![]() |
Sono 2.795 militari italiani in Afghanistan, tra Kabul ed Herat |
I parà nei fortini :"I viveri arrivano in elicottero
Alla base di Bala Murghab troppo rischiosi i rifornimenti via terra
FRANCESCO GRIGNETTI
ROMA
Otto luglio, appena una settimana fa. La valle di Bala Murghab, estremo Ovest dell’Afghanistan, è sorvolata da un aereo militare a elica, un C130J color grigioverde. Dal portellone posteriore vengono lanciati alcuni grossi pacchi. Si aprono i paracadute e gli imballi scendono a terra lentamente. Sono in tutto cinque tonnellate di materiali: cibo, acqua potabile, munizioni, pezzi di ricambio. A terra, ad attendere i rifornimenti, c’è una squadra di paracadutisti della Folgore armati fino ai denti. Sono i difensori del fortino di Bala Murghab che il comando preferisce rifornire dal cielo piuttosto che via terra. E comunque è un’operazione sempre a rischio, l’aviolancio. Non solo di agguati, ma anche di incidenti. Il 31 agosto scorso, nel corso di un lancio simile, due bersaglieri sono rimasti contusi da un fusto di carburante che il vento gli ha sbattuto contro.
Nei manuali militari dell’Alleanza atlantica, questo e altri fortini vengono chiamati «Fob», Forward Operational Base, Basi operative avanzate. Sono una sorta di Fort Apache che i nostri soldati allestiscono a 200 o 300 chilometri dalla città afghana di Herat dove si trova il comando e dove è acquartierato il grosso delle truppe. Chi è destinato a proteggere una «Fob» deve mettere in conto un brutto periodo in territorio ostile.
Certo a Bala Murghab non si guarda alle ore di straordinario. Piuttosto ci si protegge le spalle. E infatti i fortini sono straordinariamente muniti, con difese attive e passive, piccoli bunker, autoblindo, nidi di mitragliatrice e sacchi di sabbia. È la nuova filosofia della Nato: bisogna allargare il raggio di azione dei soldati occidentali e quindi aprire costantemente nuove basi avanzate secondo un cronoprogramma deciso tra i comandi supremi di Kabul e Bruxelles. Oltretutto ciò incoraggia le forze governative che vedono affacciarsi soldati alleati anche là dove non s’erano mai visti prima.
Ed ecco i risultati: il 9 febbraio, a Bala Murghab una compagnia di alpini guastatori della Brigata Julia inaugura la nuova base battezzata «Tobruk». Il 4 giugno, ampio rastrellamento nella valle a caccia di «insurgents». Venti giorni dopo, di nuovo soldati afghani e italiani ingaggiano battaglia: un parà rimane ferito, un soldato afghano morto, quatro autoblindo «Lince» lievemente danneggiate, devono intervenire due elicotteri da combattimento per risolvere la situazione. Ordinari bollettini di guerra.
Rifornire i fortini, però, sparpagliati in un territorio montagnoso e senza strade come l’Afghanistan è un incubo. E va fatto di continuo perché bisogna portare di tutto ai soldati e non è il caso di andare in paese a fare la spesa. Inviare da quelle parti convogli di camion, inoltre, non è pensabile: «Sarebbero un bersaglio troppo facile», dice un ufficiale di stanza a Herat. Si consideri che per attraversare i duecento chilometri che separano Bala Murghab dal capoluogo servirebbero molte ore. «Qui non c’è mica l’autostrada». E dunque si utilizzano quasi quotidianamente elicotteri o aerei. «In genere ci si appoggiava agli americani; l’8 luglio è stata la prima volta che gli italiani hanno fatto tutto da soli».
Otto luglio, appena una settimana fa. La valle di Bala Murghab, estremo Ovest dell’Afghanistan, è sorvolata da un aereo militare a elica, un C130J color grigioverde. Dal portellone posteriore vengono lanciati alcuni grossi pacchi. Si aprono i paracadute e gli imballi scendono a terra lentamente. Sono in tutto cinque tonnellate di materiali: cibo, acqua potabile, munizioni, pezzi di ricambio. A terra, ad attendere i rifornimenti, c’è una squadra di paracadutisti della Folgore armati fino ai denti. Sono i difensori del fortino di Bala Murghab che il comando preferisce rifornire dal cielo piuttosto che via terra. E comunque è un’operazione sempre a rischio, l’aviolancio. Non solo di agguati, ma anche di incidenti. Il 31 agosto scorso, nel corso di un lancio simile, due bersaglieri sono rimasti contusi da un fusto di carburante che il vento gli ha sbattuto contro.
Nei manuali militari dell’Alleanza atlantica, questo e altri fortini vengono chiamati «Fob», Forward Operational Base, Basi operative avanzate. Sono una sorta di Fort Apache che i nostri soldati allestiscono a 200 o 300 chilometri dalla città afghana di Herat dove si trova il comando e dove è acquartierato il grosso delle truppe. Chi è destinato a proteggere una «Fob» deve mettere in conto un brutto periodo in territorio ostile.
Certo a Bala Murghab non si guarda alle ore di straordinario. Piuttosto ci si protegge le spalle. E infatti i fortini sono straordinariamente muniti, con difese attive e passive, piccoli bunker, autoblindo, nidi di mitragliatrice e sacchi di sabbia. È la nuova filosofia della Nato: bisogna allargare il raggio di azione dei soldati occidentali e quindi aprire costantemente nuove basi avanzate secondo un cronoprogramma deciso tra i comandi supremi di Kabul e Bruxelles. Oltretutto ciò incoraggia le forze governative che vedono affacciarsi soldati alleati anche là dove non s’erano mai visti prima.
Ed ecco i risultati: il 9 febbraio, a Bala Murghab una compagnia di alpini guastatori della Brigata Julia inaugura la nuova base battezzata «Tobruk». Il 4 giugno, ampio rastrellamento nella valle a caccia di «insurgents». Venti giorni dopo, di nuovo soldati afghani e italiani ingaggiano battaglia: un parà rimane ferito, un soldato afghano morto, quatro autoblindo «Lince» lievemente danneggiate, devono intervenire due elicotteri da combattimento per risolvere la situazione. Ordinari bollettini di guerra.
Rifornire i fortini, però, sparpagliati in un territorio montagnoso e senza strade come l’Afghanistan è un incubo. E va fatto di continuo perché bisogna portare di tutto ai soldati e non è il caso di andare in paese a fare la spesa. Inviare da quelle parti convogli di camion, inoltre, non è pensabile: «Sarebbero un bersaglio troppo facile», dice un ufficiale di stanza a Herat. Si consideri che per attraversare i duecento chilometri che separano Bala Murghab dal capoluogo servirebbero molte ore. «Qui non c’è mica l’autostrada». E dunque si utilizzano quasi quotidianamente elicotteri o aerei. «In genere ci si appoggiava agli americani; l’8 luglio è stata la prima volta che gli italiani hanno fatto tutto da soli».
Nessun commento:
Posta un commento