venerdì 17 luglio 2009

In Afghanistan aumentano i rischi, ma la strategia è quella giusta (click)

di Matteo Gualdi
gualdi@ragionpolitica.it
giovedì 16 luglio 2009

La morte del caporal maggiore Di Lisio riporta al centro dell'attenzione il conflitto in Afghanistan, dove, a distanza di otto anni dall'inizio delle operazioni Enduring Freedom ed ISAF, la situazione è ancora fluida. Le forze occidentali ed il governo di Kabul, pur avendo avviato la democratizzazione e la ricostruzione del paese, non hanno ancora il pieno controllo del territorio e, soprattutto, non sono riusciti a conquistare i cuori e le menti di molti cittadini afghani. Un obiettivo per alcuni irrealizzabile, ma che, secondo i vertici militari statunitensi, può invece essere raggiunto aumentando gli uomini sul terreno, allo scopo di ridurre la distanza tra popolazione civile e militari e, di conseguenza, far crescere la fiducia e la sicurezza (è questo l'obiettivo dell'operazione «Colpo di Spada» avviata i primi giorni di luglio). Ma questa strategia implica inevitabilmente un aumento dei rischi per le truppe occidentali, specie per gli uomini impegnati nelle attività quotidiane di pattuglia. Più truppe uguale più bersagli per i Talebani, come sanno bene il generale Petraeus, che dirige il Comando Centrale statunitense (CENTCOM), ed il generale McCrystal, comandante delle truppe alleate in Afghanistan. Un rischio necessario, che bisogna correre, se si vuole provare davvero a vincere questa guerra.

Inoltre l'aumento degli uomini diventa ancora più importante man mano che si avvicinano le elezioni presidenziali e provinciali previste per il 20 agosto (e come sempre l'Italia farà la sua parte, portando a 3.000 il numero totale complessivo dei propri militari). La stabilizzazione del paese, infatti, passa anche attraverso il rafforzamento delle istituzioni democratiche e la dimostrazione alla popolazione che la democrazia funziona ma che ognuno deve fare la propria parte, anche semplicemente scegliendo i propri governanti. Ovviamente, se questo appuntamento è molto importante per l'Occidente, altrettanto lo è per i Talebani, che però operano con l'obiettivo opposto: boicottare le elezioni ed evitare che la gente si rechi ai seggi, per dimostrare la fragilità e la debolezza della democrazia e per evitare di perdere potere, visto che finora le elezioni hanno sempre premiato le forze ostili agli insorgenti, erodendone i consensi. Per questo gli attacchi aumenteranno inevitabilmente, e per questo dobbiamo prepararci ad un possibile aumento delle vittime. Ma non ci sono alternative a questa strategia. L'idea che attraverso gli attacchi aerei si possano ottenere successi duraturi si è scontrata contro la dura realtà delle vittime civili, che hanno alienato agli alleati le simpatie di parte della popolazione.

Ma affinché questa nuova strategia abbia successo non basta l'aumento dei soldati americani, occorre un altro tassello fondamentale: la partecipazione concreta degli afghani. I civili, certo, ma anche e soprattutto le forze armate, la polizia, la giustizia, in una parola lo Stato. Anche su questo versante il nostro paese è impegnato direttamente: basti pensare all'unità dell'Arma dei Carabinieri, la Carabinieri Training Unit Afghanistan (CTU-A), composta al momento da 34 unità e operante nella base USA di Adraskan (provincia di Herat) per l'addestramento dell'Afghan National Civil Order Police (ANCOP), od alla Task Force «Grifo», composta di 13 unità della Guardia di Finanza, che svolge ad Herat attività di addestramento a favore della Polizia di frontiera (Afghan Border Police ABP) nonché di funzionari delle dogane. Nonostante l'eccellente lavoro svolto finora, molto ancora ne deve essere fatto, come sanno bene i vertici militari alleati: non a caso l'aumento degli istruttori dell'Arma è stata una delle richieste che il presidente Berlusconi ha avuto da Obama durante il suo recente viaggio a Washington. Ci sono segnali importanti che inducono a guardare al futuro con speranza, la strategia è quella giusta, ma occorrerà perseguirla con grande determinazione se vogliamo davvero vincere la guerra centrale contro il terrorismo.

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