domenica 17 agosto 2008

LA MORTE ED IL SENSO DELLA VITA

Sarebbe impossibile, anche disponendo di tempo e spazio in abbondanza, pretendere di riassumere in qualche modo lo sterminato, quasi infinito campo della tanatologia, e delle riflessioni sulla morte sorte nelle teologie, soteriologie, filosofie, letterature ecc. d’ogni cultura e civiltà. Quanto segue vuole solo essere un’infima e brevissima considerazione su questo teologumeno così profondo ed importante, sperando di non suscitare il raccapriccio di chi leggerà.
Si è molto spesso supposto che la morte, anzi la riflessione sulla morte come prova inequivocabile della limitatezza e finitudine di tutto ciò che esiste, sia all’origine del pensiero religioso, sia storicamente, sia psicologicamente. In verità, le primissime certe tracce del “pensiero religioso” sono legate proprio alla morte, con la comparsa della sepoltura dei defunti, certamente all’interno di determinati rituali, che non è però possibile ricostuire a distanza di decine di migliaia di anni.
La meditazione sulla morte compare in tutte le maggiori forme del pensiero religioso, ed in innumerevoli filosofie, venendo sviluppata con una gamma impressionante di varianti, dagli antichissimi riti iniziatici delle civiltà pre-agricole (cerimonie di morte e risurrezione), all’idea di morte nello yoga, nelle varie dottrine del buddhismo, nei culti misterici greci, ecc.
Per rimanere al cristianesimo, la morte è un fenomeno che ha ricevuto differenti denominazioni, corrispettive ad una grande varietà di significati (morte evangelica, morte apostolica (cfr. 2 Cor 4,10-11)., morte misterica o sacramentale (cfr. Rm 6,4-11; 2 Tm 2,11), morte di martirio (cfr. Fil 3,10), morte angelica, morte filosofica, morte spirituale, morte al mondo, morte d'amore, ecc.). In particolare, la formula di morte filosofica è nota sin dall’Antichità in ambito pre-cristiano, intesa quale superamento dei limiti e dei condizionamenti dell’esistenza umana, ma è soprattutto all’interno della nuova fede che si dà un ampio sviluppo della nozione e del simbolismo della morte. Nell'esperienza cristiana la salvezza è vista come morte e risurrezione. L’uomo deve morire a se stesso con Cristo e rinascere con lui: "Chi non prende la sua croce e non mi segue, non e' degno di me. Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà". (Mt 10:38, 16:25-26; Mc 8:35-36; Lc 9:24, 17:33; Gv 12:25); "In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto." (Gv 12:24) Paolo enfatizza l'idea di morire con Cristo ed essere uno con lui nella risurrezione, ciò che equivale al passaggio dall’ “uomo vecchio” all’ “uomo nuovo”, descrivendo un percorso iniziatico dal carnale allo spirituale: "Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme con lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Se infatti siamo stati completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione." (Rm, 6:4-5); "Ma se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui". (Rm 6:8); "Non offrite le vostre membra come strumenti di ingiustizia al peccato, ma offrite voi stessi a Dio come vivi tornati dai morti e le vostre membra come strumenti di giustizia per Dio.". (Rm 6:13). "Infatti chi è morto, è ormai libero dal peccato." (Rm 6:7) Colpisce soprattutto però l’associazione che si viene a compiere fra la “morte” di sé (la fine dell’ “uomo vecchio”) e la nascita interiore di Cristo (la nascita dell’ “uomo nuovo”). La “morte mistica” costituisce un binomio con la “nascita mistica”, che sono due componenti inscindibile del processo di rigenerazione dell’uomo: è la morte "dell’uomo vecchio" (Col 3,9), secondo l’apostolo Paolo. È partecipare alla morte di Cristo, per mezzo del battesimo, morendo con lui per risorgere con lui. Continua Paolo: "Voi siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio" (Col 3,3). "Mortificate dunque quella parte di voi che appartiene alla terra" (Col 3,5). È la "potatura" divina, dolorosa, ma necessaria per portare più frutto (Gv 15,2). La morte dell’uomo vecchio è necessaria per far nascere "l’uomo nuovo", a immagine del Cristo risorto.
Come insegnava il sommo storico delle religioni Mircea Eliade nella sua imprescindibile monografia “La nascita mistica”, l’insegnamento paolino, centrale nella meditatio mortis cristiana, è tipologicamente identico all’immensa gamma di riti di morte e risurrezione, ovvero di cerimonie iniziatiche, diffuse universalmente. Nel caso specifico di Paolo di Tarso, la riflessione sulla “morte mistica” è certamente derivata dalle analoghe riflessioni presenti nei culti misterici greci, anziché dal giudaismo.
E’ possibile pensare d’abolire la morte, ovvero di sconfiggerla? La risposta, inequivocabilmente, è negativa. Il tempo necessariamente logora e distrugge ogni cosa, e l’universo stesso è destinato a scomparire, come insegna la seconda legge della termodinamica, detta dell’entropia. Da qui sono sorte, specialmente in letteratura, innumerevoli considerazioni pessimistiche e scorate sull’esistenza umana. Sempre per limitarsi alla civiltà europea, basti ricordare che già nel Tardo Medioevo, dopo la “Peste Nera”, si era diffuso un atteggiamento simile nei confronti della vita terrena, nonostante la fede religiosa fosse, da quasi l’intera collettività, accolta con convinzione e fermezza. La letteratura romantica, come ha mostrato Mario Praz nel suo bellissimo studio “La carne, la morte, il diavolo”, è ricolma di temi macabri e del senso angoscioso della fine di tutto ciò che esiste. Un grande poeta come il Leopardi ha potuto farsi cantore del “pessimismo cosmico”: la vita è sofferenza ed al termine esiste la morte. La filosofia esistenzialistica del Novecento ha riproposto analoghe speculazioni, su di un piano non più poetico ma appunto filosofico.Esiste quindi un modo di considerare la morte, a cui inevitabilmente lo scorrere del tempo conduce, quale una realtà meramente negativa, ma in realtà essa può essere valutata non in questa accezione, bensì quale superamento d’uno stato determinato e contingente, sia nella sua forma della “morte mistica” (centrale nella spiritualità di molti “mistici” cristiani, oltre che, ad esempio, in quella dell’induismo e del buddhismo), sia proprio nel suo aspetto più concreto ed apparentemente distruttivo. Lo scorrere del tempo ovvero la sua “freccia” unidirezionale, che trascina con sé nella propria fuga temporis ogni cosa, in una prospettiva religiosa o filosofica trascendente non appare più soltanto distruttivo, ma anzi salvifico, in quanto cammino di salvezza, in quanto finalisticamente orientato all’incontro con l’Assoluto, in qualsiasi modo venga definito. Ad esempio, Aristotele sosteneva che “è psuché estìn entelenchìan”, “l’anima umana è un’entelechìa”, ovvero è teleologicamente (dal greco telòs, fine) rivolta ad un fine. Similmente, il cristianesimo insegna che l’incontro con Cristo avverrà alla fine della propria vita (la “piccola escatologia”) ed al termine della storia dell’universo (la “grande escatologia”).

3 commenti:

ambra ha detto...

Marco mio, ho letto tutto con estrema attenzione, ma tornerò a farlo per capire ogni volta di più.
E' difficile il tema, non le tue parole, che sono anzi chiare e lineari.

Marco De Turris ha detto...

Cara Ambra,
il mio intervento di cui sopra è solo una nota a piè di pagina nell'argomento, il quale è di per sè realmente profondo se non incolmabile.
Pure, credo che, se affrontato nella giusta prospettiva,il tema della morte non sia angoscioso o macabro. Come diceva Seneca, "quotidie moriemur".
Un caro saluto
Marco

ambra ha detto...

Laudato si' mi Signore, per sora nostra Morte corporale,
da la quale nullu homo vivente pò skappare:
guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le Tue sanctissime voluntati,
ka la morte secunda no 'l farrà male.