EREDITA’ DI ROMA E CRISTIANESIMO
Premessa. Il cristianesimo ed il mondo antico
Mi scuso per l’estrema ingenuità e la grossolanità dell’intervento successivo, il quale pretende di riassumere in così poco spazio ed in forma tanto rozza una quantità di questioni storiche quanto mai complesse e delicate. Il sottoscritto non intende svolgere una teorizzazione teologica, bensì solo ed unicamente storica, tale da poter essere accolta quale razionalmente vera da chiunque, indipendentemente dai suoi convincimenti religiosi individuali.
Molto spesso si ritiene che il cattolicesismo e l’Ortodossia, ovvero il cristianesimo “latino” e quello “greco”, discendano unicamente da un’evoluzione del giudaismo del I secolo d.C. Ciò è assolutamente falso. Come recita un’antica massima, queste due forme di cristianesimo, fra loro assai simili, sono certamente figlie di Gerusalemme (il giudaismo), ma anche di Alessandria (la cultura greco-ellenistica d’impronta orientale, con la sua simbolica ed il suo pensiero “mistico”), Atene (il pensiero filosofico greco, che ha segnato in modo indelebile non solo l’intera elaborazione teologica cattolica ed ortodossa, ma i suoi medesimi principi ispiratori; la letteratura e l’arte greche) e Roma (il pensiero giuridico; il modello organizzativo ed amministrativo di tipo statale; la letteratura e l’arte romane).
La civiltà greca ha brillato specialmente nel sapere filosofico, nella spiritualità (la filosofia greca era, specie nel platonismo, assieme “filosofia” nell’accezione odierna e “mistica”), nell’arte e nella letteratura, mentre invece quella romana ha dato il meglio di sé nel pensiero politico, giuridico ed amministrativo. Ambedue queste grandi culture hanno lasciato tracce indelebili nel cristianesimo maggioritario, ovvero il cattolicesimo (la “chiesa latina”) e l’Ortodossia (la “chiesa greca”), ciascuna secondo le proprie caratteristiche salienti.
Questo è un dato di fatto storico, anzi, un’immensa congerie di dati laboriosamente raccolti, ma risulta altresì una eredità storica consapevolmente rivendicata dai teologi cattolici ed ortodossi stessi, sin dall’Antichità. Già il primo dei Padri della Chiesa, Giustino, teorizzava l’esistenza dei “semi del Verbo” (tà spermatà tou Logou), ovvero della partecipazione alla divina Rivelazione anche da parte dei Greci e dei Romani, i quali, senza saperlo, avrebbero preannunciato, esattamente come i Giudei, la venuta di Cristo. La cultura greca e romana non era per i teologi cristiani antichi, o meglio per il mainstream del cristianesimo antico, da considerarsi falsa, ma soltanto, come il giudaismo, incompleta ed imperfetta. Essa risultava finalisticamente e provvidenzialmente ordinata alla venuta del Salvatore, il cui insegnamento non negava la validità della grecità e della romanità, come non aboliva la “legge antica” giudaica, bensì soltanto li conduceva a compimento.
Il pensiero storicistico tipico del cristianesimo, il quale teorizza una Rivelazione progressiva nella storia e nel tempo, la quale trova infine il proprio compimento in Gesù, ma che viene interpretata ancora nel tempo anche dopo l’adventus Christi, consente proprio di porre ciò che è anteriore cronologicamente alla venuta del Salvatore, quindi non soltanto il giudaismo, ma anche le religioni del Vicino Oriente (“Alessandria”), l’Ellade (“Atene”) e la romanità (“Roma”) quali, seppure imperfette ed incomplete, manifestazioni del Verbo e della Provvidenza divine.[1]
Questa dottrina teologica permise al cristianesimo di farsi scientemente imitatore ed erede di Roma. A scanso d’equivoci, preciso che le “eredità” che saranno riferite non devono affatto essere interpretate quali semplici derivazioni, bensì considerate come “influssi” e “fusioni” di cultura romana e cristiana: ad esempio, l’istituzione episcopale trae la sua linfa dall’evoluzione autonoma dell’ecclesia, per poi incontrarsi con il modello politico romano.
La Chiesa e l’Impero
La struttura ecclesiastica, nella sua articolazione di patriarca-arcivescovo-vescovo-sacerdote, e nella sua categoria di territorialità è ripresa puntualmente dall’apparato statale ed amministrativo romano. A partire dal II secolo d.C., l’ordinamento ecclesiastico, incentrato sulla figura del vescovo, capo della comunità dei fedeli a cui spettava la nomina dei presbiteri, si era formato su quello pubblico, prendendone a modello l’organizzazione politico-amministrativa. Il sistema episcopale riproduceva in tal modo gli schemi propri dello stato romano, nel suo apparato centralizzato e gerarchico, fondato sulla territorialità del diritto. Dato che alle province in cui era suddiviso l’impero corrispondevano altrettante circoscrizioni ecclesiastiche, fu riconosciuta una dignità speciale ai seggi vescovili dei capoluoghi provinciali. Quando, in seguito alla riforma di Diocleziano, le province furono raggruppate in dodici circoscrzioni superiori, le diocesi, aventi per capitale la metropoli della provincia più improtante, ulteriore fu il prestigio acquisito dai seggi episcopali metropolitani quali coordinatori dei vescovi appartenenti a quella medesima circoscrizione ecclesiastica. Infine, l’affermarsi dei patriarchi al vertice della gerarchia ecclesiastica dipese in modo considerevole, anzi decisivo, dall’ulteriore ripartizione amministrativa dell’impero, specie dalle due capitali imperiali di Roma e Costantinopoli, divenute poi vertici della Chiesa latina e di quella greca
La figura del vescovo è largamente ispirata a quella del magistrato romano, così come l’estrazione sociale dei vertici ecclesiastici a partire dalla fine del II secolo discende dall’ordine senatorio. Come scrive, fra gli altri, un grande storico italiano, Giovanni Tabacco, “Il risultato di tutti questi processi culturali ed istituzionali fu un sistema cattolico di impronta aristocratica, civilmente autorevole, armato, nei suoi rappresentanti qualificati, di attributi imperiosi, elaborati sul modello del magistrato romano, e di tutte le arti della persuasione e dell’eloquenza, della retotica e della dialettica; con responsaabilità crescenti, per le competenze giuridsidioznali concesse ai vescovi dagli imperatori al di là della pura disciplina ecclesiastica, in concorrenza dunque col magistato civile”
La figura del pontefice, quale viene ad essere elaborata a partire dal secolo V, e soprattutto dal XI, è fondata in buona misura ispirandosi sia alla “teologia imperiale”, sia alla dottrina giuridica concernente l’imperatore romano stesso. In altri termini, ciò che l’imperatore è per l’imperium Romanorum, così il pontefice nei confronti delle ecclesia Christianorum. Lo stesso apparato simbolico esprimente il potere pontificio, a cui nel Medioevo e nell’era moderna s’attribuiva ben altro rilievo che non nel mondo contemporaneo, è ispirato all’istituzione imperiale.
Inoltre, il governo pastorale e l’amministrazione disciplinare della Chiesa al suo interno è stata, almeno sin dal secolo XI, fondata sull’applicazione dei principi del diritto romano a quello canonico. La “rinascita” del diritto romano in Occidente è compiuta anzitutto attraverso tale sua applicazione all’ambito ecclesiologico, per poi estendersi a quello politico in senso stretto.
La definizione stessa di “Chiesa” è stata condizionata dal diritto romano, con l’evoluzione in senso pubblicistico dell’autorità pontificia, secondo il modello dell’antico ordinamento imperiale, da cui, fra l’altro, le categorie di unicità ed universalità della ecclesia, tradizionali nel cristianesimo, hanno ricevuto una reinterpretazione. In questo si palesa anche la presenza della cultura stoica, grande sostenitrice e teorizzatrice della nozione di oikumene ed universalità della ragione (il logos greco, divenuto nel cristianesimo il Logos cioè il Verbo divino incarnato), in totale opposizione all’esclusivismo etnico tipico del giudaismo. Infatti lo stoicismo è una filosofia divenuta quasi il fondamento ideologico della romanità imperiale e del suo pensiero politico, oltre ad essere molto diffusa nella classe senatoria romana.
Si riscontra pertanto un mimetismo compiuto fra Impero di Roma e Chiesa, specialmente quella cattolica, ma anche ortodossa. La nozione di ecclesia universale ed unica, il governo e l’amministrazione interni alla medesima, la struttura ecclesiale (parroco-vescovo-arcivescovo-patriarca-papa), ed in particolare i suoi due fulcri del vescovo e del pontefice, sono indubbiamente tutti condizionati in fortissima e decisiva misura dal modello imperiale. Sul piano organizzativo e “politico” latu sensu la Chiesa cattolica ed ortodossa è un vero e proprio calco dell’Impero romano.
Questo è in verità soltanto uno, il più visibile, delle moltissimi debiti che il cristianesimo cattolico ed ortodosso ha con Roma. Senza alcuna pretesa esaustiva, si possono ancora ricordare il calendario (ricordando che è su base calendariale che s’organizza il culto stesso, centrale nella vita religiosa: lex orandi, lex credendi), parte della liturgia stessa, l’architettura, l’arte e la musica sacre. Inoltre, parte dei valori della romanità sono stati assorbiti e trasformati nell’etica cristiana: le categorie ed i concetti di fides, pietas, virtus, charitas, cardini del mos maiorum romani, sono passati al cristianesimo.Su tutto ciò, però, in seguito.
[1] Già solo per questo, non è assolutamente legittimo in sede storica parlare di “giudeo-cristianesimo”, non solo perché giudaismo e cristianesimo sono radicalmente differenti, ma anche perché il secondo risulta continuatore ed erede d’una molteplicità di culture preesistenti, fra le quali quella giudaica è soltanto una. Incidentalmente, si deve rimarcare con forza come il cristianesimo nasca e si sviluppi in consapevole separazione e contrasto col giudaismo, sin da Paolo di Tarso, e poi nell’intera Patristica greca e latina. La teorizzazione d’un presunto “giudeo-cristianesimo” compare in verità soltanto nel XX secolo, ed è storicamente erronea.
domenica 3 agosto 2008
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
2 commenti:
Carissima Ambra,
perdonami se ho proposto soltanto questo intervento. Ma mi riprometto di tornare sulla continuità fra cristianesimo, romanità e grecità, che è originario, imprescindibile ed assolutamente determinante.
un caro saluto
Marco
Non ho alcunché da perdonarti, ma solo esserti grata per ogni tuo intervento.
Garie e un saluto affettuoso.
Ambra
Posta un commento