giovedì 31 luglio 2008

Il sole sorgerà ancora


Credere che dopo la morte non ci sia più nulla è come credere che dopo il tramonto non sorgerà più il sole.

martedì 29 luglio 2008

RENATO BRUNETTA, IL MINISTRO CHE FA...(click)


Eduardo Sivori
Pubblicato il giorno: 29/07/08

Nuova stagione La cura del ministro fa tremare anche il Palazzo

Non si può fare altro che togliersi il cappello dinanzi a tanta tenacia e bravura.

Il ministro di tutti i ministeri, il capo del personale di tutti gli statali è riuscito a segnare un punto a suo favore nella guerra ai nullafacenti pubblici. Bravo!

Non interessa affatto che è bastato solamente l’effetto annuncio per scoraggiare gran parte dei lavativi e convincerli ad essere, almeno, più prudenti.

Non ha la minima importanza che i numeri siano rilevanti, ma la qualità del lavoro lo stia diventando molto meno. Mi ricorda, questa situazione, quel proverbio siciliano che dice: se c’è vento di bufera, fatti giunco, non quercia, perché, finito il vento, il giunco si rialza ma la pur grande quercia rimane spezzata e non si rialzerà mai più.

Fuori dalla metafora, signor ministro, approfitti del benefico vento che sembra soffiare a favore delle sue vele e non si perda d’animo. Se tenderà l’orecchio al “cortile”, se ascolterà con attenzione il fragoroso brusio che nasce all’interno dei vari dicasteri, solo allora potrà rendersi conto di quanti personaggi, alti come papaveri, si stanno facendo giunchi, per attendere che il Maestrale Brunetta passi, magari in fretta, per poi rialzare la testa.

Mi domando, non le sembri irriverente, ma se il dato del calo degli assenteisti è reale, allora dove erano i mega dirigenti,( quelli che a lei sembra che le stiano dando una mano) fino a ieri? Dove sono ruzzolate le loro, (metaforicamente, s’intende) teste? E se invece il dato numerico risulterà un po’ gonfiato, un po’ tarocco, magari vero solo parzialmente, come tutte le statistiche che vanno interpretate, allora comincerà a sospettare che, come i mitici aerei di Mussolini, che venivano inviati dove ci sarebbero state le visite del Duce ed erano sempre gli stessi, inducendolo a credere che avevamo più aerei che zanzare nelle paludi pontine, qualcuno non le dice proprio tutto?

Le auguro ogni bene, perché da domani sarò in pensione, per anagrafe, non per l’uragano Brunetta, ma mi auguro comunque di veder migliorare l’azienda Stato, che ho servito, per quanto ho potuto, con lealtà.

E con la stessa determinazione con cui le ricordo che una battaglia vinta non è la vittoria della guerra, garantisco ai lettori di Libero un osservatorio attento alle cose dello Stato, nella consapevolezza che tutti, nessuno escluso, siamo lo Stato, che ci piaccia o no.

edsivo@inwind.it

lunedì 28 luglio 2008

IL CINEMA ITALIANO E' IN LUTTO (click)



28/7/2008
Roma, è morta Marisa Merlini
L'attrice aveva 84 anni

All'età di 84 anni è morta nella sua casa romana l'attrice Marisa Merlini. Lo hanno annunciato i familiari. Era nata a Roma il 6 agosto 1923. Bruna, procace, dotata di una simpatia innata, appena diciassettenne aveva esordito con successo nella rivista. Fra le sue ultima apparizioni al cinema, nel 2005 ha preso parte al film di Pupi Avati "La seconda notte di nozze".

Il debutto sul set risale a quando aveva 20 anni e si impone come una delle migliori caratteriste del cinema italiano del dopoguerra.

Interprete di moltissime pellicole (soprattutto comiche, genere a lei particolarmente congeniale), non dimentica il palcoscenico e in varie occasioni si lascia tentare dalla televisione. Levatrice e madre non sposata che conquista (inutilmente) il cuore del maresciallo De Sica in "Pane, amore e fantasia" (1953) di Luigi Comencini, è poi una turista malinconica in "Tempo di villeggiatura" (1956) di Antonio Racioppi (ruolo con cui vince il Nastro d'Argento) e un'allegra prostituta in "Dramma della gelosia - Tutti i particolari in cronaca" (1969) di Ettore Scola.

IL MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA ANGELINO ALFANO (click)


La corda spezzata
Scritto da Gianni Pardo
Monday 28 July 2008

Considerazioni giuridico-politiche sul Lodo Alfano

Un’insegnante di storia e filosofia nei licei (il top della cultura) diceva di essere più che perplessa, riguardo al “Lodo Alfano”. I cittadini devono essere tutti uguali dinanzi alla legge, nessuno ha il diritto di sottrarsi ad essa.

Violare questo principio è violare la Costituzione. Inoltre, ribadiva, i giudici, anche quando accusano qualcuno o gli impongono la custodia preventiva, applicano la legge: come è concepibile che sia “ingiusto” agire secondo le leggi?

Queste affermazioni sono semplici e chiare e tuttavia, riflettendoci, non stanno in piedi. Per decenni, fino ai primi Anni Novanta, è esistita l’immunità parlamentare. Dunque deputati e senatori erano già cittadini “più uguali degli altri”, come recita l’abusata citazione, senza violazione della Costituzione. Per quanto poi riguarda l’agire “secondo le leggi” non bisogna essere ingenui. Il magistrato penale gode di una notevole discrezionalità, che in qualche caso lascia spazio al puro arbitrio. A qualcuno che chiedeva che cosa dovesse considerarsi “prova”, nel processo penale, un giurista rispondeva sconsolato che “prova è ciò che convince il giudice”. Anzi: “Prova è ciò che il giudice dichiara essere prova”. Questo vale anche per quanto riguarda la magistratura inquirente. Questa non ha il potere di condannare nessuno ma può benissimo mettere in galera qualcuno sulla base di una presunta pericolosità sociale o sulla base di un fantomatico pericolo di reiterazione del reato; sicché un cittadino passa mesi – a volte anni – in carcere per poi vedersi magari assolvere con formula piena. È stato vittima di un arbitrio? Probabilmente, ma l’inquirente non deve nemmeno chiedergli scusa: ha seguito il suo “libero convincimento” e tanto basta.

Nessuno è stato sottoposto a procedimento disciplinare per un fatto del genere. Neppure quel magistrato pugliese che ha tenuto a lungo in galera il Pappalardi, con l’accusa di avere ucciso i due figli, mentre poi la Cassazione – la Cassazione! – ha stabilito che non c’era nessunI magistrati seguono i codici, si dice, ma i codici gli concedono una libertà così ampia da risultare in certi casi pericolosa: soprattutto perché gli organi di controllo non sconfessano mai il collega e l’azione per responsabilità civile del giudice, pur sancita da un apposito referendum, non è stata esercitata contro nessuno. elemento di prova che potesse sostenere l’opportunità di quella carcerazione.

Questi rischi li corrono tutti i cittadini - direbbe tuttavia la professoressa – e non si vede perché non debbano correrli le persone in vista. E anche qui un’affermazione che pare semplice ed evidente può in certi casi essere del tutto sbagliata. Ad un ragazzino che chiedeva come mai la bestemmia fosse un peccato mortale, tale cioè da comportare le pene dell’inferno, un teologo rispondeva che chi dice “cretino!” al proprio fratello si comporta male; chi lo dice al Preside della scuola, commette un atto di gravità molto maggiore e chi infine insulta Dio, Ente dal valore infinito, commette un atto di infinita gravità. E merita l’inferno. Nel valutare l’illecito bisogna tenere conto non solo dell’azione ma anche della qualità della vittima. Se si accusa un cittadino qualunque di atti contrari alla pubblica decenza, gli si crea un enorme fastidio. Se però la stessa accusa è rivolta ad un cardinale, ne parleranno tutti i giornali e il prelato potrebbe uscirne addirittura distrutto quand’anche dopo fosse assolto con formula piena. Il semplice potere di incriminare certe persone, e tenerle sotto processo per molti anni, è un’arma devastante. Un’arma che, posta in mano ad un giudice narcisista, esibizionista, politicamente fazioso o soltanto demente, può creare danni gravissimi.

Il caso di Berlusconi è emblematico. Se in questi tre lustri fosse stato accusato di un reato e fosse stato assolto, nulla quaestio: la magistratura inquirente può benissimo sbagliarsi. Ma se l’impresa di cui è titolare per il 30% subisce circa cinquecento accessi della Guardia di Finanza, se il Cavaliere è fatto oggetto di ben sedici procedimenti penali, se infine ciò malgrado tutti i procedimenti si concludono o con l’assoluzione o con la prescrizione (che è colpa della magistratura), è proprio peregrino il sospetto che ci sia stata un’intenzione politica? Si è perfino parlato di “via giudiziaria al potere”. O alla distruzione dell’avversario politico.

L’opinione pubblica, poi, non va per il sottile. Pensa: uno che è accusato di tanti reati non può essere un fior di galantuomo. È stato assolto? Se la sarà cavata per il rotto della cuffia; perché può permettersi ottimi avvocati; perché è un furbastro. Un furbastro ma non un galantuomo. E un buon quaranta per cento degli italiani è complice di questa character assassination, assassinio della personalità.Il diritto non è scritto nelle stelle. E non è amministrato da angeli. Da noi l’uso discutibile della giustizia è stato spinto tanto lontano da avere creato, nei politici, il comprensibile sospetto che l’ordine giudiziario intenda dominare i poteri legislativo ed esecutivo. Stabilendo magari chi ha il diritto di fare politica e chi no. E alla lunga, se un potere prevarica, è normale che il potere aggredito si difenda con le proprie armi: ed ecco che il legislativo vara leggi che tagliano le unghie ai magistrati. Se si tira troppo la corda…

I magistrati inquirenti avrebbero dovuto essere molto più prudenti, molto più moderati, molto più oculati. Non hanno messo a rischio Berlusconi, che ha dimostrato in giudizio di essere innocente, hanno messo a rischio l’equilibrio fra i poteri e l’immensa libertà di cui attualmente loro stessi dispongono. A qualcuno il lodo Alfano non piace, ed è comprensibile, ma è solo una reazione. E se l’azione è stata ingiusta, la reazione si chiama legittima difesa. Questa legge è una pagina negativa della vita parlamentare italiana, esattamente come è negativa l’amputazione di una gamba. Ma se il rischio è che la gangrena danneggi l’intero organismo, l’amputazione è benvenuta.

giannipardo@libero.it

domenica 27 luglio 2008

ULTIM'ORA DALL'AFGHANISTAN (click)


ANSA) - ROMA, 27 LUG - Due elicotteristi italiani sono stati rimpatriati nei giorni scorsi da Herat in Afghanistan 'esclusivamente per motivi sanitari'. Si tratterebbe di stress psico-fisico diagnosticato al termine di un impegnativo ciclo operativo. 'Nei loro confronti - spiegano fonti militari - non e' stato preso alcun provvedimento'. Secondo Il Tempo la decisione sarebbe stata invece adottata perche' i due si sarebbero rifiutati di sparare durante uno scontro a fuoco.

27 Lug 17:27

ANALISI DELLA POLITICA DI OGGI (click)


La "rottura" del Pdl
Scritto da Gianni Baget Bozzo
sabato 26 luglio 2008

Ernesto Galli della Loggia si è chiesto che cosa intenda fare la «destra» assumendo con Sandro Bondi e Maria Stella Gelmini il ministero dei Beni Culturali e quello della Pubblica Istruzione. Credo che i due destinatari, ambedue di Forza Italia, abbiano avuto qualche sussulto a sentirsi definire «destra», visto che «destra» implica la memoria del fascismo e quindi è un termine delegittimato.

Ma in realtà il fascismo fu un fenomeno di sinistra. Si pose come alternativa alla società liberale e borghese, creò l’ideologia come fondamento della politica, pensò al partito come soggetto politico che dà direttive allo Stato e allo Stato che organizza la società. Sono tutti concetti di sinistra opposti alla società liberale prefascista, anche nelle sue tradizioni cattolico liberali e socialiste riformiste.
I partiti antifascisti, dopo il fascismo, assunsero il suo concetto di partito ideologico chiamato a dare forma politica alle istituzioni e quello dello Stato come organizzatore della società. La Costituzione della Repubblica suppone questa concezione e non nasce con una dichiarazione dei diritti della persona, ma come un modello ideologico dello Stato. L’antifascismo italiano sorge da quel ventennio che era stato laboratorio culturale di una rivoluzione politica che si realizzava come «compromesso storico» con la monarchia, con l’esercito, con la Chiesa.
Nella Democrazia cristiana questo fenomeno si vede chiaramente. La generazione formata negli anni fascisti che prende il potere con Amintore Fanfani lo fa in sostanziale rottura con il partito di Sturzo e di De Gasperi e dà all’inevitabile ricambio generazionale un carattere ideologico con i temi postfascisti. Lo stesso Partito comunista prende la forma di partito nazionale nel medesimo modo, accettando il compromesso con la Chiesa cattolica e le istituzioni occidentali quale figura della sua politica. Ed è questa curvatura di sinistra che ha origini nel fascismo a spingere verso sinistra tutti i partiti, sicché il Partito comunista diviene il punto di riferimento delle istituzioni e della loro cultura. Il passaggio dal fascismo all’antifascismo avviene con il mantenimento delle medesime categorie politiche. E l’antifascismo prende il posto del fascismo.
Che la democrazia italiana abbia origine nella transizione tra il fascismo e l’antifascismo è evidente e quindi è evidente che l’antifascismo sia un fondamento storico della Repubblica. Ma quello che non doveva accadere era che l’antifascismo divenisse una condizione ideologica, che il fascismo divenisse una categoria atemporale, quasi una categoria dello spirito, e l’antifascismo diventasse la premessa di ogni forza politica.
Il Partito comunista seppe usare questa condizione per diventare il portatore della legittimità politica per tutti i partiti ponendosi come il portatore ideologico dell’antifascismo. In questo modo l’antifascismo è diventato un concetto non democratico né liberale ma puramente ideologico assumendo in ciò la continuità con il fascismo.
Quando nel ’94 l’antifascismo diventò la motivazione del solo Pds, cancellando tutti gli altri partiti storici, avviene la crisi del sistema. E la nascita di Forza Italia e delle alleanze per la libertà diviene nel ’94 la base per i partiti che accettavano certamente la rottura democratica del ’43-45, ma che non accettavano più l’antifascismo come categoria della cultura e dello spirito e si rifacevano invece al tema della libertà come affermazione del carattere originario della democrazia e della sovranità popolare. È avvenuta con la Casa delle libertà una rottura culturale dell’ordine politico. Ed essa è stata combattuta dall’ideologia dell’antifascismo nel senso della tradizione comunista incorporata nelle istituzioni e nella cultura dominante. È questa rottura che sta alla base di quello che Galli della Loggia chiama la «destra» e che non a caso dal fondatore della rottura Silvio Berlusconi è stato definita come liberale: cioè come antecedente e alternativa alla cultura fascista e antifascista del partito ideologico che dà forma alla società attraverso lo Stato. In questo senso la «destra» è la rottura della continuità tra fascismo e antifascismo sul piano della cultura e dello Stato e l’affermazione del carattere fondante del consenso popolare per la legittimazione dei governi. In questo modo la «destra» ha affermato la continuità del potere costituente del popolo italiano anche oltre i limiti attuali della Costituzione e della rigidità che essa pone alla sua riforma. Nelle ultime elezioni la resistenza al cambiamento liberale è venuta meno e ora la concezione dello Stato lanciata da Silvio Berlusconi è divenuta l’espressione di una legittimità popolare che si impone anche alle istituzioni di garanzia: dal presidente della Repubblica alla Corte Costituzionale al Csm.
Si può dire che Berlusconi è uscito dal Novecento continuando le istituzioni liberali prima del partito di massa creato dal fascismo e continuato nell’antifascismo? La cultura italiana tutta legata alla sinistra non ha ancora riconosciuto il fatto. Il termine «destra» può essere applicato alla forma politica del Popolo della libertà e della Lega solo se si riconosce formalmente la sua legittimità e la sua novità politica.

bagetbozzo@ragionpolitica.it

sabato 26 luglio 2008

UNA PREGHIERA PER IL MIO DIO A FAVORE DELL'UOMO

«Non avranno più fame,
né avranno più sete,
né li colpirà il sole,
né arsura di sorta,
perché l'Agnello
che sta in mezzo al trono
sarà il loro pastore
e li guiderà alle fonti
delle acque della vita.
E Dio tergerà ogni lacrima dai loro occhi» (Ap 7, 16-17).



“Un pane dato al povero è dato a Gesù stesso” dice il Vangelo…

Così come la preghiera che Lui ci ha insegnato recita “dacci oggi il nostro pane quotidiano”.



L'umanità sta vivendo una crisi alimentare di portata planetaria.

La crisi è dovuta a mutamenti climatici, fenomeni di siccità o inondazioni, aumento della domanda di cereali, minore investimento nella coltivazione dei cereali per alimentazione a vantaggio di altre produzioni per biocarburanti, crescita del prezzo del petrolio e speculazioni finanziarie sulle produzioni alimentari in generale.

Con i mezzi di cui oggi l'umanità dispone, è moralmente inaccettabile che vi siano ancora migliaia di persone che muoiono di fame, restando negato il loro bisogno primario di accesso al cibo per la vita.

E il fenomeno aumenterà, toccando anche Paesi evoluti come il nostro, dove la povertà è in aumento.

Lo sostiene la Commissione Episcopale per i problemi sociali.

E così come l’eucaristia "pane vivo, disceso dal cielo" per nutrire lo spirito, anche il corpo reclama il suo diritto al cibo per nutrirsi…

Un diritto al quale nessun Cristiano,solo perché sazio, può restare indifferente.

“Un pane dato al povero è dato a Gesù stesso, come dice il Vangelo!

SM

RICEVO DALL'AMICO SAURO MAZZOLA

Maledetti comunisti!

"Rolando RIVI...
Classe 1931, nativo di Castellarano, ai confini fra le provincie di Modena e Reggio Emilia.
Figlio di contadini e Seminarista per vocazione intima, amico di Gesù.
Nel '44.dopo l'oocupazione tedesca anche del Seminario, Rolando è costretto a continuare gli studi a casa sua, in forma autodidatta, ma lui ha fretta, vuole diventare Sacerdote, veste la tonaca nera nonostante i paesani lo sconsiglino di farsi vedere in giro con quell'abito talare, inviso a molti.

Il 10 Aprile 1945, un martedì, Rolando come al solito va in Chiesa e suona l'organo durante la Messa del mattino per accompagnare i cantori, fra i quali c'è anche suo padre Roberto.
Al termine, con i libri sottobraccio si avvia allegro verso il boschetto vicino a casa per studiare.
Indossa come sempre la sua veste nera ma incontra un gruppo di partigiani comunisti che lo sequestarno immediatamente.
"Non cercatelo, viene un momento con noi partigiani" è scritto su un biglietto lasciato a fianco dei suoi libri.
Portato nel loro covo, alcuni partigiani lo spogliano della sua veste, lo sbeffeggiano e lo percuotono a cinghiate.
Lui dice. "Sono un ragazzo...sì sono un seminarista e non ho fatto nulla di male"...
Ha solo 14 anni, ha paura di morire, piange e chiede pietà.

Qualcuno dei partigiani si commuove, si rende conto che è soltanto un ragazzo e propone di lasciarlo andare, ma gli altri si rifiutano, deve morire perchè è un maledetto prete !
Decidono di uciderlo e lo portano in un bosco presso loe Piane di Monchio, vicino a Modena.
Gli scavano una fossa e lo mettono davanti mentre lui continua ad implorare fra i ghigni e gli sberleffi dei partigiani comunisti...
Allora lui capisce, si inginocchia e dice: " Voglio prima pregare per la mia mamma ed il mio papà"...
Due scariche di rivoltella alla testa e Rolando rotola a terra in una pozza di sangue.
Lo coprono frettolosamente con terra e fogliame secco.
Nel frattempo i genitori angosciati saputo del rapimento vanno a cercarlo.
Sulla via del ritorno incontrano il capo dei partigiani che dice loro: "E' stato ucciso qui, l'ho ucciso io, ma sono perfettamente tranquillo".
Chissà se costui è rimasto tranquillo per il resto della sua vita ed anche dopo...
Maledetti comunisti.

Oggi è in corso una causa di beatificazione.
La istruisce Padre Tommaso Sottocorna
Comitato per la betaificazione di Rolando Rivi
Piazza Rolando Rivi
42014 Castellarano (Reggio Emilia)

venerdì 25 luglio 2008

MINISTRO PUBBLICA ISTRUZIONE MARIASTELLA GELMINI


DA LIBERO
| Italia | Alessandra Stoppa
Pubblicato il giorno: 25/07/08
Invito alle famiglie

Gelmini scatenata: «Basta con i genitori sindacalisti dei figli»

Per una volta il ministro dell’Istruzione non si scaglia contro libri cari e valutazioni. Quello che non le va giù sono i genitori che danno sempre ragione ai figli. Che si schierano dalla parte dei ragazzi a ogni costo, anche a quello di renderli più fragili. Le famiglie «troppo buoniste», le chiama lei. Padri e madri che decidono, per un malinteso senso di responsabilità, d’interpretare la parte di «sindacalisti dei propri figli». Dalla cattedra arrivano rimproveri, insufficienze o note, e ancor prima di sapere perché e percome a casa si è già deciso che il professore è nel torto.

La lectio del ministro Mariastella Gelmini è chiara. «Credo che le famiglie non debbano sempre dar ragione ai propri figli, essere i loro sindacalisti, ma che debbano creare una collaborazione con gli insegnanti». Condizione imprescindibile, questa, per rivalutare il ruolo dei docenti. Perché riacquistino la dignità passata e persa. Non solo: i primi a subire i danni dell’eccesso di protezione famigliare sono i ragazzi stessi: «Vogliono aiutarli, ma ottengono l’effetto opposto».

Il ministro parla per esperienza: «I miei genitori», racconta a Libero, «tendevano a dar sempre ragione al professore: diciamo che, in un “contenzioso”, se c’era qualcuno che contestavano aprioristicamente, ero io. Non certo l’insegnante. Per cui, prima che mi dessero ragione, ce ne voleva... Ma proprio questo, educativamente, è stato un fattore decisamente utile».

Tanto che, ieri, si è rivolta all’intero “corpo genitori” della scuola italiana. «Avere una famiglia troppo buonista nei confronti del figlio credo non aiuti il ragazzo: anzi, crea un cortocircuito con gli insegnanti e anche un disorientamento». E al richiamo segue un’indicazione di metodo: «Più rigore». Sia da parte degli insegnanti che delle famiglie.

La richiesta non cambia mai: era rigore anche quello chiesto e prospettato agli studenti per primi. Innanzitutto, infatti, la Gelmini si è concentrata sulla disciplina dietro ai banchi: il voto in condotta che ritorna decisivo nella valutazione finale («probabilmente già da settembre», abbozza); così come il grembiule («o meglio, la divisa, quella con lo stemma dell’istituto», secondo un’ultima precisazione).

In mezzo alle proposte rilanciate, il ministro accenna senza sbilanciarsi anche alla settimana corta. «Per ora è solo una possibilità da valutare». Ma la novità di stare sui banchi cinque giorni su sei, con il sabato come giorno libero («garantendo sempre il tempo pieno»), potrebbe essere uno degli esiti «delle normative che scatteranno da settembre 2009, con le quali rivedremo gli orari delle materie e dei cicli scolastici: valuteremo in quel contesto se lasciare agli studenti il sabato libero». Che non è, però, la priorità per il ministro bresciano. Come lo è, invece, l’assillo costante «di una scuola che è morta, che non ha nessuna progettualità: se il 97% del bilancio è costituito dagli stipendi, capisce che di una scuola decrepita si tratta». La speranza è riposta nel fatto che, da qui al 2015, sia destinato ad andare in pensione più del 30 per cento del corpo docenti. Quindi «ci sarà un ricambio naturale e, a quel punto, è importante trovare il sistema migliore per permettere l’ingresso dei meritevoli».

A sostenere la linea di rigore del ministro, in prima linea ci sono le scuole private. «Non possiamo che essere d’accordo con il ritorno del grembiule e del voto in condotta», spiega Marcello Sera, presidente di “Liberascuola”, associazione che riunisce oltre cinquecento istituti scolastici parificati. Quelli che una volta erano noti solo come “diplomifici”, ma che oggi si fanno paladini di qualità e disciplina e lanciano un appello alla Gelmini: «Siamo d’accordo con la linea del ministero, ma deve essere chiaro che vorremmo una parità effettiva: dalla firma della legge, nel 2000, siamo sempre stati visti con sfiducia: è il momento di dare piena attuazione a quella norma».

giovedì 24 luglio 2008

LA LINGUA ITALIANA, I DIALETTI E LA SCUOLA(click)

Questo il parere di un amico.

leone 20
Bossi: "Basta con i prof. terroni" 23/07/2008 22:15

Vorrei portare un goccio di acqua alla causa se mi permettete.
In tutti gli anni delle scuole medie, medie serie, quelle per cui si doveva fare l'esame di ammissione in quinta elementare e il latino iniziava fin dai primi giorni. Per tutte le scuole superiori il sottoscritto, Valtellinese del profondo nord, ha avuto solo due Prefessori di origini Valtellinesi, tutti gli altri erano provenienti da tutta Italia con preminenza dalle regioni del profondo sud.
Sono cresciuto in casa parlando il dialetto con i nonni e un po' di Italiano con mia Madre Friulana.
Per me l'Italiano è stato come il dover imparare una seconda lingua o quasi.
L'Italiano , che bestia nera è stata per me per anni, fino alla terza superiore quando ebbi il primo Professore di Italiano Valtellinese come tutti noi alunni.
Che pacchia, dal sei stiracchiato per le orecchie passai subito al sette, la sostanza c'era, mancava il modo esatto per descriverla e per chi poteva capire e si sforza di farlo anvdava bene.
Povero Professor Baggini, ricordo ancora le sue tiratine di orecchie... vedi si potesse parlare e scrivere in dialetto valtellinese forse potrei arrivare fino all'Otto e anche oltre.
Ricordo il giorno che mi vide in Uniforme da Colnnello Comandante di Reggimento Alpino e le sue lacrime di felicità, vi lasci solo pensare la mia emozione
Ovvio che chi non capiva e forse per ragioni sue non aveva la voglia o la pazienza di tentare di capire le cose non andassero allo stesso modo.
Per completare, all'esame di Stato uscii con la media del sette, nonostante l'esame di riparazione che l'Insegnante di Estimo (Meridionale) e mi rifilò per incompatibilità politica.
Oltre ad essere meridionale era anche un po' troppo sbilanciato a sinistra e non ne faceva mistero, anzi diciamo pure un po' di propaganda
Non capivo perchè si dovessero fare tutti gli scioperi, se l'avessi saputo il giorno prima sare rimasto a letto e mi sarei risparmiato una alzataccia e quaranta chilometri di treno per poi rimanere fuori dall'Istituto al freddo.
Naturalmente questo mi costò l'appellativo di fascista con tutte le consegienze che in quegli anni ruggenti ne derivavano.

lunedì 21 luglio 2008

CONTRO L'EUTANASIA

Un approccio sicuramente erroneo al problema dell’eutanasia, od ad altri consimili, è quello di considerarlo quale un contrasto fra principi religiosi e laici. Tale posizione risulta in realtà funzionale alle argomentazioni di coloro che ne sono favorevoli, di norma sedicenti laici, i quali in tal modo cercano di negare a priori la legittimità dei ragionamenti dei loro avversari, sostenendo che non sono di per sé accettabili in quanto ispirate a criteri religiosi e pertanto incompatabili con la laicità dello stato.
Bisogna quindi premettere che il dibattito sull’eutanasia o l’aborto, anzi su qualsiasi questione, non può e non deve essere mescolato a criteri di natura religiosa, ideologica, sentimentale ecc., ma ispirato unicamente a quelli d’oggettività e razionalità, così come si farebbe o si dovrebbe fare in ambito scientifico. Soltanto in questo modo si può tentare di giungere alla verità, che non appartiene a nessuno ed è tale per chiunque adoperi la ragione e possiede quindi carattere d’universalità. Come ha detto Giovanni Gentile: “Non esiste il mio pensiero o il tuo pensiero, esiste il pensiero”.[1]
In altri termini, il problema posto è su ciò che è giusto fare, e la risposta può provenire dai più diversi ambiti culturali ed intellettuali, indifferentemente siano essi laici o religiosi: ciò che importa è fornire argomenti probanti.
In questo inoltre si può evitare l’obiezione, in verità pretestuosta, di chi in nome della “laicità” di fatto intende negare diritto di cittadinanza ai credenti in qualsiasi religione, impedendo di sostenere le proprie posizioni, il che conduce ad uno stato non più laico (estraneo alle opinioni filosofiche e teologiche dei suoi cittadini) bensì laicista od ateo (l’agnosticismo o l’ateismo di fatto nuova “religione di stato”).
Ippocrate, il Greco padre della medicina, non era cattolico, ma se prescrisse a infinite generazioni di medici, col suo celebre giuramento, «non darai la morte, non prescriverai veleni», fu perché gli era chiara la conseguenza finale del minare il muro della difesa medica della vita.
Pertanto, a prescindere dalle considerazioni sulla sacralità della vita, che pure certamente si possono svolgere, che cosa si può dire contro la proposta della legalizzazione dell’eutanasia?

Inesistenza del libero arbitrio
L’argomento principe dei sostenitori dell’eutanasia consiste in un richiamo al criterio della libera scelta dell’individuo: chi decide d’uccidersi per sfuggire ad una grave malattia, ha il diritto di farlo.
Tuttavia, tale asserzione si presenta facilmente contestabile. Anzitutto, molte categorie d’infermi per i quali è proposta la “dolce morte” sono del tutto privi di coscienza, in stato comatoso ovvero vegetativo, e non possono in alcun modo esprimere la propria volontà. Anche nel caso che abbiano espresso precedentemente una loro volontà in proposito, non si può dire che siano in grado di confermarla.
Inoltre, anche coloro che teoricamente sono in grado d’esercitare tale possibilità, sovente sono menomati nel proprio “libero arbitrio” dalle circostanze in cui si trovano. Un essere umano gravemente malato può essere indebolito nelle proprie facoltà mentali, rimanere colpito anche psicologicamente con l’insorgere di malattie della psiche, ed anche abbattuto dallo stato di debolezza e sofferenza in cui è caduto. E’ discutibile, perlomeno in alcuni casi, che sia realmente in grado di compiere una scelta consapevole e razionale.
Soprattutto, un uomo malato al punto da poter desiderare la morte risulta obiettivamente vulnerabile a pressioni e suggestioni esterne, ben più di quanto non accada normalmente. Egli può essere indotto all’eutanasia dai suoi medici, che possono dirgli che “non esiste altra soluzione”, o parenti, che possono fargli capire d’essere indesiderato e di rappresentare un peso umano ed economico. Una persona che percepisca il sostegno dei propri cari può ben desiderare la vita, ma se viene ad essere implicitamente od esplicitamente rifiutato può allora scegliere la morte. Considerando che casi d’induzione al suicidio avvengono nella vita quotidiana, certamente si avrebbero anche con la legalizzazione dell’eutanasia, offrendo un “materiale umano” mediamente molto più debole.
Tutte le possibilità suddette si sono già tradotte in atto in Olanda, tanto che molti suoi cittadini hanno preso a redarre dichiarazioni firmate in cui si nega il diritto di compiere su di lui l’eutanasia, ed a portarle sempre con sé.[2]


Diminuzione delle cure
Oggigiorno esistono un gran numero di malattie piuttosto rare per le quali le cure sono insufficienti, così come colpiscono malanni cagioni di gravi sofferenze, senza che sia disponibile un terapia del dolore totalmente efficace. L’esistenza di simili problemi è naturalmente uno stimolo alla ricerca scientifica per la loro risoluzione. Tuttavia, nel momento in cui si diffondesse la pratica dell’eutanasia, proprio la “dolce morte” finirebbe col diventare agli occhi di medici e pazienti la soluzione prima, indebolendo le motivazioni al miglioramento delle terapie.
Laddove l’opzione eutanasica fosse accolta come possibile, ne conseguirebbe molto probabilmente un affievolimento dello sforzo teso a ridurre la sofferenza e la cura, soprattutto per quanto riguarda i gruppi socialmente ed economicamente più deboli, per i quali il ricorso all’eutanasia diventerebbe la soluzione più "ovvia" ed economica. Non si tratta affatto d’una possibilità teorica, bensì d’una eventualità altamente probabile, sia per i costi della ricerca scientifica, in quanto minore è il numero di persone colpite da una data malattia, minori sono le somme investite per la sua cura, essendo proporzionalmente più basse le possibilità di lucro.
Il fatto è già avvenuto con l’aborto, al quale in molti paesi si fa ricorso anche nel caso di malattie o malformazioni facilmente curabili, ma soltanto ad un determinato prezzo: l’aborto invece costa di meno, oppure è offerto gratuitamente dal servizio sanitario, in alternativa al trattamento rivolto alla guarigione, più costoso.
Si può portare un esempio consimile. Uno studio del 1994 ha documentato che malati di cancro appartenenti a minoranze etniche negli Stati Uniti d’America avevano possibilità tre volte maggiori di ricevere un trattamento inadeguato della sofferenza rispetto agli altri pazienti.
L’impiego dell’eutanasia consentirebbe quindi di ridurre od anche abolire le spese ed il servizio pubblici per determinate terapie, con uno scambio economicamente vantaggioso per le casse del sistema sanatario: l’aborto o la “dolce morte” costano di meno di date cure.



Imbarbarimento della società
Ma esiste un’altra valida ragione contro l’eutanasia, data dall’imbarbarimento della società. Per spiegare in che cosa consista tale pericolo occorre fare un passo indietro e domandarsi perché esistevano gruppi di pressione tanto forti a sostegno della pratica del suicidio assistito. La ragione è quella sopra ricordata, e consiste anzitutto nell’interesse economico. I bambini costano e comportano sacrifici, specialmente quelli malati, pertanto la soluzione ritenuta nell’immediato economicamente vantaggiosa consiste nel sopprimerli con l’aborto. I malati incurabili e gli anziani impossibilitati a badare a sé stessi rappresentano anche loro un gravame finanziario e sociale per lo stato e le famiglie, per cui diviene parimenti funzionale agli interessi dell’economia eliminarli fisicamente. La nostra società, che ha elevato a proprio dio il piacere ed a suo strumento il denaro, vuole individui adulti e sani, capaci di produrre e consumare: bambini, malati, anziani non rientrano in questa categoria, per cui sono di troppo.
In Olanda, paese che ha legalizzata l’eutanasia, si è compiuta col pretesto della pietà un’operazione di risparmio sulle spese assicurative, previdenziali, sanitarie. Si può dire che in tutte le società umane la senectus è stata vista come immagine della saggezza e della dignità, mentre i malati sono stati oggetto di pietà: nell’Europa cristiana dei secoli trascorsi costoro erano considerati immagine di Cristo sofferente, mentre oggi, sostituita la pietas romana e la charitas cristiana al businnes del capitalismo selvaggio, sono visti quale strumento di profitto o causa di perdita, valutati quale merce.
Naturalmente, a tempi lunghi simili scelte sono suicide per la collettività nel suo complesso, e ciò traspare dal calo demografico e dalla riduzione degli individui attivi dovuti anzitutto all’aborto, autentico genocidio mascherato. Tuttavia, per chi pensa soltanto al proprio interesse, questo può essere insignificante.
Permettere l’eutanasia significa quindi ripetere con malati ed anziani l’operazione già compiuta con bambini, ovvero disumanizzarli e privarli di valore e significato. La nostra società ha perso ormai criteri di giudizio del bene e del male, confondendo l’aequum, il giusto, con lo ius, il diritto, per cui si considera grossolanamente ed irrazionalmente legittimo quel che è legale, come nel caso dell’aborto. Una volta caduto il principio dell’intangibilità della vita e dell’umanità dei malati, quel che è stato proposto, ingannevolmente, quale uno strumento eccezionale, diverrà invece comune ed abituale, diffondendo inoltre una mentalità ed una cultura non della pietas verso malati e sofferenti, bensì del loro rifiuto.
Infine, ultimo ma non ultimo, s’assegnerà in questo modo un potere enorme e ben difficilmente controllabile alle autorità pubbliche, specie alle anonime burocrazie, che potranno di fatto decidere chi sopprimere. Già accade in Olanda con medici che s’arrogano tale diritto, naturalmente nell’impossibilità di regolamentare realmente l’esercizio dell’eutanasia.L’Europa si vanta d’aver soppresso la pena di morte, ma in realtà, oltre allo sterminio abortista, l'Olanda ha dislocato il potere statale di morte dalla Giustizia alla Sanità, secondo una deriva già ampiamente sperimentata con l'aborto stesso. La morte, trasferita a diverso competente ministero, non è più una «pena», s'è mutata in «somministrazione», cosicché colui cui la morte viene «prescritta» come «cura» estrema non ha diritto a pubblico processo, né avvocato difensore, né a una giuria.

[1] Beninteso, tale norma non respinge aprioristicamente l’eventuale veridicità delle diverse religioni, filosofie, dottrine politiche ecc. Per rimanere al cattolicesimo, la conciliazione fra fides e ratio è sempre stata ricercata sin dalla Patristica antica e poi per tutto il Medioevo e l’era moderna, sino a quella contemporanea. La Chiesa di Roma ha sempre respinto il fideismo, ovvero il credere senza ragione e contro ragione, sostenendo con Anselmo d’Aosta che fides quarens intellectum, intellectus quaerens fidem.
[2] il dottor Karel Gunning, medico olandese contrario all’’eutanasia, ricorda i casi seguenti. La mentalità di morte è diventata la norma fra i medici olandesi. Conosco un internista che curava una paziente con cancro ai polmoni. Arriva una crisi respiratoria, che rende necessario il ricovero. La paziente si ribella: non voglio l'eutanasia, implora. Il medico l'assicura, l'accompagna lui stesso in clinica, la sorveglia. Dopo trentasei ore, la paziente respira normalmente, le condizioni generali sono migliorate. Il medico va a dormire. Il mattino dopo, non trova più la sua malata: un collega gliel'aveva 'terminata' perché mancavano letti liberi". - C'è da aver paura. "Infatti la gente ha paura. So di un malato di Alzheimer ricoverato in una casa per non autosufficienti. Una settimana dopo, la famiglia lo trova in stato di coma. Sospettano qualcosa, e così lo fanno trasportare all'ospedale, dove il paziente si riprende dopo l'infusione intravenosa di tre litri di liquido. Era stato lasciato disidratato. E' vissuto, per quanto ne so, almeno un altro anno". - E lo facevano morire di sete. "Un collega m'ha raccontato questa: vecchio paziente ospedalizzato, in agonia. Il figlio chiede ai medici di 'accelerare il processo', in modo che il funerale del padre potesse aver luogo prima della sua partenza per le ferie all'estero, già prenotate. I medici eseguono, giù con la morfina. Ma qualche ora dopo, il paziente si siede sul letto, è persino di buonumore. Finalmente, aveva avuto la somministrazione di morfina sufficiente per calmare i suoi dolori, e stava meglio! Episodi del genere si raccontano fra medici come fossero normali. Come fosse normale uccidere un paziente per compiacere i familiari"

RITRATTO DI UN POLITICO DEI NOSTRI GIORNI (click)


Francesci Storace - La Destra

sabato 19 luglio 2008

NON IMPORTA CHI LO CHIEDE : FACCIAMOLO

Per Eluana Englaro, la ragazza in coma vegetativo che molti vorrebbero fare morire.

Per troppo amore.

Che però non conosce a fondo le vie del mistero della vita e della natura…

Solo il Creatore che ha dato questa vita ha il diritto di toglierla.

Lui sa e per questo rimettiamo con fiducia nelle Sue mani la nostra preghiera sincera, affinché a decidere sia solo Lui.



Anche questo è amore.

Affidiamo dunque Eluana al Signore nostro Dio e



Preghiamo….





Per tutti gli agricoltori i quali, raccogliendo il grano e tutti i frutti della terra, contribuiscono a sfamare il mondo.

Perché questi beni siano coltivati e distribuiti con onestà e giustizia, debitamente separate dalla zizzania della corruzione umana e dalla cupidigia del guadagno illecito e fraudolento



Preghiamo

mercoledì 16 luglio 2008

INTANTO QUESTA E' VITA


Rosaluna ci saluta attraverso Web

martedì 15 luglio 2008

Non siate ipocriti: chiamatela eutanasia

Invasivo. È la parola che ci tormenta. Nutrire Eluana Englaro, che per vivere non ha bisogno di macchine e di spine attaccate ma solo di un sondino, simile a quello che misero a mio figlio quando fu operato di appendicite, sarebbe un atto invasivo. Naturalmente, come è già stato osservato, togliere quel sondino e far morire Eluana di una morte lenta e terribile, la stessa di Terry Schiavo, non è un atto invasivo. Giuliano Ferrara ha invitato a manifestare contro la sentenza milanese che dà al padre e tutore di Eluana la facoltà di ucciderla (mi perdoni il padre, ma non trovo sinonimi altrettanto precisi), e io mi sento a mia volta di invitare chi ci legge a aderire a quella giusta iniziativa: portiamo anche noi bottiglie d’acqua sul sagrato del Duomo di Milano. Nella speranza che i nostri occhi comincino a spalancarsi sull’orrore che avanza, così da poter cominciare, poi, a immaginare scenari diversi, più umani. Ci hanno abituato a tutto, a tutte le infamie, a tutti i soprusi. Cosa è invasivo? Invasivo di cosa? A quale sapere, a quale dominio della conoscenza appartiene quella parola? A quale scienza? A quale giurisprudenza? Se non riusciamo a definire con precisione questo punto, allora sì, tutte le invasioni diventano legittime, e la parola «giustizia» perde il proprio significato. Quello che è certo - una delle poche cose certe - è che il caso di Eluana è un caso di eutanasia. Qui non esiste alcun accanimento terapeutico. Perciò non bisogna usare altre parole: la parola è «eutanasia». L’aveva detto lei, d’accordo. Era una ragazzina, diceva quello che dicono tutti - perché tutti dicono le stesse cose. Mi ci metto anch’io. Anch’io, se dovessi cadere in coma irreversibile, voglio essere lasciato morire. Parole. Ma, anche con le parole, per fare un deliberato atto di volontà ce ne vuole. Poi vengono i fatti, qualcuno finisce davvero in coma, ma chi li conosce quei fatti? Eluana non è morta, è viva. Ma è stata dichiarata morta in nome non della realtà - di cui siamo tutti profondamente ignoranti, medici compresi - ma di una convinzione filosofica, o di un sentimento. Di fronte a Eluana, tutti pensiamo di sapere cosa vuol dire veramente vivere - noi, che siamo infelici e nevrotici e dipendenti da questo e da quello perché non sappiamo stare al mondo. Ma sull'invasività non si discute. «Invasivo» è ciò che «sentiamo» come tale. Io credo che in questo particolare risieda l’orrore della vicenda. Eluana, se morirà, morirà in nome di un sentimento generalizzato trasformatosi in una sentenza capitale. Non in nome della pietà e dell’amore, ma di un certo modo di sentire la pietà e l’amore, senza alcuna necessità di cercare in queste parole così importanti la radice di un’oggettività. C’è qualcosa di orribilmente adolescenziale, di non cresciuto, di non adulto in tutto questo, che offende la nostra umanità. Mio nonno e mio papà mi hanno insegnato che la realtà è qualcosa di immenso e meraviglioso, e che al suo cospetto le nostre fantasie e i nostri pensieri sono miserie. Oggi ci insegnano che la realtà è una prigione da cui bisogna evadere in mondi fantastici o virtuali o, se non è possibile, evadere e basta. Andarsene. Morire. Questa filosofia, se così si può chiamare, sta diventando la filosofia del mondo. È stupida ma in compenso è comoda, perché ci permette di chiamare col nome di «giustizia», «pietà», «amore» tutto quello che ci pare. In altre parole: tutela il forte contro il debole. Io credo che sia possibile invertire questa tendenza. Le tendenze si invertono. Ma bisogna farsi sentire. Questi sono argomenti da piazza, non da talk show.
Luca Doninelli

QUESTA E' ANCORA L'ITALIA (click)

Ma io non ci credo
di Vittorio Sgarbi

Io non ci credo. Mi invitano tutti alla prudenza, a leggere le carte. Non vorrei che il mio ultimo articolo «garantista» dopo i tempi eroici della lunga guerra, evidentemente non conclusa, contro la ferocia giustizialista, alla distanza risultasse avventato, come estrema conseguenza di un atteggiamento mentale anche in tempi mutati e di maggiore attenzione e prudenza da parte della magistratura inquirente. Potrebbe essere. Io fui solo a difendere in anni lontani e difficili Tabacci, innocente; Musotto, innocente; Darida, innocente; Franco Nobili, innocente; Mancini, innocente; Misasi, innocente; nomi della nomenklatura democristiana e socialista, oggi in gran parte dimenticati insieme a infiniti altri, Battaglia e Quattrone arrestati e prosciolti, Calogero Mannino arrestato e non condannato. Ricordo questi nomi alla memoria di quel «terrorista» giudiziario che fu Di Pietro, e che inaugurò la stagione del linciaggio nella quale furono inquisiti centinaia di parlamentari e di sindaci, anche del Pci (ricordo di essere andato a trovare in carcere il povero sindaco di Carbonia, poi risultato, ovviamente, innocente). Una furia si abbattè su di loro, amplificando reati minori o inconsapevoli, in delitti odiosi per una società desiderosa di vendette. Il Palazzo era stato minacciato, era stato denunciato da Pasolini, per primo: infine fu abbattuto. Ne restano ancora le rovine. I sopravvissuti si sono ricoverati in rifugi di fortuna.
Ma se devo pensare alla prima interpretazione aberrante del dipietrismo, fuori di Milano, mi viene in mente l’arresto dell’intera giunta regionale abruzzese, mi pare nel 1993. Benché incredibile l’atto giudiziario non sembrò, in quel momento, straordinario: era l’estensione di un metodo, di una caccia all’uomo iniziata con la minaccia o l’uso del carcere preventivo per far parlare, per rendere infami. Ne è precisa testimonianza la lettera ai familiari, struggente e dolorosa, di Gabriele Cagliari: una denuncia durissima dei metodi della magistratura milanese, cui seguì il suicidio di Cagliari.
La storia si ripete. L’arresto di Ottaviano Del Turco, uomo della cui onestà personale appare a me, e a molti, difficile dubitare, rientra nella patologia di molte regioni rispetto alla assistenza sanitaria. È ben noto che attraverso il sistema sanitario si determinano molte servitù elettorali, e vasti bacini di voti. L’assistenza presuppone un dare, e non sempre legittimo, sia alle cliniche private sia ai singoli assistiti che stabiliscono rapporti fiduciari con i medici. Nel mondo sanitario vi sono poi assunzioni garantite, e spesso, come abbiamo visto a Milano, premi pubblici a danno dei malati in rapporto all’impegno nelle operazioni chirurgiche. Abbiamo visto di tutto e possiamo anche immaginare che l’assistenza sia garantita in eccesso a danno dei finanziamenti pubblici.
Ma la corruzione è un’altra cosa. E l’incriminazione, nella consapevolezza di un crimine dei sette assessori presenti, oltre che del presidente, presuppone un’associazione a delinquere che è diversa dalle ragioni anche politiche e clientelari che possono avere determinato decisioni discutibili e perfino abusi d’ufficio. Fatico a immaginare Del Turco e i suoi assessori in una delibera di giunta spartirsi la torta di tangenti per vantaggio personale. Fatico a pensare che in quell’atto di finanziamento a una clinica fosse intervenuta una banda bassotti pronta a rapire tangenti per centinaia di migliaia di euro. Ho conosciuto Del Turco in Parlamento come presidente della commissione Antimafia in un ruolo difficile per reprimere il più compiuto sistema di estorsione, e anche di collusione fra criminalità e politica che, secondo l’accusa Del Turco avrebbe poi praticato in questa circostanza. L’ho conosciuto come ministro delle Finanze applicato alla repressione dell’evasione fiscale, altra manifestazione di rapina. L’ho visto anche sopravvissuto a Craxi dopo la sistematica e criminale demolizione del Partito socialista senza essere sfiorato da inchieste così facili verso quasi tutti i vertici del suo partito. E dopo queste esperienze difficilissime dovrei immaginarlo prendere tangenti come presidente della sua Regione? Vorrei vederlo criticato per la sua azione politica, non abbattuto da un’incursione giudiziaria di esito dubbio. Scoprirlo oggi corrotto e ladro non mi sembra possibile. Non ci credo. E aspetto di ritrovarlo fra qualche tempo assolto, e dunque vittima. La guerra continua. La pax giudiziaria nonostante l’ostinazione di Berlusconi non sembra raggiunta. E sono certo che se Ottaviano risulterà innocente i magistrati che lo hanno arrestato non pagheranno per il loro errore. Di questa intollerabile anomalia i compagni di Del Turco, a sinistra, vorranno finalmente accorgersi, e trovare la forza di dissolverla?

sabato 12 luglio 2008

INASPETTATO E SOMMAMENTE GRADITO (click)


Luca & Silvestro Bagatin
Un premio immeritato se non per l'ospitalità che offro agli amici di cui vado fiera.
Grazie Luca.
Ambra

DURO & IMPURO by Luca Bagatin

LETTERA APERTA A CRITICA LIBERALE

Ringrazio il direttore di Critica Liberale Enzo Marzo e la Fondazione Critica Liberale per il sollecito invio delle news relative alle loro battaglie, che pur non sempre condivido.
Mi riferisco in particolare alla manifestazione antiberlusconiana e dipietrina dello scorso 8 luglio, alla quale Critica Liberale ha partecipato.
Con la lettera aperta che segue vorrei rispondere al loro Comunicato che potete trovare al link:

http://www.criticaliberale.it/GetIndexedPage.aspx?xml=orientamenti&id=18

Caro Enzo, cara Critica Liberale,
non ho condiviso e non condivido manifestazioni tipicamente reazionarie come quella dell'8 luglio scorso. Piazza Navona ha conosciuto ben altri fasti liberali ed anticlericali da non poter essere vilipesa così, da un personaggio (Antonio Di Pietro) che di innovatore e di riformatore non ha nulla.
Da un personaggio e dalla sua schiera di "intellettuali" e "comici" (mi spiace per la brava Guzzanti che amo moltissimo ma che questa volta è incredibilmente scaduta) che tristemente dal '92 ad oggi (ma, forse, sin dagli anni del compromesso storico antilaico) hanno scelto di schierarsi con una parte politica certamente non riformatrice.
E poi dice che uno si butta con Berlusconi.
Lo dico io che Berlusconi l'ho apprezzato solamente come imprenditore televisivo, ma che sotto il profilo politico mi ha sempre lasciato sostanzialmente indifferente. Lo dico io che non penso di essere reazionario e mi sono sempre battuto in prima persona in battaglie dichiaratamente libertarie, antiproibizioniste ed anticlericali.
Berlusconi imbarca i voti di coloro i quali non condividevano la cultura del compromesso storico degli anni '70. Di coloro i quali non erano e non sono moralisti e bigotti per quanto concerne la libertà di comunicazione, anche televisiva da contrapporre al monolitismo della Rai-Tv. Di coloro i quali hanno conosciuto e conoscono il sindacato abbastanza bene dal riconoscere che chi non ha un lavoro fisso o non è nessuno non ha alcuna possibilità di essere garantito. Salvo pagare di volta in volta per i relativi servizi prestati (però i sindacati prendono fior fior di quattrini dallo Stato....). Di coloro i quali sono assai poco interessati al risanamento dei conti pubblici (e magari pensano o ricordano che negli anni '80 i BOT davano interessi mica da ridere), purtuttavia sarebbero ben lieti di trovarsi qualche centinaia di euro in più in busta paga quali sgravi fiscali. E sono lieti di non dover più pagare l'ICI sulla prima casa (peraltro proposta di Rifondazione Comunista mai recepita dalla gauche au caviar). E sono anche lieti della Robin Tax e financo della tessera sociale.
Oggi, quantomeno negli ultimi tempi, qualche cosa è cambiato. Sono morte le cosiddette ideologie, purtuttavia traspaiono tutte le contraddizioni di un Partito Comunista e di una Sinistra Democristiana scarsamente progressive. Già allora, pur di non allearsi ai Socialisti ed ai Liberali, i comunisti si sarebbero alleati forse financo con la Destra nazionale.
E negli anni si sono legati ad un certo modo di fare "giustizia". A senso unico.
Quella che giustiziò l'odiato Tortora magari.
A me tutto ciò intristisce moltissimo. A me che iniziai a far politica a 17 anni nelle file della sinistra ambientalista e forse proprio per questo la compresi bene.
E mi accorsi tempo dopo, studiando, approfondendo, osservando, quanto ero stato cieco e ingenuo.
Oggi, certamente, mi piacerebbe moltissimo ci fosse un luogo dichiaramentamente laico, libertario ed anticlericale ove fare politica in completa autonomia da due schieramenti che in effetti non vogliono dire nulla e che hanno fatto di tutto per cancellare la gloriosa Storia del nostro Paese dal dopoguerra agli anni '90.
Purtuttavia mi rendo conto che con meno dell'1% non si va da nessuna parte. Ed allora guardo all'Europa ove vi sono i Liberali, i quali in Gran Bretagna stanno diventando il secondo partito dopo i Conservative.
E poi guardo ad un Partito Repubblicano americano che con McCain ha la possibilità di diventare un po' più libertario e certamente più liberale di un confuso partito obamista.
Ed allora in Italia sto con i Repubblicani di Nucara e La Malfa e guardo con simpatia ai 27 deputati Socialisti eletti nel Pdl e con immenso disgusto ciò che avviene in un Pd veltroniano ove, non sapendo che pesci pigliare e che linea avere, si guarda alla mediaticità di Di Pietro.
Altro che qualunquismo ! Magari ci fosse ancora il grande Guglielmo Giannini dell'Uomo Qualunque, grande liberale e repubblicano (espulso dal Pri a causa del suo eccessivo attivismo, sic !) di cui l'ottimo Lomartire ha pubblicato una biografia. Finalmente completa, finalmente non mistificatrice.
Magari tornasse una politica più vicina al cittadino, più radicale. Lo capisse anche Pannella che più volte nella Storia di questo medievale Paese avrebbe avuto la possibilità di guidare un grande Partito Riformatore di massa.
Ecco, caro Enzo, cara Critica Liberale, perché oggi l'unica sponda riformatrice è quella offerta dal PDL, dai Sacconi, dai Brunetta, dai Frattini e dai Tremonti. Nonostante tutto, certo. E ben consapevoli che di strada e di possibili alternative ve ne potranno essere nel futuro, forse, se lo vorremo, se sapremo costruire qualche cosa di alternativo.
Un abbraccio ed un caro saluto.

Luca Bagatin
www.lucabagatin.ilcannocchiale.it

venerdì 11 luglio 2008

QUESTO ACCADE OGGI IN ITALIA

L'8 luglio di questo mese si è svolta a Roma, in piazza navona, una manifestazione contro l'attuale Governo da parte di una minoranza politica (Italia dei Valori e simpatizzanti: Alcuni nimi di partecipanti sono citati in questo articolo che parla di una delle persone sucedutesi sul palco per esprime il proprio dissenso.
Da questo articolo si può farci un'opinione chiara sul degrado di certa Italia.
Che Dio ci protegga.



LA GUZZANTI? ODIA E NON SA AMARE

Giovedí 10.07.2008 11:50
Di Alberto Giannino - Associazione culturale docenti cattolici (ADC)

Questa volta, la signora Sabina Guzzanti, 45 anni, romana, diplomata all'Accademia Nazionale D'Amico, comica, attrice, e imitatrice, ha superato il limite. Non le bastava insultare ogni due e per tre il capo del Governo, ma ora ha alzato il tiro. Ha partecipato alla manifestazione "No Cav" a Roma a Piazza Navona, insieme a giornalisti (Marco Travaglio, Paolo Flores d'Arcais), intellettuali (Andrea Camilleri, Pancho Pardi), esponenti politici (Antonio Di Pietro, Furio Colombo, Rita Borsellino), del mondo dello spettacolo (Beppe Grillo, Moni Ovadia, Ascanio Celestini) e dei girotondi; polemizzando, in prima persona, sul ruolo della Chiesa cattolica in Italia e insultando Benedetto XVI. Scriviamole le parole che la soubrette, cineasta, autrice, politica e quant'altro ha detto sul Papa che odia e disprezza dimostrandolo con tutto il suo livore nei fatti e nelle parole. "Tra vent'anni Benedetto XVI - ha detto - sarà all'inferno con 2 diavoli frocissimi".

Che la Guzzanti fosse in crisi da tempo lo sapevamo: in Tv non appare da anni se non per brevi comparse, il suo programma su rai 3 Riot è durato una puntata, e per ricordarci del lei dobbiamo ritornare agli inizi degli anni '90 con la Dandini, Avati e Ricci. Insomma, una comica che si era buttata sul politico imitando soprattutto D'Alema e Berlusconi. Ora è toccato al Papa. Per due motivi. L'opinione pubblica si è dimenticata di lei, e in questa società se non appari purtroppo non conti. E in secondo luogo perché non ama questo Papa che considera conservatore, retrivo e chiuso sui suoi valori (unioni di fatto, aborto, divorzio, eutanasia, libertà di educazione ecc.). Quelli che per antonomasia sono nella Chiesa i valori non negoziabili, non trattabili, ma in atto nella Spagna e nei Paesi nordici.

Ecco allora che questo Papa è vecchio nelle idee, è un conservatore, è un uomo chiuso al nuovo e soprattutto non recede dai principi del Vangelo di Gesù. Per la signora Guzzanti questo Papa propone la solita minestra riscaldata, propone divieti e tabù. E' un uomo chiuso al nuovo. E in più con il capo della CEI Angelo Bagnasco si ingerirebbe nelle vicende italiane. Ma se lo fa un vescovo progressista, per la Guzzanti è del tutto normale, ma a Benedetto XVI non riesce a perdonarglielo e non dorme la notte. Che dire? Questa volta la Guzzanti ha fatto un turbiloquio degna della persona più arrogante del mondo del laicismo e dell'anticlericalismo, ha commesso vilipendio nei confronti sia di un Capo di stato straniero che del più importante esponente della religione cattolica.

I giornalisti scrivono che la Procura di Roma ha già aperto un fascicolo nei suoi confronti. Vedremo come va a finire. Tanto all'impunità siamo abituati, signor Travaglio. Giusto? E, per favore, nessuno mi venga a dire, che la Guzzanti ha esercitato un diritto di critica, ha espresso delle opinioni, ha manifestato il proprio pensiero. Sono tutte balle. La Guzzanti ha approfittato della manifestazione di Grillo e Di Pietro per ritornare alla ribalta della cronaca, per ritornare in Tv. Del resto solo sparando cosi in alto poteva in qualche modo ritornare a RAI 3 in ultima serata. Se no razionalmente non si spiega il suo gesto e il suo turpiloquio. Violeva fama, gloria, successo, popolarità. Le ha avute, ma il bilancio è negativo, e non le gioveranno sicuramente nella sua carriera.

E' evidentemente una donna confusa e irrazionale quando fa satira che non sa ponderare le sue azioni e i suoi comportamenti. A proposito: di tutte le autorità che c'erano alla manifestazione quanti si sono dissociati dalla Guzzanti? Quanti hanno preso le distanze? Lo dicano e non si limitino a generiche parole di circostanza. Guzzanti ha espresso un linguaggio volgare e scurrile tipico delle osterie, porti, navi e caserme. Anzi, peggio. Per avere un po' di pubblicità ha venduto l'anima al diavolo. In questo senso parla di inferno e di diavoli froci dimostrando anche un razzismo verso gli omosessuali e le lesbiche che tanto l'adorano.

Contrariamente a questo Papa che finalmente sta allontanando i preti pedofili, non vuole candidati dichiaratamente omosex al sacerdozio, e riduce allo stato laicale chi si trova in certe situazioni di grave peccato e per chi tocca un bimbo. Ma chi è la Guzzanti veramente? Ce lo dice l'UAAR che, lo scorso anno, istituì un premio per il miglior film che sarebbe stato presentato alla 64ª Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, in programma dal 29 agosto all'8 settembre 2007. Il riconoscimento, che si chiamava "Premio Brian" dal nome del film satirico dei Monty Python Brian di Nazareth, sarebbe dovuto essere conferito per l'UAAR a «un film che evidenziasse ed esaltasse i valori dal laicismo, cioè la razionalità, il rispetto dei diritti umani, la democrazia, il pluralismo, la valorizzazione delle individualità, le libertà di coscienza, di espressione e di ricerca, il principio di pari opportunità nelle istituzioni pubbliche per tutti i cittadini, senza le frequenti distinzioni basate sul sesso, sull'identità di genere, sull'orientamento sessuale, sulle concezioni filosofiche o religiose».

Indovinate chi ha vinto? Ma naturalmente la Guzzanti con il film "Le ragioni dell'aragosta". Dobbiamo dire altro? Il linguaggio rozzo e truculento verso Benedetto XVI la Guzzanti se lo poteva risparmiare. A lei questo Papa non piace perché è popolare, perchè le sue Udienze generali del mercoledì sono stracolme e strapiene di gente che arriva da tutto il mondo per ascoltare il magistero del successore di Pietro nonchè Vicario di Cristo sulla terra. Alla Guzzanti non va giù un Papa che mette insieme un milione di persone di giovani come peraltro l'amatissimo e indimeticabile Giovanni Paolo II morto al servizio della Chiesa consumandosi e spendendosi fino all'ultimo per essa. Solo Mao, Pol Pot, Stalin Breznev, Saddam, Hitler e dittatori dell'America Latina riuscivano a farlo, ma con la dittatura, la forza e la violenza Benedetto XVI usa altre armi: la mitezza, il cuore e la ragione.

E poi questo Papa non se lo aspettavano. Quando l'hanno visto sul balcone di san Pietro gli è venuto un accidenti. Ma se lo Spirito Santo che è Dio, ha deciso cosi (ispitando i Cardinali elettori) evidentemente era il Papa giusto al posto giusto. Non a caso il nostro è il tempo di Zapatero, di Milingo e di Moon, della Chiesa anglicana che ordina vescovi donne e vescovi gay, dei preti pedofili, delle Chiese vuote, della carenza di vocazioni sacerdotali, del relativismo culturale, del nichilismo e dello scientismo e dello scetticismo inoculato anche nelle scuole di stato in maniera disonesta e scorretta. La Guzzanti con il suo bullismo verbale ha dimostrato di essere un personaggio inquietante, che odia e che non sa amare, che è intollerante e non sa dialogare, che non sa cosa sia la mediazione o il confronto.

Papa Benedetto XVI l'avrà già perdonata. Del resto Cristo ci diceva 2000 anni fa: "Ama il prossimo tuo come te stesso" e inoltre "perdona fino a 70 volte 7." Benedetto XVI è un uomo di carità e si comporterà di conseguenza. Non sa neanche chi sia questa signora, ma sa che è ostile al cattolicesimo e a lui che ne è il capo. Sa che è una "Killer" della Chiesa con le sue espressioni volgari e ignobili. In questa triste e penosa vicenda viene a galla tutto lo squallore e il degrado morale di personaggi che Rai 3 ha mantenuto e fatto conoscere al grande pubblico con i soldi pubblici. Per che cosa? Per una forma congenita di ateismo aggressivo e militante che speravamo fosse finito, ma che ogni tanto ritorna, per una ostilità preconcetta contro Benedetto XVI. Ma cosa volete che sia tutto ciò per personaggi che "vivono come se Dio non esistesse" e per loro (senza Dio) tutto diventa lecito. Anche il vilipendio e il turpiloquio? Certo le sue indimidazioni pepotevano fermare il Papa, ma non questo Papa. Che ha un unico obiettivo: quello di "annunciare a tutti la Buona Novella fino agli estremi confini della terra". Ricordi signora Guzzanti Benedetto XVI è un uomo mite , ma forte. E non saranno le sue volgarità a fermarlo.

giovedì 10 luglio 2008

In galera il primo pm : sarebbe Giustizia !

Sindaco in cella per errore Ora assolto ma è già morto

Di Alberto Giannoni

Ora in tribunale «il fatto non sussiste». Il 1° giugno 2004 alla darsena di Portoferraio (isola d’Elba) non accostarono soltanto i traghetti dei primi turisti. Anche una vedetta dei carabinieri. Per imbarcare il sindaco Giancarlo Ageno. Mancavano due settimane alle Comunali in cui avrebbe lottato per la riconferma. Lo «accompagnarono» per tutto il lungomare. Fu caricato e incarcerato a Livorno.


Il «dottor Ageno» era medico di famiglia in quella cittadina tranquilla. Riservato, elegante, due lauree. Iscritto a Forza Italia, nel ’99 aveva messo in piedi una giunta civica. Qualche errore d’inesperienza e difficoltà interne alla maggioranza. Niente che lasciasse immaginare il quadro descritto dagli inquirenti: voto di scambio, associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e alla concussione, abuso d’ufficio. L’accusa: aver piegato gli strumenti urbanistici agli interessi del principale gruppo economico dell’isola, attivo nella distribuzione commerciale. Agli arresti finirono anche il titolare della società – dipinto come il «burattinaio» – un assessore, il capo dell’ufficio tecnico comunale e il figlio del sindaco, architetto..

Alle elezioni comunali del 14 giugno quasi il 30 per cento dei concittadini votò per quel candidato che non aveva potuto fare il comizio finale in piazza perché ancora in carcere. Si scrisse di un «violento comitato d’affari» e della «perversa spirale di malaffare» di quella che fu battezzata «Elbopoli». Ageno tornò in Consiglio per dimettersi, ma non era più lui. Il suo calvario finì pochi mesi dopo. È morto di crepacuore nel febbraio 2005.


Il processo è andato avanti per gli altri imputati (rinviati a giudizio) e con un nuovo Pm, che un mese fa ha ridimensionato le accuse a un «semplice» abuso d’ufficio. Per il giudice «non sussiste» neanche quello: tutti assolti. Ieri all’Elba hanno proposto di intitolare una piazza a Giancarlo Ageno, «uomo giusto e onesto».

mercoledì 9 luglio 2008

LABARO REGGIMENTI ALPINI 1920 (clic)



A nome di Gioacchino.

Bologna e la Storia da riscrivere


Bologna e la storia da riscrivere




Scritto da Davide Giacalone

martedì 08 luglio 2008

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La sicura ed accertata verità processuale è che gli allora fascisti Fioravanti e Mambro sono colpevoli della strage di Bologna. Questa è la verità “passata in giudicato”. Per quelli che ritengono non si possano discutere le sentenze, la cosa finisce lì. Solo che finisce fuori strada, perché quei due non misero la bomba. I tribunali hanno giudicato così, ma hanno giudicato male.

A me sono sempre parse evidenti due cose: a. il neofascismo stragista era esattamente il nemico che quei due, da fascisti, si erano scelto; b. si sono assunti la responsabilità di numerosi reati gravi e di omicidi, hanno sempre rifiutato con sdegno l’accusa relativa a Bologna. Quest’ultima non appartiene loro. Sul fatto torna Francesco Cossiga, rilanciando una tesi già nota da tempo, ma che fa bene a ricordare: furono i palestinesi, che in Italia trafficavano in e di armi grazie al “lodo” di Aldo Moro, secondo il quale potevano servirsi del nostro territorio, ma a condizione di non farne il terreno di battaglia.


Quel lodo ebbe più di un’eccezione, ma anche moltissime conferme. Basta, però, non accontentarsi della verità giudiziaria per accorgersi che molte pagine della nostra storia devono ancora essere scritte. E scrivendole si dovrà scandagliare la realtà di un Paese dove si è combattuta una lunga guerra civile, all’ombra della guerra fredda. Sarà cominciando a capire quel che è realmente stato che si potrà capire quel che siamo, compresa l’infinita crisi d’identità di una sinistra che fu in larga parte comunista, quindi interna a quello scontro di soldi, servizi ed armi dell’est. Sarà rifiutando la pappa predigerita che si potrà cogliere la natura della nostra crisi istituzionale e politica, trovando anche la forza di uscirne.


Nel biennio 1992-1994 è stata violentemente distrutta l’Italia migliore e più pulita, che aveva le sue colpe, ma interne al sistema democratico. E’ vero, come Cossiga ricorda, che Craxi, anche per il tramite del conto All Iberian, finanziava l’Olp, ma fu anche il capo del governo che consentì, con Spadolini, lo schieramento degli euromissili. Fu un amico degli Stati Uniti e certo non un nemico d’Israele. Alla sua sinistra c’era la moltiplicazione dei suoi difetti, mentre mancavano tutti i suoi pregi. Attenti, dunque, a non avventurarsi con semplicismo su un terreno tanto difficile. La stessa cosa vale per Moro: lui, amico dei palestinesi, finì ammazzato da Brigate Rosse largamente penetrate da servizi dell’est. Se la si prende alla leggera si può credere che agli americani convenisse, ma se si guarda dentro si scorgono i segnali di uno scontro interno al mondo influenzato dall’Unione Sovietica, i cui riverberi non risparmiarono certo il Vaticano.


Mi convince, invece, l’idea cossighiana che mani pulite sia nata con la complicità di una parte del mondo americano, così come è con quelle complicità che si poté consentire la manipolazione di Buscetta. Ma, in questo caso, la ragione è rovesciata: non fu un’operazione politica, bensì la presa d’atto che con la fine dell’impero sovietico terminava anche il ruolo delicato dell’Italia, dove pure c’erano molte ricchezze che potevano essere assaltate. Così è stato, anche se è ancora rischioso mettersene a raccontare la cronaca più dettagliata.

Davide Giacalone
www.davidegiacalone.it

martedì 8 luglio 2008

ITALIA MIA, BENCHE' 'L PARLAR SIA INDARNO...


Lo scontro finale
Scritto da Mauro Mellini
martedì 08 luglio 2008

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Siamo arrivati al punto che lo scontro è inevitabile.Lo scontro tra chi, avendo ricevuto dal popolo un inequivoco e legittimo mandato, intende governare il Paese e chi ritiene di essere investito del diritto, anzi, del sacro dovere, di stabilire chi ha il diritto di essere investito del mandato popolare e di mantenerlo, il che, in parole povere significa il potere di sostituirsi al mandato popolare e di stabilire quale sia il voto (buono e) valido e quello (cattivo e) annullabile. E’ uno scontro, quello di oggi, che si verifica a distanza di anni da quando i censori del voto popolare, nel 1994, decisero che la vittoria di Berlusconi, appena sceso in campo, “non valeva” e, quasi senza colpo ferire lo “sostituirono”, grazie anche alla fattiva compiacenza di “uno di loro”, del Presidente Scalfaro.
Da allora è passata parecchia acqua sotto i ponti. Quella pretesa di supersovranità non è stata mai dismessa.
Anzi è stata esercitata, seppure in modo intermittente e frammentario, con utilizzazione di “spalle” diverse, dal Quirinale a componenti della stessa maggioranza, dalla stampa della grande finanza ai partiti di una sinistra che, dichiaratamente o meno, ha finito col considerare il giustizialismo come l’ultima sua spiaggia.
Oggi, dopo la vittoria di Berlusconi alle elezioni, netta e chiara, senza l’equivoco della quinta colonna dell’insulsaggine Casiniana e dopo che l’altrimenti puerile e grottesca ripresa degli attacchi a base di vecchie scorie di inchieste degli anni ruggenti dell’antiberlusconismo giudiziario e di vergognose intercettazioni perpetrate nell’ambito di inchieste “esplorative” è riuscita a mettere in crisi non il governo, ma la linea e la leadership dell’opposizione, costringendo Veltroni, o fornendo a lui il necessario alibi (che nel marasma della sinistra è più o meno lo stesso) ad abbandonare il “dialogo” e la presa di distanza dalla Sinistra Arcobaleno, che aveva contraddistinto, non senza equivoci, (tra cui l’ipotetica dipietrista) la campagna elettorale, ed a tornare a teorizzare lo scontro con la maggioranza e col governo di Berlusconi ed a sostenere le pretese pangiurisdizionaliste e di interventismo politico della magistratura che è di nuovo pieno e manifesto.
E, soprattutto, sembra proprio, malgrado qualche tentennamento e qualche piccola retromarcia più o meno televisiva, e malgrado le solite voci di auspicati compromessi, dati per intervenuti, che governo e maggioranza sulla giustizia, cioè nello scontro, appunto con questa fazione eversiva velleitariamente egemonica e supersovrana, non intendono, come certo non debbono, per il rispetto verso se stessi e verso il popolo, assolutamente mollare e retrocedere.
Quali che siano le apparenze, l’esito dello scontro non dipenderà dalla forza e dalla determinazione dei magistrati oltranzisti. I quali, senza la stolta solidarietà dei loro colleghi che ne respingono, magari, stravaganze ed eccessi di manifesta faziosità, ma non negano loro solidarietà in nome di una mal concepita indipendenza e di una sostanziale irresponsabilità, oltre che di interessi corporativi nulla potrebbero e presto (e male, per loro) sarebbero emarginati. E nulla potrebbero senza “spalle” non tanto nel populismo giustizialista becero e cafone di Di Pietro a quello altrettanto becero dell’abatino Travaglio, ma piuttosto quelle del moderatismo di chi invoca “compostezza e buone maniere” nello scontro con autentici terroristi della toga ed anzi auspica che lo scontro stesso sia evitato.
Ma è altro che qui ed ora vogliamo e dobbiamo affermare, considerando proprio le responsabilità che derivano dalla presa d’atto di questa ineluttabilità dello scontro. Responsabilità anche nostre, che non ne abbiamo, e pochissime ne abbiamo avute in passato, di istituzionali. Responsabilità d’ordine intellettuale e morale, quali quelle che ha ogni cittadino che intende rappresentare e caldeggiare presso altri, poco importa se molti o pochi, scelte rilevanti per la cosa pubblica.
E noi la scelta dello scontro l’abbiamo da anni rappresentata come necessaria ed eneludibile, anche quando nessuno pareva volesse darci ragione.
Quel che credo occorra in questo momento ribadire con forza e fermezza è l’appello a quei magistrati che sono degni di tale funzione e dei suoi alti compiti, che non sono affetti da protagonismo esiziale, da pretese di dover esercitare una missione nei confronti del Popolo per salvarlo dalle sue stesse scelte ritenute malefiche etc. etc. e che non sono neppure somari e fannulloni in cerca di coperture e di assicurazioni contro le contestazioni di queste loro tristi qualità, di compiere un gesto di dissociazione, una scelta di una via diversa da quella imboccata da tanti loro Colleghi che per anni sono riusciti ad egemonizzare la categoria e che sembra non si rendano conto che oramai l’epoca in cui per i magistrati spararle sempre più grosse in senso giustizialista e sinistrorso era il modo migliore per assicurarsi successo o, almeno, impunità e vita tranquilla.
Ciò che si deve chiedere a questi magistrati degni di rispetto e di considerazione non è, però un mero gesto formale. Né solo di astenersi personalmente da certi comportamenti oggettivamente (ma, per taluni, non solo oggettivamente) eversivi.
No, questo non basta più. Occorre spezzare una mal concepita solidarietà. Occorre smetterla di invocare l’indipendenza, l’incensurabilità dell’esercizio delle funzioni a tutela di queste manifestazioni anche altrui di faziosità o, magari, di asinità.
Occorre, anche nell’esercizio delle funzioni giudiziarie vere e proprie, metter da parte quel colpevole atteggiamento per il quale le più grosse corbellerie del “Collega” sono quelle che vanno meno evidenziate, a costo di confermarle e di condividerne le responsabilità.
Quanto vi chiediamo signori magistrati per bene, amici (ci sia consentito) magistrati per bene, é certamente nell’interesse di tutti i cittadini. E’ certamente nell’interesse della Comunità. Ma è nell’interesse della stessa magistratura che rischia di essere travolta nel suo complesso, anche con i suoi uomini migliori e con i valori più significativi della sua funzione, da scelte che le hanno dato una effimera gloria, un potere spropositato, ma l’hanno anche immiserita e screditata, ponendola in una situazione che non potrà essere tollerata troppo a lungo dal Paese, quali che debbano essere le sue sorti politiche.
Se c’è una magistratura moderata, tale non solo nelle parole e nelle etichette, è ora che si manifesti per tale. Prima che sia troppo tardi. Senza gli scrupoli di una solidarietà di casta che diventa, sempre più manifestamente, colpevole e deleteria. Sarà il miglior servizio che degnissime persone possano fare al Paese.

Da: www.giustiziagiusta.info

lunedì 7 luglio 2008

ANALISI LUCIDA SU DI PIETRO

Da CAMPANE A MARTELLO

lunedì 7 luglio 2008
Intercettazioni stile KGB
Qualche giorno fa, parlando con Ambra, le dissi cosa pensavo di di pietro, persona che, a mio parere, farebbe bene a chiamarsi compagno anton pjotrov, con riferimento a quel KGB a cui mi sembra assai intelletttualmente legato.
Stessa, penso, identica, insana, voglia di spiare tutto e tutti, di sapere ogni intima cosa di ognuno (soprattutto avversari politici, perché, a sinistra... è un altro guardare, ben più benevolo, mi pare).
Di fronte alla realtà di 125.000 intercettazioni fatte da una nazioncina come l'Italia, in paragone alle 1700 fatte da una nazione ben più grande, ricca e numerosa, il nostro politico dall'eloquio assai particolare avrebbe dovuto vergognarsi, e invece ha il coraggio di indignarsi contro chi, come me, trova quest'invasione della privacy assurda, se non criminale.
E', io credo, questione di mentalità.
A noi piace la libertà, e che l'invadenza dello Stato abbia dei limiti (soprattutto se si spia con occhio strabico....);
a qualcun altro piace mettere la libertà altrui sotto torchio,
e trascurando processi e incombenze anche importanti (come per quel boss condannato e uscito perché il magistrato che avrebbe dovuto scrivere la sentenza, in 8 anni non ne aveva avuto il tempo !)
si corre dietro a fatti che con le vere indagini hanno poco a che fare.
Come fa una certa magistratura (non La Magistratura, ma solo quella parte deviata che spia iperbolicamente) ad avere tempo e soldi per le proprie necessità, quando lo impiega e li spreca in questi, per me, abusi di "investigazione" ? ... vere e proprie, sempre a mio parere, persecuzioni a carico di avversari politici, in cerca di un reato di cui non si ha nè evidenza né notizia ?
Si cerca di incastrare in qualsiasi modo chi si oppone ai loro sogni utopistici condannati dal Popolo Italiano (che li ha azzerati in Parlamento),
sogni che non sono mai diventati realtà politiche, né mai li diventeranno, perché sono contro ogni logica.
Sogni, però, che hanno armato molte mani, e causato tante, tante, tante, troppe vittime.

Secondo me.
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ROSALUNA - OGNI PROMESSA E' UN DEBITO


Vi ricordate quando annunciai che sarebbe nata la nostra napoletanina ?

sabato 5 luglio 2008

DURO & IMPURO by Luca Bagatin

"LIBRO APERTO, RIVISTA DI CULTURA LIBERALDEMOCRATICA"

Ringrazio pubblicamente la Redazione della rivista di Cultura Liberaldemocratica "Libro Aperto" (www.liberoaperto.it) ed il suo direttore Antonio Patuelli, per avermi in questi giorni contattato ed inviato una copia saggio della loro pubblicazione trimestrale.
Ho così avuto la possibilità di scoprire questo raffinato prodotto editoriale fondato dallo storico Segretario del Partito Liberale Italiano, On. Giovanni Malagodi.
La mia non è una tradizione liberale e crociana, bensì mazziniana, repubblicana e liberalsocialista che culturalmente si rifà all'esperienza del Partito d'Azione e del primo Partito Radicale di Mario Pannunzio.
Purtuttavia riconosco alla tradizione Liberale, da Cavour ai giorni nostri, il grande merito di aver contribuito all'Unità d'Italia ed essere riuscita, nel corso dell'800 e del '900 ad arginare le derive clericali da Pio IX alla Democrazia Cristiana di Fanfani e Andreotti.
Riconosco così tanti meriti alla tradizione del piccolo Partito Liberale, che l'ho anche convintamente votato e sostenuto alle ultime elezioni politiche (non avendo trovato sulla scheda l'Edera repubblicana) e lo rifarei financo domani stesso.
La tradizione Liberaldemocratica nel nostro Paese è da sempre minoritaria (salvo negli anni '60, ai tempi del PLI al 7%), purtuttavia è l'unica tradizione antidogmatica e non ideologica presente nel panorama europeo ed occidentale.
Una tradizione interclassista (e che aborrisce da sempre l'assurda e violenta "lotta di classe") che coniuga libertà economiche a diritti individuali. Che pone l'individuo al di sopra dello Stato e che mira a valorizzarne la sua intrinseca potenzialità, identità e creatività.
E così, ecco che le nuove pubblicazioni di "Libero Aperto" ridanno lustro a questa cultura politica, permettendo così ai liberali, ai repubblicani ed ai liberalsocialisti vecchi e nuovi, di trovare un "luogo non-luogo" ove discutere ed approfondire tematiche altrimenti scarsamente trattate.
Così come avviene, in casa socialista, con l'ottima rivista "Critica Sociale" e con "Mondoperaio" che, anni fa, mi pubblicò anche un mio lungo articolo nel quale riprendevo in mano il sogno di Salvemini e di Pannunzio, ovvero la nascita di una Terza Forza Liberaldemocratica e Liberalsocialista, antagonista a questa sinistra a questa destra figlie dell'incultura massificante e massmediatica che mette assieme il tifo da stadio al sotterfugio.
Senza solide radici storiche e culturali non vi è alcun presente né tantomeno alcun futuro.
La Lega, il Pd, il Pdl, sono tutti contenitori destinati a scomparire o a modificarsi.
I Liberali, i Repubblicani ed i Liberalsocialisti sono invece ancora lì. Spesso ancora con il loro simbolo e la loro identità.
Un giornale, una rivista, una pubblicazione, sono le uniche risorse pragmatiche ed utili al fine di tenere legati i fili di una tradizione che affonda le radici nel Risorgimento, passando per l'antifascismo libertario ed anticomunista e proseguendo nell'europeismo e nell'occidentalismo atlantico, che hanno reso l'Italia un po' meno medievale.
Invito pertanto tutti i lettori ad abbonarsi a "Libro Aperto": 4 numeri all'anno più i supplementi (ottimi DVD sulla storia del Liberalismo e dei maggiori esponenti Liberali), nonché la possibilità di ricevere al costo di soli 10 euro quali rimborso spese, l'introvabile volume "I Liberali da Cavour a Malagodi" a cura dell'On. Patuelli.
L'abbonamento ordinario è di 32 euro annuali con diverse modalità di pagamento:

- sul c/c postale n. 62006366 intestato a FONDAZIONE LIBRO APERTO - Via Corrado Ricci, 29 - 48100 Ravenna

- sul c/c bancario n. CC0780010704 intestato a FONDAZIONE LIBRO APERTO - Via Corrado Ricci, 29 - 48100 Ravenna presso l'Agenzia 1 della Cassa di Risparmio di Ravenna (codice IBAN IT70 Z062 7013 178C C078 0010 704)

- mediante assegno di c/c bancario intestato a FONDAZIONE LIBRO APERTO - Via Corrado Ricci, 29 - 48100 Ravenna

Un piccolo gesto che può riempire la vostra estate e la vostra mente, allontanandovi dalla banalità di certa "informazione".

Luca Bagatin
www.lucabagatin.ilcannocchiale.it

DURO & IMPURO by Luca Bagatin

"I PARTITI E IL REGIME"

Aldo Torchiaro è un bravo giornalista di ispirazione socialista, collaboratore anche dell'Opinione delle Libertà.
Di Aldo non condivido proprio tutte le idee e scelte e spesso mi permetto simpatici commenti "bacchettanti" sul suo blog www.aldotorchiaro.ilcannocchiale.it. Purtuttavia è impossibile non affermare che egli, di volta in volta, sappia fotografare l'attuale situazione politica del nostro povero Beplaese.
Aldo recentemente scrive:

"I partiti stanno cambiando, eccome. Nati per rappresentare gli interessi economici di classi sociali contrapposte (fino alle armi), oggi sono tutt'altro: organizzazioni che fanno lobbying quasi senza più alcun riferimento ideologico, purtroppo o per fortuna.
Qualcuno, in casa radicale, definisce la "partitocrazia" un "crimine di regime". Chi come me ama Bobbio, ricorda con nostalgia una sua definizione: partiti come colonne della democrazia. Talvolta di plastica, troppo spesso senza democrazia interna, artificiosi, fusi a freddo, nati dalle provette di laboratori statistici e di marketing elettorale. Nati per veicolare interessi. Proteggere caste. Modificare leggi pro domo propria. Tutto vero, sì.
Ma insostituibilmente.

Personalmente vorrei credere nei partiti.
E personalmente credo solo ed esclusivamente ai partiti storici.
Non ho mai accettato l'iscrizione a partiti di plastica, specie se "di massa" (e quindi di classe, direbbe Pannella dal quale pur mi sento distante da alcuni anni. Di sub-classe, di sub-cultura, direi io).
La parola partitocrazia non mi piace, non mi è mai piaciuta.
Mi fa orrore pensare che i partiti possano diventare strumenti sopra alle nostre umili testoline.
Mi fa adontare, invece, pensare che dietro a taluni o a molti di codesti partiti, vi siano omuncoli che "muovano i fili". Fili che reggono gli omuncoli stessi e dietro ai quali ci sono le vere lobby. Meglio se economico-finanziarie. Megio se sindacatocratiche. Meglio se giustizialiste a senso unico, perché no ?
Dopo il '92 l'Italia è morta. Parliamoci chiaramente.
Parliamo tanto, ma non ci accorgiamo di essere fantasmi: i fantasmi di noi stessi. Fantasmi che hanno creduto o credono ancora al liberalismo, al repubblicanesimo, al socialismo....
Ma chi ce lo fa fare, oggi ?
Spazziamo via QUESTA classe dirigente. Andreotti era un Divo veramente, rispetto a questi qui.
Destra, sinistra. Che grandi idiozie.
Oggi quelli come me sono costretti a votare per il Berlusca, ma solo perché dall'altra parte è molto peggio. E' una frase che ho da poco letto sul blog dell'amico Mauro Suttora e la condivido in toto.
E ciò purtuttavia mi deprime ancora. E mi lascia con l'amaro in bocca, anziché con il sapore di Stock 84 di quella Milano che, sarà stata da bere, ma contava ancora qualche cosa. Così come l'Italia intera.

Luca Bagatin
www.lucabagatin.ilcannocchiale.it