giovedì 13 dicembre 2007

Il Rinascimento e la crisi militare italiana

Piero Pieri è stato probabilmente il maggiore degli storici militari italiani. Nella sua numerosa produzione egli è stato capace di coniugare l’analisi propriamente militare al contesto storico complessivo, essendo ben consapevole dell’interdipendenza reciproca fra ciò che i sociologi definiscono “sistemi”, come ad esempio quello politico, ma anche economico, socio-culturale ed appunto militare.
Una delle opere più importanti di Pieri s’intitola Il Rinascimento e la crisi militare italiana, la cui prima edizione risale al 1952 (Einaudi, Torino). In essa, il suddetto studioso cerca di rispondere ad un interrogativo di grande rilievo, ovvero come sia possibile conciliare l’assoluta supremazia europea, anzi europea e mediterranea, dell’Italia nel periodo rinascimentale dal punto di vista economico e culturale da una parte, ed il suo rapido cadere, al principio del secolo XVI, in condizioni di subalternità politica in seguito a ripetute invasioni straniere ed alla definitiva conquista spagnola del regno di Napoli e del ducato di Milano.
La risposta comune a tale quesito consisteva nell’ipotizzare una presunta insufficienza militare italiana, per cui gli eserciti italiani si sarebbero rivelati inferiori a quelli stranieri. Pieri, lucidamente, spiega come tale teoria cada in contraddizione con uno dei principi basilari della ricerca storiografica applicata alla sfera bellica, ovvero alla correlazione inevitabile fra il “sistema militare” e gli altri. E’ utile riportare alcuni passi della prefazione scritta da Pieri stesso:
"La splendida fioritura economica e spirituale dell'Italia nel basso Medioevo e nel Rinascimento termina, o meglio, s'interrompe bruscamente con un grande tracollo che lascia il nostro paese in gran parte in mano allo straniero; ed è come il preludio d'un ormai in frenabile declino in ogni altro campo. Come si spiega la con­traddizione intima fra tanta attività, genialità, ricchezza e la serie dei rovesci che porta alla perdita dell'indipendenza Quale tarlo ascoso rode al profondo tutta la struttura della vita italiana? Siamo di fronte a uno di quei grandi problemi che ogni genera­zione è solita porsi e spera di risolvere o alla luce d'una nuova serie d'indagini e studi o con una sua diversa intelligenza storica ed esperienza politica. Certo, il fatto piú appariscente sembra l'in­feriorità militare degl'Italiani, che si manifesta dalla calata di Carlo VIII in poi, attraverso una serie di dolorosi rovesci. Ma è vano voler vedere solo il fatto militare, perché la guerra non è che la manifestazione, costi come la politica e l'economia, d'un piú vasto e complesso fenomeno; e in ogni caso la guerra non può esser con­siderata a sé, ma nei suoi rapporti con le altre attività pratiche dello spirito: da esse influenzata, le modifica a sua volta, contri­buendo all'evolversi della civiltà e alla trasformazione di tutto l'assetto economico, politico e sociale." (P. Pieri, Il Rinascimento e la crisi militare italiana, Torino 1952, p. 13]
Perciò, egli ha deciso anzitutto di considerare l’economia, la finanza, la struttura sociale e l’apparato politico-giuridico dei diversi stati italiani, per poi procedere ad esaminare anche i loro eserciti ed, infine, le guerre combattute all’epoca. Questo grande storico può quindi aggiungere:
"Ora veramente mi parve di scorgere i primi elementi d'una razionale spiegazione del complesso problema; e ora soltanto presi ad esaminare il fenomeno militare, vale a dire una terza forma d'attività pratica dello spirito, ma piú strettamente legata a quella politica; e vidi cose assai diverse da quelle narrate usualmente, e mi apparve una fioritura per nulla minore di quella che avevo ammirato negli altri campi; ma anche qui inficiata da un'intrinseca debolezza politica che ne sminuiva non poco il rendi­mento complessivo: l'organizzazione militare trovava le sue radici nel campo politico, e la politica piú che mai stabiliva le premesse dello strumento guerresco e ne condizionava l'impiego, giusta i pre­cetti del Clausewitz: la guerra è la politica continuata con altri mezzi; se la guerra è mal condotta, vuol dire che la politica è manchevole.In questo modo la crisi militare italiana mi si presentava in ben altra guisa, come chiusa di un dramma politico; e d'assai piú alto interesse quindi." (Pieri, Il Rinascimento, cit., p. 15)
Infatti, egli ha buon gioco a provare come i diversi stati della penisola disponessero d’apparati bellici certo non inferiori a quelli degli altri paesi d’Europa. Confrontando le armate italiane rispetto a quelle d’Oltralpe, Pieri può dimostrare come la loro cavalleria leggera fosse in assoluto la migliore, quella pesante superata solo dalla francese, l’artiglieria tecnicamente pari a quella di Francia, ovvero migliore a tutte le rimanenti, l’ingegneria bellica senz’altro da preferirsi ad ogni altra, la fanteria leggera d’altissima qualità. L’unico difetto, seppur grave, era dato da una fanteria pesante di valore diseguale, in cui convivevano reparti eccellenti con altri mediocri o persino pessimi. Si può però ancora aggiungere come i comandanti italiani fossero nel complesso ottimi, tanto che la strategia e la tattica dell’epoca furono in buona misura elaborate proprio da loro. Non si devono neppure trascurare due altri fattori di considerevole importanza, quale la piena supremazia navale e la disponibilità di ben maggiori risorse finanziarie rispetto a quelle di qualsivoglia altro stato europeo.
Pertanto, spiega Pieri, la debolezza italiana non era strettamente militare, bensì squisitamente politica. L’Italia, nonostante i suoi primati nell’arte e nella letteratura, nella scienza e nell’economia, era divisa in numerosissimi stati e staterelli, in feroce rivalità reciproca. Inoltre, i diversi principati italiani erano ulteriormente frammentati al loro interno da contrasti fra contado e città, tra città subalterne e città dominante, ed ancora dalle rivalità di diverse fazioni dell’aristocrazia. In breve, gli italiani, dinanzi alle invasioni nemiche, furono sempre divisi fra loro, divenendo così facile preda della Francia e della Spagna, paesi sotto molti aspetti inferiori all’Italia, certamente non superiori dal punto di vista militare, ma provvisti d’una organizzazione politica unitaria e d’una forte coesione nazionale.
Accadde così che tutte le conquiste straniere, ovvero quasi tutte le battaglie che si tradussero in sconfitte italiane, videro il contributo decisivo di stati italiani, che preferirono allearsi all’invasore anziché ai propri connazionali. Non si deve neppure dimenticare come l’oro italiano servisse a finanziare gli eserciti stranieri, mentre l’abilità diplomatica dei governi della penisola contribuiva ulteriormente ai successi francesi e spagnoli. Gli anni compresi fra il 1494, anno della calata di Carlo VIII, ed il 1530, quando la caduta di Firenze suggellò definitivamente l’egemonia iberica in Italia, assistettero allo spettacolo d’italiani divisi fra loro, in guerra gli uni contro gli altri, la qual cosa rappresentò senz’altro la causa prima e fondamentale dell’asservimento agli stranieri.
Il nostro storico può così scrivere nella conclusione del suo grande lavoro:
"In realtà, la crisi militare italiana del Rinascimento non era il risultato di una pervertita consuetudine guerresca, ma bensì un aspetto, notevole e interessante al massimo grado, della più generale e profonda crisi costituzionale dell’intera penisola, la quale doveva dolorosamente risolversi nella più vasta crisi della libertà italiana." (Pieri, Il Rinascimento, cit., p. 615)
L’opera di Pieri, che oltre che un grande storico, è stato anche un grande patriota,[1] si traduce non soltanto in un insegnamento storiografico d’alto livello, ma pure etico e politico. Non interviene così né una scissura rigida ed arbitraria tra l’analisi scientifica e l’ammaestramento politico, né, peggio ancora, una riduzione della storia ad ancella dell’ideologia, bensì s’attua un’armoniosa fusione delle due componenti, come accade nei migliori fra gli storici antichi, da Tucidide a Polibio, da Livio a Tacito.
Piero Pieri è così stato in grado, scrivendo Il Rinascimento e la crisi militare italiana, provare come la conquista d’Italia da parte degli stranieri non sia stata dovuta ad una presunta natura imbelle e vile degli italiani, i quali erano anzi all’epoca fra i migliori combattenti d’Europa, bensì alla loro cronica mancanza di senso nazionale. Proprio ciò condusse alla lunga fase della supremazia spagnola in Italia, causa non ultima d’un secolare declino.
[1] Egli aveva partecipato come volontario alla Grande Guerra, venendo decorato con medaglia d’argento per il suo valore, e, si può dire per l’intera sua attività di studioso, ha sempre cercato di conciliare le esigenze della ricerca con quelle del patriottismo

Marco De Turris

2 commenti:

ambra ha detto...

Caro Marco Giulio finalmente è arrivato.
Benvenuto ! Ambra

Marco De Turris ha detto...

Cara Ambra Rosa,
La ringrazio del Suo benvenuto. Spero di non averla annoiata eccessivamente con il mio deprecabile "lenzuolo".
Arrivederci a presto
Marco Giulio