La guerra in Afghanistan procede ormai da molti anni, e non soltanto non è prossima la fine, ma non si intravede neppure in quale modo si possa raggiungerla. Il contesto strategico è particolarmente difficile, per ragioni sia militari, sia politiche.
In Iraq alla lunga l'azione militare americana è riuscita a sfiancare, anche se non distruggere, le forze irregolari nemiche, tuttavia in Afghanistan la situazione è ben diversa. La guerriglia irachena non aveva quasi veri "santuari protetti", ossia basi al di fuori del raggio d'azione americano, mentre invece i Talebani hanno alle loro spalle gli immensi territori pashtun (etnia che vive nell'Afghanistan meridionale e nel Pakistan settentrionale, e rappresenta il nerbo dei Talebani) del Pakistan. Le forze militari pakistane non sono in grado di controllare la regione, quelle NATO non possono accedere nel territorio di uno stato sovrano e, se lo facessero, il rischio sarebbe di uno scontro diretto con l'esercito regolare pakistano, oppure una disintegrazione del Pakistan.Mao insegnava come la prima condizione per il successo di una guerriglia sia l'esistenza di basi sicure, al di fuori della capacità del nemico di colpirle. Lo stato maggiore francese, durante la guerra in Algeria, affermò testualmente che la "guerriglia popolare di lunga durata, se dispone di "santuari protetti", è praticamente invincibile". Anche in Vietnam la sconfitta fu determinata dal fatto che, come scrisse dopo il conflitto il generale Westmoreland, gli USA avevano dovuto combattere come "un pugile che tiene un braccio legato dietro la schiena": era impossibile invadere il Vietnam del nord, per ragioni politiche pressanti, e quindi la guerriglia meridionale era continuamente risorgente. L'esercito regolare si trova quindi dinanzi ad una sorta di idra di Lerna, che non può essere soffocata.
Le forze regolari impegnate sul campo possono senz'altro distruggere determinati reparti nemici, recuperare il controllo da date zone, dopo però devono subire il ritorno offensivo del nemico, che ha tempo e modo di organizzarsi al di fuori della portate dei suoi avversari. E' una classica situazione dell'anti-guerriglia, che difficilmente conosce esito positivo per l'esercito regolare, a meno che non riesca a distruggere i "santuari protetti".
Malgrado gli sforzi fatti, larga parte della popolazione afghana continua a simpatizzare coi Talebani. Diverse ragioni concorrono a tale situazione: la tradizionale chiusura delle varie tribù, fiere della propria indipendenza, ad un occupante straniere e sconosciuto, motivazioni religiose, interessi economici, ostilità nei confronti di eserciti percepiti quale causa di una guerra distruttiva.
Gli stessi alleati della NATO sono decisamente infidi. Il 50% del PIL afghano si fonda sulla coltivazione dell'oppio, e non esistono certo altre colture che abbiano uno stesso valore sul mercato e che gli Afghani possano coltivare2) è ammesso dalle stesse autorità NATO che la coltivazione dell'oppio risulta cresciuta dopo il 2001, cioè dopo l'invasione dell'Afghanistan. Già i Talebani avevano cercato di estirpare parte delle coltivazioni, per motivi religiosi, senza riuscirvi appieno perché il loro potere si basava inparte sull'alleanza con i "signori della guerra" locali. La NATO, per conquistare l'Afghanistan, ha dovuto ricercare l'alleanza con questi stessi "signori della guerra", i quali hanno così "cambiato cavallo". La metà meridionale dell'Afghanistan di fatto è controllata dai Talebani. Le regioni settentrionali, in cui questi sono più deboli, risultavano invece sotto il dominio sociale ed economico dei capi tribali locali, grandi trafficanti. Pretendere di estirpare l'oppio equvale a perdere la loro alleanza, cioè a perdere il controllo anche del nord. Lo stato afghano praticamente non esiste, e Karzai è soprannominato "il sindaco di Kabul". Chi ha potere effettivo sono le tradizionali autorità tribali esistenti in loco, per mentalità ed interessi del tutto estranee, anzi ostili, all'idea stessa di stato e di potere centrale.
Bisogna ricordare come l'Afghanistan, malgrado si trovi in un territorio strategicamente importantissimo, sin dall'Antichità, non potè comunque mai essere controllato in modo permanente da potenze straniere: Indiani, Persiani, Macedoni, Cinesi, Arabi, Mongoli, Russi, Inglesi, Sovietici, tutti prima o poi fallirono nell'intento. La terribile geografia e morfologia del territorio, desertico, montuoso, labirintico, ed il carattere e lo stile delle popolazioni che vi abitano, hanno costituito nei millenni degli ostacoli insormontabili alla sua conquista, anche da parte di forze militari espertissime, come i Mongoli o gli Inglesi.
La NATO in Afghanistan non ha al momento una chiara strategia di vittoria, né sul piano militare (i "santuari protetti"), né su quello politico (l'ambiguità dei suoi alleati stessi e l'ostilità di buona parte della popolazione). L'invio di nuove forze è una necessità ineludibile, ma non è affatto sufficiente, anzi rischia, come è accaduto in molti casi analoghi, di finire col rafforzare la guerriglia, tramite una intensificazione delle operazioni belliche e quindi un accrescimento della disaffezione della popolazione civile, che inevitabilmente ne risentirà in modo negativo.
venerdì 19 giugno 2009
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2 commenti:
Quali dunque le soluzioni possibili ?
Solo continuare a presidiare un territorio che non sarà mai dunque uno Stato vero e proprio ?
Cara Ambra,
la domanda sulle possibili soluzioni andrebbe rivolta a chi conosce la situazione afghana e le risorse disponibili molto meglio di me. A modesta opinione personale, non esiste la possibilità di un successo fondato unicamente sull'azione militare, per cui risulta indispensabile un'azione politica intelligente. Finora la costruzione di uno Stato afghano è stata fallimentare, ed il Pakistan, da decenni attivo e presente nell'Afghanistan, è sempre più lontano. Se non si risolvono questi due nodi l'alternativa rischia di essere una guerra senza termine e senza prospettive strategiche, quindi destinata alla sconfitta.
Secondo me, come direbbe Duepassi.
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