
03 Giugno 2008
La cultura del ministro
Niente guerre per il potere intellettuale e niente spoils system del pensiero. Parla Sandro Bondi
di Luigi Amicone
È un ritornello che si sente ripetere spesso, quello secondo cui il centrodestra, e comunque quell’ampia maggioranza di popolo non afferente alla sinistra, non politicamente corretto, non sia attrezzato sul piano culturale. Sfatare questo luogo comune è sicuramente uno degli obiettivi che si è posto il neo ministro per i Beni e le Attività culturali del quarto governo Berlusconi, Sandro Bondi. Che dice a Tempi di non avere alcuna intenzione di scatenare una guerra alla cosidetta egemonia culturale della sinistra. «I più grandi scrittori, poeti, filosofi, storici del Novecento non hanno militato a sinistra. Qualche anno fa, era stato costretto ad ammetterlo anche un critico di vaglia e non certo di destra come Giovanni Raboni. Il problema semmai è che gli intellettuali liberali sono individualisti per natura e non amano il gioco di squadra, tanto meno mettersi al servizio della politica, mentre a sinistra è tipica la figura dell’intellettuale organico, engagé, spesso sottomesso all’ideologia. Oggi, finite le ideologie, mi sembra residuale anche questa forma di asservimento. Vero però che la classe dirigente del centrodestra, in passato, è stata poco attenta alla politica culturale, ma anche questa mancanza mi sembra ormai colmata.
Lei ha già ha speso parole generose per Nanni Moretti e Umberto Eco, per esempio. Oltre all’ecumenismo proverà a promuovere voci, personalità, espressioni culturali radicalmente diverse rispetto all’egemonia di matrice gramsciana che imperversano in questo paese praticamente dall’immediato secondo dopoguerra?
Nonostante le apparenze, non ho mai fatto sfoggio di ecumenismo fine a se stesso. Piuttosto credo sia giusto riconoscere le grandi intellettualità, come nel caso di Eco, ma vorrei anche che nessuno si scandalizzasse quando vengono chiamati ai livelli più alti intellettuali di centrodestra. Diversa è la questione politica: nel Dopoguerra siamo stati sottoposti ai rigori e alle falsità di un’egemonia culturale che ha provocato numerosi danni, a partire da una lettura distorta della recente storia patria a sua volta foriera di lacerazioni e conflitti. Detto questo, sarebbe assurdo pensare di proporre una nuova egemonia di segno diverso ma sempre finalizzata al potere. Meglio sarebbe aumentare il grado complessivo di libertà di un sistema abituato da sempre a foraggiarsi alle greppie dello Stato. E per far ciò, come lei suggerisce, è necessario promuovere nuove espressioni e puntare su un ricambio generazionale, nonché permettere ai privati di cofinanziare il mondo della cultura. In ogni caso, vorrei che il motto “suave in modo, fortiter in re” ispirasse il mio mandato, cioè dolce nel modo, più forte nella sostanza.
Arrivando al ministero dei Beni culturali immagino che avrà ereditato una serie di dossier. Cosa ritiene utile conservare come lascito dal ministro precedente e cosa invece intende cambiare?
Per ora è difficile dare una risposta. Una cosa è certa, la linea tracciata da Giuliano Urbani con il Codice dei beni culturali e del paesaggio è stata seguita da Rocco Buttiglione e poi da Francesco Rutelli, e non è mia intenzione distaccarmi. Il codice è un ottimo strumento per promuovere la conservazione del nostro immenso patrimonio artistico che è anche una delle priorità del nostro programma.
Alla vigilia delle elezioni Marcello Dell’Utri sollevò la questione della storia e della storia della cultura insegnata attraverso i libri di testo. Mi pare che auspicò un’ampia iniziativa di ammodernamento e revisione, per esempio dei testi storici scolastici. La ritiene auspicabile? E che ruolo può avere un ministro in questo ambito?
Credo che la questione sia di competenza del ministro dell’Istruzione. Ciò nonostante, posso dire che la provocazione avanzata dal senatore Marcello Dell’Utri – che giustamente il professor Massimo Cacciari considera «la vera testa pensante del centrodestra italiano» – non presuppone nessun tipo di revanscismo politico. Al contrario contiene l’idea che la storia sia “semper reformanda”. Ovvio che il revisionismo debba mirare alla verità e non a una semplice riscrittura ideologica. Prendiamo per esempio Giampaolo Pansa: sbagliano quelli che a sinistra lo hanno criticato come traditore della causa, oppure lo hanno bollato come revisionista, cercando di applicare con lui lo stesso meccanismo con il quale si tentò di svilire il lavoro storiografico di Renzo De Felice. Pansa va elogiato perché ha messo in luce la verità dei fatti. E non importa se questa verità squaderna la mitologia resistenziale sulla quale i comunisti cercarono di fondare la Prima Repubblica. Meglio una verità difficile da metabolizzare che una menzogna accettata per comodità.
Per quanto riguarda turismo e sport, su quali linee eserciterà il suo mandato? Ha un’agenda di priorità?
Le deleghe del turismo sono di competenza del sottosegretario Michela Vittoria Brambilla. Ma è chiaro che dovremo lavorare in sinergia. Il nostro paese attrae turisti soprattutto in ragione del suo vasto patrimonio culturale e ambientale. Diventa dunque strategico preservare i beni architettonici e il paesaggio che è frutto di una secolare stratificazione culturale, ma anche rendere fruttuosa in termini di immagine e di attrattività questa immensa ricchezza, migliorando la gestione dei musei, inventando nuove manifestazioni con valenza internazionale, esaltando anche le numerose piccole realtà, paesi, borghi che i turisti stranieri e spesso anche gli italiani non conoscono. Più in generale, i settori in cui l’Italia eccelle (moda, design, creatività…) sono strettamente legati alla bellezza del nostro territorio, bellezza che fornisce il modello o i modelli a cui ispirarsi. Non dimentichiamo che dal Rinascimento gli stranieri concedono all’Italia il primato del bien vivre, ed è quindi logico che dobbiamo in tutti i modi fortificare questo pregiudizio positivo. In questi ultimi anni il comparto del turismo ha retto la concorrenza sempre più agguerrita dei nostri competitori, sebbene sia cresciuto meno di quanto avrebbe potuto. È giunto il momento di invertire il segno, riconquistando la posizione di leader del turismo di qualità e d’arte.
Cinema. Si è molto parlato (anche il nostro giornale ne ha fatto oggetto di inchiesta) dello scandalo dei contributi pubblici al cosiddetto cinema di interesse culturale, che però in molti casi si è rivelato uno strumento puramente assistenzialistico, per non dire una distrazione di fondi dalle casse dello Stato. Non sarebbe ora di chiudere il rubinetto dei finanziamenti pubblici a questo cinema che di italiano ha solo i vizi e ben poche virtù culturali?
Se non ci fosse un sostegno pubblico, non esisterebbe più da tempo cinema di qualità italiano. E in considerazione del nostro glorioso passato, quando i maestri italiani insegnavano il cinema al mondo, mi sembra giusto continuare a sovvenzionare il settore, seguendo anche le prescrizioni dell’Europa che ammette gli aiuti di Stato al cinema come una deroga giusta e necessaria. Certo, sovvenzionare non significa sprecare soldi per pellicole che nessuno mai vedrà. Credo che lo Stato debba sempre intervenire in via sussidiaria, finanziando i privati, ma mai sostituendosi ad essi. Per questo motivo, sono convinto che basterebbero pochi cambiamenti: per esempio indurre le case di produzione a lavorare più intensamente nella fase progettuale e di scrittura, creando già dall’inizio tutte quelle sinergie che poi renderanno possibile ed efficace la distribuzione in sala. Aumentare i fondi a disposizione in questa fase di pre-produzione costerebbe meno allo Stato e sarebbe più utile per i privati che hanno investito. Alla fine della procedura i film che meritano il sostegno avranno maggiori possibilità di ottenere anche un successo di pubblico. Inoltre sono già al vaglio della Commissione europea strumenti di tax credit e tax shelter, cioè di detassazione degli investimenti, con i quali cercheremo di incoraggiare l’ingresso di aziende e di capitali privati anche non direttamente coinvolti nel mondo del cinema.
La mostra del cinema di Venezia è finanziata con fondi pubblici. Tutti ricordano che il sindaco Massimo Cacciari polemizzò duramente con la Festa del cinema di Walter Veltroni e chiese che nemmeno un euro venisse trasferito da Venezia a Roma. Come si orienterà lei in questa disfida?
La Festa del cinema di Roma ha avuto un indubbio successo ed è stata il frutto di una giusta intuizione. Credo che tutte le cose debbano essere riprese e non abbandonate. L’ultima decisione, comunque, spetta al sindaco Gianni Alemanno. Mi sembra però che, affrontando il problema della data di svolgimento del Festival e risolvendo la questione di quale debba essere la caratteristica principale della manifestazione (se concorso o semplice rassegna o festa, e Roma come mercato cinematografico), i due festival possono coesistere. Venezia ha una tradizione che non può essere messa in discussione e un fascino ineguagliabile, ed è giusto che mantenga il suo primato, ma Roma per l’appunto può acquistare uno spazio importante per il cinema italiano.
A quanto pare i festival dell’Unità andranno in pensione. Le mancheranno?
Assolutamente no, ma non posso dimenticare che l’impegno di quei militanti che sacrificavano anche le ferie per l’attaccamento agli ideali in cui credevano resta un valore che anche oggi i partiti, se vogliono essere radicati e ancorati al popolo, devono sapere suscitare.
1 commento:
Le parole del ministro della Cultura sono di per sè sacrosante: la cultura (vera) e la politica, l'ideologia, le faziosità, le preferenze personali ecc. DEVONO essere mantenute distinte.
Però, Bondi dimentica come questo, qui in Italia, questo non avvenga, poiché esiste un'egemonia gramsciana sulla cultura da parte della sinistra. Compito non ultimo di questo governo dovrebbe pertanto essere non quello di cercare d'imporre la propria supremazia ideologica, sostituendola ad un'altra, bensì quello di porre termine ad una ingiusta posizione di predominio politico, esercitato con strumenti di tipo para-mafioso nelle varie università italiane, nelle case editrici, nelle testate giornalistiche ecc.
Molto, molto spesso non si valutano le doti di chi intende accedervi, ma la loro collocazione ideologica, ciò che è ingiusto nei confronti dei singoli, dannoso per la collettività nel suo complesso.
Posta un commento