domenica 22 giugno 2008

DEI SERVIZI SEGRETI - NICCOLO' POLLARI

L’ex capo del Sismi: ho difeso lo Stato, meriterei la medaglia non i processi

Di ricordi Nicolò Pollari, ex capo del Sismi, passato dall’altare per le liberazioni degli ostaggi in Iraq alla polvere delle inchieste giudiziarie, ne ha tanti. L’immagine dell’amministratore delegato di Al Jazeera che consegna il video della morte di Fabrizio Quattrocchi a Gianni Letta. La lettera scritta a Prodi in cui fa presente di comprendere i motivi che spingono il governo a mantenere il segreto di Stato su alcune vicende di questi anni avvertendolo che in questo modo però «l’immagine del Sismi ne verrà scalfita», alla risposta dell’allora premier dell’Unione: «Lei è un galantuomo». La domanda che gli pone a bruciapelo il senatore di Rifondazione Malabarba: «Ma perché Gianni De Gennaro ce l’ha con lei?». E la sua risposta: «Francamente non lo so». Tanti frammenti che gli tornano alla memoria in un momento in cui deve affrontare da solo un processo a Roma per peculato e uno a Milano per il rapimento di Abu Omar.

Che effetto le fa passare dagli encomi dei premier alle requisitorie dei pm?

«Come il soldato che va in guerra. Gli sparano addosso. Perde un braccio. E il comandante invece di dargli una medaglia, gli risponde: “Cavoli tuoi”. Abbandonandolo a se stesso».

L’ultima accusa è quella di aver dato assistenza ad alcuni incontri a Roma organizzati da Michael Ledeen, l’americano che ha tentato di destabilizzare il regime di Teheran.

«La solita visione deformata dei fatti. In breve: il governo mi chiese di mettere in sicurezza l’incontro tra questo personaggio che si autoaccreditava come espressione del governo di un Paese alleato, con altri personaggi. E di riferire».

Chi glielo chiese, l’allora ministro della Difesa Martino?

«Sì. Per cui noi garantimmo la sicurezza dell’incontro. Poi un nostro esperto, che vi partecipò, ci avvertì che gli argomenti trattati non avevano nulla a che vedere con il terrorismo».

In quelle riunioni si parlava di affari?

«Appunto. Per cui mi venne il dubbio che il governo alleato fosse all’oscuro di tutto. Riportai i miei dubbi a Palazzo Chigi fornendo prove documentali. Fu deciso di fare una verifica».

Con chi parlò dell’argomento?

«Anche con Berlusconi. Aspettammo invano da Ledeen la prova che la sua iniziativa avesse l’input di Washington. In assenza di segnali informai io stesso il governo alleato dell’intera vicenda. Loro non ne sapevano niente e cessò ogni rapporto con Ledeen».

Di riffa o di raffa c’è sempre il suo Sismi di mezzo...

«Questa storia fa il paio con la storia del Niger. Un’altra bufala. Ci sono inchieste nostre e dell’Fbi che lo dimostrano».

Mi può spiegare perché una gestione del Sismi che ha avuto elogi bipartisan in passato adesso è sul banco degli imputati?

«Non capisco il coinvolgimento del Sismi: l’estraneità del governo, del Sismi e mia è testimoniata da 84 documenti in ogni loro conformazione».

Che significa?

«I documenti sono pezzi di carta e altro. Dimostrano che mi sono sempre opposto a questo tipo di iniziative. Che quando ci sono state proposte operazioni simili io, anche con l’accordo del governo, ho detto no. Siamo intervenuti anche per impedire che queste cose avvenissero in altri ambiti nazionali. Fatti che sono a conoscenza di Berlusconi e coperti dal segreto di Stato».

Lei è sempre coperto dal segreto di Stato...

«Semmai ne sono vittima. Ho sempre chiesto di esserne affrancato, ma so di essere un funzionario. Ecco perché mi chiedo se debbo difendermi da solo o se, invece, non ci sia un dovere istituzionale da parte di altri? Ad esempio su questa storia dell’Iran devo dire io che le cose stanno in questi termini? O dovrebbe intervenire chi ha il diritto di esplicitarle?».

Così pressato lei potrebbe anche impazzire e parlare?

«Spero che la scelta di chi detiene queste responsabilità tenga conto anche dei requisiti soggettivi. Penso di non impazzire, però è pesante sopportare una cosa di questo genere in presenza di silenzi inspiegabili. Qui non si tratta di difendere la posizione di una persona, ma lo Stato».

E Berlusconi cosa le dice?

«E’ sensibile, però debbo difendermi. L’autorità giudiziaria mi ha chiesto di rivelare il segreto di Stato. Posso farlo senza che chi ne è titolare mi autorizzi? Perché i magistrati non chiedono a chi ne è titolare se quello che dico è vero o no?».

A Roma, però, lei ha anche l’accusa di peculato.

«Il dottor Pompa era un analista di fonti aperte. Grazie alle conoscenze nei media ha avuto un ruolo indiretto sui sequestri di persona o su altre circostanze che riguardavano la sicurezza del nostro Paese interagendo con grandi network medio-orientali. C’è chi ha stigmatizzato che siano state erogate delle somme al dottor Farina. E’ vero. Ma non sono state date a lui. Farina, sciente e cosciente il governo e ambiti investigativi importanti di altri settori dello Stato, si è prestato a favorire degli approcci in momenti drammatici. L’autorità giudiziaria ne è sempre stata informata. Ad esempio il filmato dell’omicidio di Quattrocchi si è ottenuto attraverso una procedura di cui i vertici del governo erano coscienti. Oneri compresi. E poi le due Simone... l’esigenza di ottenere la prova dell’esistenza in vita della Sgrena. Qualcuno ha detto che Farina lavorava per i servizi. Neanche per sogno. Il dottor Farina si è prestato per il governo ad avere rapporti con determinate controparti con cui noi non ci potevamo accreditare direttamente. Se questa accusa stesse in piedi dovremmo dedurre che per ottenere la prova in vita della Sgrena o il video di Quattrocchi abbiamo commesso peculato».

E i dossier su politici, magistrati...

«Ne ero all’oscuro. Un suo archivio personale. Lecitissimo. Non si viola nessun segreto assumendo del materiale da Internet».

Il risultato: lei è stato emarginato nel suo ruolo, mentre altri con cui ha avuto polemiche in passato sulla politica della sicurezza come De Gennaro hanno incarichi importanti.

«Io non sono un cacciatore di poltrone. Ritengo che la mia posizione sia ben nota al governo. Non la seguo però in questi ragionamenti. Io ho fatto il mio dovere. Lo sa chi ha interagito con me in alcuni momenti. Lo chieda ai giornalisti del Manifesto. Presumo che alla fine tutto questo sarà tenuto presente».

Anche dagli attuali inquilini di Palazzo Chigi con cui ha collaborato in passato. Il suo nome non era in ballo come consigliere per la sicurezza nazionale?

«Io ho lavorato con Berlusconi come con Prodi. Quando sono uscito dall’incarico era stato previsto qualcosa del genere. Suppongo che sia ancora un’ipotesi. Ho sempre svolto il mio lavoro in modo neutro dal punto di vista politico, ho pagato dei prezzi e non capisco il perché. Vede, anche un pubblico funzionario deve assumersi dei rischi. Però non è possibile che se va bene il merito è di tutti, ma se va male deve difendersi da solo».

http://www.lastampa.it/search/articolo.asp?IDarticolo=1814820&sezione=Interni

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