
In particolare il Comando operativo di vertice interforze (Coi), la struttura militare che sovrintende a tutte le missioni all’estero, pensa di inviare i veicoli blindati medi (Vbm) “Freccia”. Berlusconi non ne ha discusso con Obama perché i mezzi sono in fase di produzione alla Iveco Fiat-Oto Melara, e non c’è certezza che possano essere consegnati entro i tempi previsti per l’invio dei rinforzi. Comunque, in previsione di un loro prossimo impiego, tra i 400 militari dell’Esercito, l’ipotesi più accreditata è che venga schierata a Herat una compagnia rinforzata della brigata Pinerolo, che avrà in dotazione i “Freccia”. Si tratta di un’unità netcentric prevista dal programma Forza Nec (Network enabled capabilities), un progetto congiunto Difesa-Industria nato per sviluppare un sistema integrato di comunicazioni e di acquisizione delle informazioni, basato sulle nuove tecnologie informatiche. In pratica si tratta di collegare, in maniera diretta e immediata, ogni singolo soldato e mezzo con il centro decisionale. La brigata Pinerolo è stata scelta per la sperimentazione, tanto che al suo interno ha un’unità speciale “digitalizzata”: il 31esimo reggimento Carri di Altamura con in dotazione i Vbm.
Inoltre, la Pinerolo, porterà con sé il nuovo fucile d’assalto Beretta Arx-160, presentato recentemente e sviluppato come elemento del sistema “Soldato del futuro”. I primi 1.600 esemplari dell’arma saranno destinati ad equipaggiare la brigata e l’Afghanistan sarà un ottimo campo per testare i fucili, i “Freccia” e l’unità stessa, studiata proprio per interfacciarsi al meglio e implementare il dialogo e lo scambio di informazioni in tempo reale con gli alleati. Infine, Berlusconi ha annunciato a Obama che è allo studio l’eliminazione definitiva dei caveat legati alla possibilità che le nostre truppe entrino in azione su richiesta degli alleati. A oggi c’è un vincolo di sei ore di preavviso (durante il precedente esecutivo era di 76 ore) e il Cavaliere starebbe pensando di annullarlo, rendendo i militari disponibili da subito, come richiesto più volte dai comandanti statunitensi della missione Isaf. Di fatto non ci saranno cambiamenti sostanziali per le nostre truppe in quanto non cambieranno i loro compiti, l’area d’intervento e le regole d’ingaggio; senza contare che le sei ore sono di media il tempo fisiologico necessario ai militari per prepararsi a intervenire dopo aver ricevuto una richiesta. Si tratta però di un gesto simbolico. Annullare qualsiasi limite significa dare negli Stati Uniti (che comandano la missione Isaf) massima fiducia. Sia operativa sia politica.
Oltre all’invio di più militari e mezzi e all’eliminazione dei caveat, l’Italia pensa anche a rimodulare geograficamente la sua presenza nella regione occidentale dell’Afghanistan. L’idea, ipotizzata da La Russa recentemente, è quella di trasferire la gestione dell’area meridionale della provincia di Farah ai militari Usa. In particolare da Delaram (dove il passaggio di consegne è già avvenuto) a Bala Boluk, Bakwa, Khak-e-Safid e Gulistan. Il contingente italiano, invece, dovrebbe rinforzare la sua presenza a Shindand - l’area di confine tra Farah ed Herat - e nella provincia di Badghis. L’area è sempre stata considerata “difficile” nella regione Ovest dell’Afghanistan in quanto si estende per 20.951 chilometri quadrati (è grande quasi come la Lombardia) e vi abitano più di 400 mila abitanti. Inoltre, fino all’anno scorso quando la provincia passò dalla responsabilità spagnola a quella italiana, era considerata l’unica provincia occidentale non sotto controllo Nato, e Madrid vi aveva schierato “appena” 300 soldati della brigata Rey Alfonso XIII.
Il territorio, peraltro, è morfologicamente “difficile”, poiché montuoso e difficilmente percorribile via terra. Nella zona, inoltre, si è creata un’ingente sacca di guerriglieri stabili, a cui periodicamente se ne aggiungono altri che transitano verso sud o nord attraverso passi montuosi noti solo a loro. In particolare, l’ultima ondata di miliziani arriva dalla vicina Ghowr, area nella quale durante l’inverno sia Isaf – la missione Nato in Afghanistan -, sia Enduring Freedom – l’operazione antiterrorismo a guida Usa -, vi hanno spinto gli “insurgents”, obbligandoli a raggiungerla a seguito del forte pressing esercitato nel sud e nel centro sud. A ciò si aggiungono anche i miliziani provenienti dal nord (Faryab), che grazie all’innalzamento delle temperature hanno visto i passi di montagna riaprirsi. In cambio della rimodulazione e di queste nuove aperture, però, Berlusconi ha chiesto a Obama la partecipazione completa per le nostre truppe al circuito delle informazioni d’intelligence “Four eyes”, co-gestito da Usa e Gran Bretagna, ma al quale hanno pieno accesso anche Canada e Olanda. Finora, invece, i dati del sistema a cui l’Italia accedeva erano limitati - con il minimo storico durante il governo di Romano Prodi - esclusivamente a discrezione dei vertici militari della forza Nato. Peraltro il fatto che l’Italia si appresti ad assumere in Afghanistan un ruolo più importante è confermato anche dal fatto che si terrà a Roma (il 22 e il 23 giugno presso il Nato Defence college) la conferenza degli addetti stampa di Isaf.
(fbu) 16 giu 2009 15:16
Nessun commento:
Posta un commento