto di pietà: nell’Europa cristiana dei secoli trascorsi costoro erano considerati immagine di Cristo sofferente, mentre oggi, sostituita la pietas romana e la charitas cristiana al businnes del capitalismo selvaggio, sono visti quale strumento di profitto o causa di perdita, valutati quale merce.
Naturalmente, a tempi lunghi simili scelte sono suicide per la collettività nel suo complesso, e ciò traspare dal calo demografico e dalla riduzione degli individui attivi dovuti anzitutto all’aborto, autentico genocidio mascherato. Tuttavia, per chi pensa soltanto al proprio interesse, questo può essere insignificante.
Permettere l’eutanasia significa quindi ripetere con malati ed anziani l’operazione già compiuta con bambini, ovvero disumanizzarli e privarli di valore e significato. La nostra società ha perso ormai criteri di giudizio del bene e del male, confondendo l’aequum, il giusto, con lo ius, il diritto, per cui si considera grossolanamente ed irrazionalmente legittimo quel che è legale, come nel caso dell’aborto. Una volta caduto il principio dell’intangibilità della vita e dell’umanità dei malati, quel che è stato proposto, ingannevolmente, quale uno strumento eccezionale, diverrà invece comune ed abituale, diffondendo inoltre una mentalità ed una cultura non della pietas verso malati e sofferenti, bensì del loro rifiuto.
Infine, ultimo ma non ultimo, s’assegnerà in questo modo un potere enorme e ben difficilmente controllabile alle autorità pubbliche, specie alle anonime burocrazie, che potranno di fatto decidere chi sopprimere. Già accade in Olanda con medici che s’arrogano tale diritto, naturalmente nell’impossibilità di regolamentare realmente l’esercizio dell’eutanasia.L’Europa si vanta d’aver soppresso la pena di morte, ma in realtà, oltre allo sterminio abortista, l'Olanda ha dislocato il potere statale di morte dalla Giustizia alla Sanità, secondo una deriva già ampiamente sperimentata con l'aborto stesso. La morte, trasferita a diverso competente ministero, non è più una «pena», s'è mutata in «somministrazione», cosicché colui cui la morte viene «prescritta» come «cura» estrema non ha diritto a pubblico processo, né avvocato difensore, né a una giuria.
[1] Beninteso, tale norma non respinge aprioristicamente l’eventuale veridicità delle diverse religioni, filosofie, dottrine politiche ecc. Per rimanere al cattolicesimo, la conciliazione fra fides e ratio è sempre stata ricercata sin dalla Patristica antica e poi per tutto il Medioevo e l’era moderna, sino a quella contemporanea. La Chiesa di Roma ha sempre respinto il fideismo, ovvero il credere senza ragione e contro ragione, sostenendo con Anselmo d’Aosta che fides quarens intellectum, intellectus quaerens fidem.
[2] il dottor Karel Gunning, medico olandese contrario all’’eutanasia, ricorda i casi seguenti. La mentalità di morte è diventata la norma fra i medici olandesi. Conosco un internista che curava una paziente con cancro ai polmoni. Arriva una crisi respiratoria, che rende necessario il ricovero. La paziente si ribella: non voglio l'eutanasia, implora. Il medico l'assicura, l'accompagna lui stesso in clinica, la sorveglia. Dopo trentasei ore, la paziente respira normalmente, le condizioni generali sono migliorate. Il medico va a dormire. Il mattino dopo, non trova più la sua malata: un collega gliel'aveva 'terminata' perché mancavano letti liberi". - C'è da aver paura. "Infatti la gente ha paura. So di un malato di Alzheimer ricoverato in una casa per non autosufficienti. Una settimana dopo, la famiglia lo trova in stato di coma. Sospettano qualcosa, e così lo fanno trasportare all'ospedale, dove il paziente si riprende dopo l'infusione intravenosa di tre litri di liquido. Era stato lasciato disidratato. E' vissuto, per quanto ne so, almeno un altro anno". - E lo facevano morire di sete. "Un collega m'ha raccontato questa: vecchio paziente ospedalizzato, in agonia. Il figlio chiede ai medici di 'accelerare il processo', in modo che il funerale del padre potesse aver luogo prima della sua partenza per le ferie all'estero, già prenotate. I medici eseguono, giù con la morfina. Ma qualche ora dopo, il paziente si siede sul letto, è persino di buonumore. Finalmente, aveva avuto la somministrazione di morfina sufficiente per calmare i suoi dolori, e stava meglio! Episodi del genere si raccontano fra medici come fossero normali. Come fosse normale uccidere un paziente per compiacere i familiari"
lunedì 21 luglio 2008
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8 commenti:
Non sono ateo e lo sai bene.
Proprio per questo credo nella Sacralità della vita e quindi in quella della morte.
Ovvero ritengo che uno Stato (o una Chiesa) non possa disporre della vita di una persona la quale è unica proprietaria del suo corpo e delle sue azioni.
E' un principio di civiltà, un principio liberale.
Pertanto una persona ha tutto il diritto di vivere così come di morire dignitosamente.
L'Italia non permette cio ?
Nessun problema: esiste un'associazione svizzera, Dignitas, che permette servizi di civiltà ai quali io stesso mi sentirò di ricorrere qualora mi trovassi in determinate circostanze.
http://www.exit-italia.it/dignitas.htm
Nessuno può arrogarsi il diritto di decidere di far morire di fame e di sete un essere vivente: ci siamo scandalizzati tanto, e giustamente, sulla sorte del cane di quel pittore lasciato morire di inedia "per arte" e abbiamo dubbi sulla eticità di interrompere l'alimentazione ad una creatura non bisognosa di cure mediche per sopravvivere ma a cui serve solo nutrimento?
Luca, scusami, ma guarda che quando ho scritto l'intervento non mi riferivo a Te, né ad alcun altro nello specifico. Non mescolo mai questioni personali nel ragionamento: equivale a pervertirlo.
Inoltre, non ho scritto che lo Stato od una Chiesa ha il diritto di disporre della vita dei suoi membri, bensì ho spiegato precise e circonstanziate ragioni per cui la legalizzazione dell'eutanasia avrebbe conseguenze deleterie assai gravi.
Nel caso specifico di Eluana, ha ragione Crystal, quando dice che è inumano lasciarla morire di sete.
Cordiali saluti
x crystal: un cane ha una coscienza. Chi si trova in determinate altre condizioni come Eluana Englaro....la coscienza ha raggiunto altri lidi, ma certamente non è più nel suo corpo il quale, anzi, è vilipeso da un'accanimento ideologico, morboso e feticistico al quale lei stessa era contraria. E così suo padre.
x marco: caro Marco, nemmeno io mi riferivo a te, bensì al tuo articolo.
Un sacco di cose sono deleterie. Anche le patatine fritte che io tanto amo e che ingurgito aiosa lo sono.
Tutto sta ad agire con consapevolezza, evitando irresponsabilità individuale (che io per quanto concerne il cibo ho, ma non chiedo a nessuno di emularmi)
Luca, la coscienza, nel senso che intendi tu, ce l'hanno i malati di Alzheimer allo stato terminale?
Ammazziamo anche quelli?
Anche i neonati non hanno coscienza e se sono hanidcappati gravi, li gettiamo dalla rupe Tarpea?
Mi spiace, non sono d'accordo. Quanto a Eluana nessuno pubblica le dichiarazioni delle amiche, delle compagne di scuola che affermano invece che parlando di un caso analogo in classe lei non disse che avrebbe preferito morire.
«Mai abbiamo sentito Eluana invocare la libertà di morire»
Le testimonianze di una compagna di classe e due docenti
DA MILANO PAOLO FERRARIO
Non sono univoche le testimonianze sulla decisa ed inequivocabile volontà di Eluana Englaro di preferire la morte alla vita in stato vegetativo. Se alcune amiche, la cui testimonianza è stata recepita nel decreto della Corte d'Appello di Milano, sono convinte di questo, altre persone, ex compagne di classe e insegnanti che furono molto vicine alla giovane Eluana, non sono di questo parere.
« Personalmente – riferisce Laura Magistris, per cinque anni compagna di classe di Eluana al Liceo linguistico Maria Ausiliatrice di Lecco – non l'ho mai sentita fare discorsi di questo genere. Non ricordo una sua posizione così ferma e decisa su questi argomenti. Che, in ogni caso, com'è facilmente intuibile, non erano al centro dei pensieri di ragazze nemmeno ventenni » . Laura Magistris non ricorda nemmeno l'episodio – citato nel decreto del tribunale – di una discussione in classe sul caso di Rosanna Benzi, la donna genovese, morta nel 1991, vissuta per 29 anni in un polmone d'acciaio e di come, secondo quanto testimoniato dalle amiche sentite dai giudici, Eluana si sarebbe espressa dicendo di preferire la morte a una condizione del genere. « Con l'insegnante di italiano – ricorda ancora Laura Magistris – leggevamo spesso il giornale in classe e di¬scutevamo di argomenti di attualità. Può darsi pure che abbiamo parlato del caso della Benzi, ma non ricordo particolari prese di posizione da parte sua o di altre compagne. Anche alla luce degli ultimi accadimenti, in queste settimane ci ho pensato spesso e, se Eluana allora avesse espresso queste convinzioni, senz'altro me ne ricorderei » .
Nella memoria della compagna di classe, che conserva i biglietti scambiati tra i banchi con l'amica e si dichiara pronta « a testimoniare davanti al giudice » , c'è invece l'immagine di una ragazza tutt'altro che propensa a parlare di malattia e di morte. « Eluana era piena di vita e felice di vivere. Amava l'esistenza e non credo assolutamente che, se potesse decidere, sceglierebbe di morire. Non è possibile. Può darsi che, in qualche particolare frangente, si sia espressa in questi termini: ma chi, a vent'anni, non lo direbbe di fronte a coetanei in stato vegetativo? Sicuramente lo avrei detto anch'io, ma in nessun caso adesso vorrei morire » .
Eluana era una studentessa « vivace, spigliata e aperta» anche per Romeo Astorri, per dieci anni professore di Filosofia al Liceo linguistico lecchese, oggi preside della facoltà di Giurisprudenza all'Università Cattolica di Piacenza. «Non ricordo prese di posizione di questo tipo» , sottolinea il docente che, anche per la particolare materia che insegnava, se con la giovane ci fossero state discussioni sul senso della vita e della morte, ne avrebbe memoria.
Stupita e addolorata si dice anche suor Rina Gatti, docente di Lettere di Eluana, che con la giovane aveva un rapporto di amicizia e grande confidenza. Poco prima dell'incidente, la ragazza le scrisse una lettera in cui « manifestava gioia e soddisfazione per il suo nuovo percorso universitario» e, quando la religiosa fu trasferita da Lecco a Padova, « volle a tutti i costi che andassimo, insieme alla sua famiglia, a mangiare il pesce, perché sapeva che era il mio piatto preferito» . «L'episodio relativo alla discussione sull'esperienza di Rosanna Benzi – ricorda la docente – non è avvenuto come è stato ricostruito nella sentenza del tribunale. Volendo proporre alla classe il libro della Benzi "Il vizio di vivere", ne ho parlato alle ragazze ma assolutamente nessuna, né tantomeno Eluana, è intervenuta dicendo di preferire la morte a una condizione del genere » .
Nel decreto, poi, si ricorda che Eluana sarebbe stata "costretta" a scegliere il Liceo delle suore di Maria Ausiliatrice, perché a Lecco non ne esisteva uno pubblico ad indirizzo Linguistico, non nutrendo però particolari sentimenti religiosi. «Sinceramente, non l'ho mai vista venire a scuola controvoglia – ricorda l'antica insegnante – e, anzi, era sempre presente a tutte le celebrazioni, anche religiose, come per esempio la festa in occasione di San Giovanni Bosco, promosse dall'istituto».
Nei ricordi di chi l'ha conosciuta sui banchi del Liceo linguistico Maria Ausiliatrice di Lecco, c'è l'immagine di una ragazza «allegra, solare e piena di vita»
PRO E CONTRO.
Ma la vita non ci appartiene
Renato Farina
Pubblicato il giorno: 27/07/08
Ripugna alla mia povera testa (il cuore non ce l’ho da un pezzo) parlare adesso di “testamento biologico”. Discutere cioè di una legge da fare o non fare mentre c’è una ragazza per la quale un tribunale ha già deciso che la legge non esiste ma c’è lo stesso. Non è un gioco di parole. Il Parlamento non ha varato nessuna norma di questo genere. Per la verità, a mia memoria una legge ci sarebbe, ed è quella che vieta l’omicidio, in tutte le sue forme. Invece i giudici, in nome del popolo italiano, hanno fatto valere una legge che il popolo italiano, (...)
(...) tramite i suoi organi elettivi, non ha mai voluto. E cioè che si deve smettere di nutrire e di dar da bere a una ragazza dato che essa si espresse molti anni fa rifiutando l’idea di essere accudita senza apparente coscienza vita natural durante.
Oso dire che stiamo assistendo a un assassinio umanitario, con un giudice che scavalca il Parlamento, con l’arroganza dei magistrati cui non riesco ad abituarmi. Di certo, non in nome del popolo italiano può essere ucciso qualcuno, nell'indifferenza spettacolare del Parlamento: tutte le volte che si è parlato di Eluana il Parlamento era infatti semi-vuoto, forse perché c'è un dubbio e non si sa bene cosa pensare, se sia un problema di tutti o un problema individuale del padre o magari della Chiesa. E si fugge.
Per questo apprezzo chi non scappa; chi come Luigi Manconi ripropone il testamento biologico, trovando d’accordo anche parecchi deputati e senatori del Popolo della libertà (non della Lega Nord) di matrice radicale o laico-socialista. E vedo che anche Silvio Berlusconi (peraltro il suo staff è al 90 per cento figlio di quelle culture) lascia intendere di essere d’accordo. Benissimo allora. Discutiamone.
No a pratiche invasive
Anni fa avevo firmato un manifesto a favore del testamento biologico, ma non pensavo che si potesse applicare in un caso come quello di Eluana Englaro o - come accaduto nel 2005 negli Usa - per Terri Schindler Schiavo. Nella forma mi riconosco ancora in quelle parole: esiste la libertà non di chiedere di essere uccisi, ma di non volere pratiche invasive da parte di nessuno, neanche dai medici più bravi del mondo. Ma la vita è stata più complicata delle mie intenzioni, e mi sono accorto che, come sta dimostrando l’omicidio a sangue freddo di Eluana, il (presunto) testamento biologico è diventato una maniera per far valere l’egoismo (di certo in buona fede) dei vivi su chi non può più decidere niente, e viene anzi considerato un sacco inutile la cui unica dignità sarebbe di essere seppellito. Insomma, sia simbolicamente sia nella pratica, il testamento biologico purtroppo è diventato oggi una siringa letale in mano a chi vuole affermare attraverso l’eutanasia il culto della morte. L’avevo pensato diverso.
In realtà la pretesa di dare valore legale al testamento biologico non ha alcun fondamento se consideriamo la natura dell’uomo. Funzionerebbe così. Noi immaginiamo l’orrore di una morte lenta e dolente e vorremmo evitarlo. E fissiamo nel testamento questa volontà. Così noi tutti sottoscriveremmo, nelle stesse condizioni, una morte da eroe come Fabrizio Quattrocchi, e scriveremmo anche il copione: «Dinanzi a una pistola dirò “così muore un italiano” senza chiedere pietà». Bello vero? Ma cosa ne sappiamo di come reagiremo dinanzi allo sguardo della morte? In quel momento o in una condizione simile a Eluana non possiamo prefigurare il gioco della volontà: potremmo scoprire improvvisamente che, quella che pensavamo essere una vita orribile, ha, invece, un suo aspetto di bellezza e di positività.
Facciamo il caso: non poter più parlare, non sapere se si percepisce qualcosa o si pensa alcunché. Che valore ha una parola di anni prima? La vita non si riduce all'intelligenza, alla coscienza apparente. Chi ha in casa malati di Alzheimer lo sa. Se tua madre un giorno ti ha detto: meglio morire che vivere senza riconoscerti, che cos’è? Un testamento biologico vincolante, per cui con il consenso della legge o di un giudice di Milano, potrei decidere di mandarla al mattatoio con guanti rosa, per poi sentirti tranquillo perché hai eseguito la sua volontà? È questa la vita che vogliamo? Tutti pronti a spedire al più presto al Creatore chi soffre o magari no, ma fa soffrire noi?
Credo che si debba introdurre, invece del culto della morte, il culto della pietà e della speranza. Credo che questo sia il compito anche del Parlamento, nel momento in cui si affaccia dinanzi a queste vicende dovrebbe far prevalere l’idea che mai in nessun istante la morte è meglio della vita.
Ora sta prevalendo questo discorso: l’invocazione del silenzio. Eluana ha diritto al silenzio - si dice. Lo si rivendica quasi con rabbia, come se chiedere di non lasciarla uccidere sia una violenza sul corpo inerme di lei.
Bisogna stare attenti a questi discorsi suggestivi. È necessario avere il coraggio con semplicità di reclamare il diritto di dar voce a lei che non ha voce.
L’amore delle suore
Amplificando le parole delle persone che dedicano a questa ragazza, da anni, il loro tempo, la loro tenerezza, accarezzandola, nutrendola. Sono le suore di Lecco. Bisogna rendersi conto che quando si chiede di staccare la spina, di eliminare la macchina in realtà non si vuole strappare un filo elettrico, togliere elettricità ad un marchingegno a cristalli liquidi, ma solo tagliare via le mani che si accostano a Eluana, le frizionano la schiena, la portano a prendere un po’ di sole. L’umanità, il rapporto d’amore non proclamato sentimentalmente, ma vissuto nelle ore e nei giorni, è quello che nel caso di Eluana viene denominato falsamente accanimento terapeutico.
Dinanzi a questo anche Berlusconi chiede che si faccia una legge. Temo che il testamento biologico si risolva in una corrida dove alla fine il toro sarà infilzato, ed il toro sono i malati senza coscienza apparente, ridotti - come si dice - allo stato vegetativo, per cui sarà consentita l’eliminazione.
Eluana è in stato vegetativo apparente, ma non è un vegetale! A cosa serve una legge? Basta oggi quella che dice: non uccidere. Uno può dirmi: io non riesco ad avere questa certezza. Ho un dubbio. Ok. La cosa più razionale se si ha un dubbio è allora tenere aperta la porta alla possibilità. Nel dubbio che dietro il cespuglio ci sia un uomo e non un coniglio, magari un dubbio anche minimo, non sparare è la cosa più razionale, non uccidere resta un imperativo senza se e senza ma.
Decido io come morire
Vittorio Feltri
Pubblicato il giorno: 27/07/08
TESTAMENTO BIOLOGICO
Libero di sicuro non può essere accusato di aver messo il silenziatore alla vicenda di Eluana: abbiamo pubblicato non so quanti articoli a commento della sentenza che consente di interrompere la alimentazione alla ragazza. Articoli praticamente tutti uguali in difesa della vita ad ogni costo, anche quando è ridotta allo stato minimale, e non me ne aspettavo un altro da te dello stesso tenore che non aggiunge nulla di nuovo alla tesi maggioritaria. E in effetti (...)
(...) mi avevi promesso un pezzo sul testamento biologico da tante parti invocato in modo da lasciare a ciascuno il diritto di scegliere per sé.
Invece, qui ne accenni appena, poi ti dedichi un’altra volta alla Englaro, per concludere: «Eluana è in stato vegetativo apparente, ma non è un vegetale!». Se è così, ti rivolgo una domandina facile facile: «Sono forse carciofi i ragazzi e le ragazze che vengono espiantati e, appunto come carciofi, defogliati per donare organi a chi ne ha bisogno per non morire?». Vorresti dire che ci sono carciofi da rispettare e carciofi da riciclare? E chi decide a quale tipo di pianta erbacea appartiene una persona in coma, il dottore?
Mi rendo conto che sto seguendoti su un tema diverso da quello del testamento biologico del quale viceversa ci eravamo impegnati a discutere. Caro Renato, non comprendo affatto le ragioni di quelli come te che lo osteggiano, ma le accetto senza battere ciglio in ossequio a un basilare principio di libertà. Ciascuno sul letto di morte è padrone di scegliere se starsene lì ad aspettare il trapasso, magari prolungandone i tempi con sonde, tubicini, respiratori e diavolerie varie, oppure se darci subito un taglio in considerazione della certezza che da quel letto si sposterà solo per trasferirsi nella bara.
Siccome non serve molta fantasia per immaginarsi nella descritta situazione, in cui di norma non si è in grado di esprimere la propria volontà, il testamento biologico è l’unica soluzione affinché famigliari, medici, preti eccetera non si sostituiscano a te in una decisione riguardante soltanto te.
Occorre sottolineare che il testamento non è un obbligo per i cittadini, bensì una facoltà. In altri termini, chi non lo vuol fare non lo fa, e nessuno può esigere il contrario. Mi sembra di capire che tu non lo faresti mai. Nulla da eccepire. Affari tuoi. Dimmi solo perché pretendi che non lo faccia io e ti danni l’anima per salvare la mia, alla quale preferirei provvedere in proprio?
A te piace l’idea di, eventualmente, donare le tue sofferenze al Padreterno; e non te lo impedirei mai, ci mancherebbe, anche se personalmente, qualora debba regalare qualcosa a qualcuno, opto in genere per altre strenne, dal mazzo di fiori in su. De gustibus. Ti pregherei di non imporre a me ciò che va a genio a te. Chiedo troppo? Non credo. In fondo una fiala di morfina, in alcune circostanze finali, è come una sigaretta per un condannato a morte. Allevia il patimento.
Se il prezzo dell’inferno lo pago di tasca, a te che importa se ci vado senza farmi massaggiare la schiena dalle brave suorine di Eluana?
Ma è possibile che in questa democrazia si tolleri tutto, ma davvero tutto, tranne che uno già morto crepi come gli garba?
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