'Sentenze basate solo sulle calunnie' Gli ex della Mobile difendono
Contrada
Repubblica - 31 maggio 2008 pagina 10 sezione: PALERMO
Si ricorda Giorgio Boris Giuliano nell' aula magna del rettorato,
allo Steri. L' occasione è il libro del giornalista Daniele
Billitteri ("Boris Giuliano, la squadra dei giusti" - Aliberti
editore): è presente la famiglia del capo della squadra mobile
assassinato nel 1979, c' è il questore di Palermo Giuseppe Caruso, ci
sono soprattutto i poliziotti che componevano quella squadra mobile
che segnò un metodo di lavoro nella lotta alla mafia.
Il dibattito è un susseguirsi di emozioni e ricordi, del poliziotto e
dell'uomo Giorgio Boris Giuliano. Ma è l'ultimo intervento che
accende la polemica. «La squadra non è al completo - dice Francesco
La Licata, inviato del quotidiano "la Stampa", cronista nella Palermo
di Giuliano e degli altri martiri - Mancano delle persone che
avrebbero tutto il diritto di stare qui adesso. Quella squadra mobile
era fatta anche da Bruno Contrada e Ignazio D'Antone, che attualmente
si trovano in carcere». Dice La Licata: «Le sentenze vanno
rispettate, ma posso testimoniare che quella squadra fu davvero
straordinaria e creò la lotta alla mafia». Il dibattito si anima
immediatamente. Tonino De Luca, in pensione da una settimana,
arringa: «In quegli anni eravamo soli. I grandi assenti erano
piuttosto certi magistrati.
Abbiamo dovuto attendere Falcone e Chinnici perché la situazione
cambiasse».
De Luca torna ad essere severo nei confronti dei magistrati quando
accenna alle indagini sui colleghi: «Perché noi della squadra di
Giuliano non siamo stati sentiti durante le indagini ma solo nel
dibattimento? Avremmo scoperto qualcosa di più». Il tono di De Luca
si fa severo: «Si uccide anche con la calunnia. E Bruno Contrada è
stato ucciso». Interviene Enzo Speranza, questore di Bari, che
ricorda il titolo di un libro: «Noi, costretti a difenderci».
Rincara: «Ha vinto la cultura del sospetto generalizzato». Cita l'
avvocato Piero Milio, presente fra il pubblico: «Se non fosse stata
la verità, non avrebbe difeso Contrada». Un altro funzionario di
allora, Piero Moscarelli, oggi prefetto, dice: «Quella di Contrada è
una sentenza emessa non in nome nostro. Mi vergogno un po' di questa
barbarie giuridica. Boris sarebbe contento che noi mostrassimo un po'
di coraggio». Nel saluto finale,anche Billitteri «assolve» Contrada e
D' Antone. Applausi. Non arriva alcuna voce di dissenso. s. p.
(il Moscarelli indicato nell'articolo non è prefetto ma questore, si
chiama Paolo e non Piero) Da Megaride.
domenica 1 giugno 2008
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1 commento:
il link è di Repubblica edizione di Palermo
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2008/05/31/pa_027sentenze.html
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