domenica 22 febbraio 2009

Foibe censurate

Foibe censurate
di Francesco Natale
natale@ragionpolitica.it
giovedì 19 febbraio 2009

Nonostante tutta la bella retorica che ci siamo sorbiti in questi anni sul superamento della censura tout-court dell'eccidio istriano dopo la salita al potere di Tito (al quale sono tuttoggi dedicate alcune vie nazionali...no comment), i «gendarmi della memoria» sono ancora in piena efficienza, pronti ad intervenire non appena qualche facinoroso decide di squarciare, magari con scorrettezza politica legittima e doverosa, il velo dell'oblio.
Questo il casus belli: il Campidoglio ha organizzato un viaggio dedicato alla civiltà istriano-dalmata e alla tragedia delle foibe. Ai ragazzi partecipanti è stato consegnato un opuscolo di 13 pagine (1945 nascita dello Stato comunista iugoslavo: la logica del terrore, di Paolo Albertini) che in quarta di copertina riproduceva la fotografia di un uomo legato ancora vivo col filo spinato ad una falce e martello. Una sorta di laica crocifissione marxista neanche troppo allegorica.
Apriti cielo: gli insegnanti hanno gridato allo scandalo, sostenendo che certamente non era sotto un'egida del genere che si poteva parlare di «dialogo» e «riconciliazione». Alemanno imbarazzatissimo si scusa e si affretta ad affermare che il libello sarà «ritirato, restituito e sostituito» con un altro, evidentemente più corretto e meno urticante. L'opuscolo è stato preso dal Centro Documentale per la foiba di Basovizza e Paolo Albertini è il presidente della Lega Nazionale di Trieste, una associazione di esuli, gente quindi che si suppone abbia avuto esperienza diretta o indiretta con i massacri perpetrati dai partigiani titini.
Non comprendiamo francamente lo scandalo dove stia. Se scandalo c'è stato e c'è, direi che riguarda la cultura della rimozione, che ha stralciato per motivi di opportunità politica le pagine della storia rossa «meno edificanti», per usare un eufemismo, cultura ancora presente nel nostro paese in molteplici e mutevoli forme. Oggi che determinate realtà storiche sono state faticosamente riesumate da pochi volenterosi l'intellighenzia non può più parlare di «calunnie propagandistiche» come per anni ha fatto riguardo al genocidio Cambogiano o alla Cina Maoista. Oggi è attraverso la melliflua e venefica argomentazione del «non recar turbativa ai discenti» che la censura ha ripreso ad operare: non potendo più negare l'evidenza storica di tante tragedie orribili, non resta che ricorrere alla cosmesi, imbellettare le tombe senza nome, effettuare mirate operazioni di chirurgia estetica per rendere politicamente più accettabile il volto della morte.
Siamo nuovamente di fronte alle «anime belle» che avrebbero voluto censurare «The Passion» di Gibson o «Il Mercante di Pietre» di Martinelli. Aveva veramente ragione Tolkien quando scriveva: «A chi guarda di sbieco il volto della verità compare come un ghigno malevolo...».

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