mercoledì 29 ottobre 2008

Fuori dal Mondo - Out of this World

La colonna sonora per i miei silenzi

martedì 28 ottobre 2008

Afganistan: ricordando Gayle

Gayle Williams, 34 anni, volontaria inglese di religione cristiana uccisa lunedì a Kabul solo per esserlo.
Don Sandro De Petris, italiano, detenuto a Gibuti dal 27 febbraio 2007 solo perché sacerdote. India: 100 cristiani massacrati, 177 chiese assalite, 4300 case bruciate negli ultimi tre mesi.
E’ triste vedere che per questi casi l’Europa non c’è, è distratta e comunque gira il viso (e la coscienza) dall’altra parte.
Perché non “fa fino” ricordare queste cose: meglio protestare per difendere i cuccioli di foca, oppure fare crociate per altri mille ma non sempre altrettanti nobili principi.
Nessuna manifestazione, nessun corteo invece per i cristiani martiri anche nel XXI secolo e allora - senza rancore per alcuno - diamo almeno atto di questa testimonianza.
La prossima settimana si vota il rinnovo della nostra missione italiana in Afghanistan dove non solo l’Islam è legge di stato ma è assolutamente vietato qualsiasi altro culto o religione, perfino per i nostri soldati.
Cercherò di fare approvare un ordine del giorno dove si chiede al Governo più fermezza nel pretendere da quello stato un maggiore rispetto per i non musulmani, libertà di coscienza e religione come dovrebbe avvenire in tutti i paesi, qualsiasi essi siano.
Ma non mostriamoci pudichi o codardi a perlomeno denunciare e protestare per troppe impunite atrocità.
Marco Zacchera

VOGLIAMO ASCOLTARLE TUTTE SUL FEDERALISMO E L'ITALIA ? (click)


Ricevo da Ambro, che si definisce duodiciliano, un link che offre materiale da leggere e meditare; mi aspetto commenti e contraddittori.

sabato 25 ottobre 2008

giovedì 23 ottobre 2008

LETTERA APERTA AGLI STUDENTI (clik)




Cari studenti, avete voglia di uscire dagli slogan? Lo so che in queste ore di inebriante ribellione vi sentite incaricati di una missione altissima. Guardavo per le vie e dentro le Tv i vostri volti sorpresi dal primo rossore pubblico, le mani abituate a chat e messenger che si levano timide a mostrare i tazebao, quelle mise un po’ smandrappate che si tirano dietro inconsapevoli strascichi di Sessantotto. E pensavo che quando dite di volere una scuola migliore, be’, avete proprio ragione. Ma come si fa ad avere una scuola migliore? Provate a tirare fuori dagli armadi delle aule gli slogan che vi hanno preceduto: «Ucci Ucci sento odore di Falcucci», «Con simpatia la Moratti a Nassirya», «Ministro Fioroni, servo dei padroni». A Berlinguer furono mostrate le chiappe, De Mauro fu sbertucciato come Pinocchio. Ora tocca alla Gelmini, che «divora i bambini». Le rime sono persino facili, avanti con la fantasia.

Vi siete mai chiesti, però, perché ogni riforma della scuola, proposta da qualsiasi ministro, di qualsiasi partito, è sempre fallita? Cui prodest? E che ci fanno dietro le vostre spalle professori e sindacalisti? E i no global? Che c’entrano? È davvero necessario occupare le scuole? E occupare le stazioni? Chi è che vi spinge a iniziative contro la legge? Che interesse ha? Che ci fanno i politici (persino l’assessore all’Istruzione di Napoli) fra i vostri banchi? Chi è che pensa di sfruttare il vostro primo rossore per colorare piazze altrimenti vuote? Vi hanno raccontato un sacco di balle sulla riforma Gelmini. L’hanno fatto in classe. L’hanno fatto in modo strumentale. Vogliamo discuterne? Noi siamo qui. A disposizione.

Oggi non invochiamo la Polizia: anzi, pensiamo che l’intervento delle forze dell’ordine per garantire lo svolgimento delle lezioni sarebbe una sconfitta per tutti. Pensateci. E, se potete, provate a uscire dal solito cliché delle barricate. Provate ad andare oltre gli slogan. Provate a discutere nel merito come si fa ad avere una scuola migliore. Questo sì che sarebbe, per una volta, davvero rivoluzionario.

sabato 18 ottobre 2008

Ad un pelo dalla verità !


Sulla strage di Bologna: ad un pelo dalla Verita'
E no, ora che siamo ad un pelo dalla Verita' non possiamo aspettare un altro anno, un altro anniversario della Strage di Bologna, un altro scacco. Dobbiamo tutti praticare la Democrazia finche' e' viva e mantenerla in vita facendo uso della lingua e della penna, ora che abbiamo anche Internet a servizio della sovranita' popolare, fino a che non sara' troppo tardi.
Anche noi abbiamo creduto a quella calunniosa macchinazione della strage fascista e ci siamo cascati!
E' una questione d'onore e la nostra coscienza si ribella, dobbiamo scavare piu' a fondo tra le rovine di quel crimine che assassino' 85 vittime nella sala d'aspetto di seconda classe della stazione di Bologna, il 2 agosto 1980 e dobbiamo riesumarla tutta, la verita', quella verita' liquidata in fretta, insabbiata, occultata e seppellita, su quella strage di cui si era scaricata vilmente e comodamente la responsabilita' sui neofascisti, che sono stati oltremodo criminalizzati dai media, denominata come strage nera mentre invece era una strage rossa e palestinese, nella rossa Bologna.
L'avevano persino sfacciatamente inciso nella lapide alla stazione: "Strage fascista", falso, niente di piu' falso! Tanto piu' falso suona perche' non ci sono altre lapidi che ricordino equamente le stragi notoriamente palestinesi, che invece sono cadute nel dimenticatoio proprio perche' senza scrittura.
E no, noi non ci prestiamo a questo raggiro e a questa circonvenzione di verita'.
I grandi manipolatori con insidia, hanno nascosto le loro colpe dietro quella fretta con cui hanno voluto far scendere il sipario sul palcoscenico della strage, come su altre stragi tutte collegate. E tanto piu' non ci arrenderemo perche' i governi italiani scendendo a patti con i terroristi palestinesi hanno per la seconda volta svenduto l'incolumita' degli Italiani di origine ebraica, l'eterno capro espiatorio, la prima volta ai nazisti con le Leggi Razziali e la seconda volta ai terroristi armati palestinesi, con l'accordo-Moro.
Si spiega cosi' tutta la propaganda di copertura e di depistaggio dei media e si spiega inoltre come la disinformazione e l'odio contro Israele sia culminato nella strage alla Sinagoga di Roma del 1982, meno di due anni dopo la strage di Bologna, strage anch'essa rossa, perche' rossi furono i suoi fiancheggiatori, dato che il corteo della Cgil aveva deposto proprio di fronte alla Sinagoga, qualche tempo prima, una bara premonitrice, lugubre presagio di quello che sarebbe accaduto poi.
E in aggiunta, la mattina della strage alla Sinagoga di Roma, "le volanti della polizia erano state istruite ad andarsene", secondo quello che proprio oggi veniamo a sapere dalla lettura dell'intervista su Yediot Aharonot di Menachem Gantz al senatore Francesco Cossiga, riportata su Informazione Corretta.
Vergogna!In quel periodo si rinfocolava l'antisemitismo e si riattizzava l'odio fra rossi e neri, e si continua ancora con l'attivazione propagandistica di quella famosa strategia della tensione, gestita dal potere, una strategia di comodo che ha portato anche a tante morti di giovani italiani che si sono aggrediti e percossi a sangue, accoltellati e ammazzati perche' furono messi gli uni contro gli altri persino dai loro stessi Padri e per colpa di coloro che gestivano machiavellicamente il potere.
Hanno impedito al paese un equo dibattito sui quei fatti criminosi, sabotando ed indebolendo la democrazia che ha retto solo grazie ai cittadini che hanno resistito all'oltraggio della verita': pochi giornalisi, bloggers e i giudici ribelli...
Dobbiamo disseppelirla tutta quella verita' insabbiata e cinicamente occultata, perche' vogliamo sapere come veramente sono andate le cose, per una battaglia civile di verita': e' un nostro diritto, e' un diritto degli Italiani di conoscerla finalmente ora che siamo cosi' vicini, ad un passo.
Per decenni, con un accanimento propagandistico, la partitocrazia al potere e l'informazione deviata ed asservita al potere politico dei telegiornali di stato, Tg1, Tg2 e Tg3, proprio in barba al pluralismo delle fonti d'informazione, ci hanno gabbati e ci hanno imbevuti d'odio verso la destra, a livello di rigetto come un riflesso condizionato, hanno rimestato a tamburo battente, in un furioso crescendo, la contrapposizione tra le due ideologie del Fascismo e del Comunismo, con la strategia della tensione degli opposti estremismi, secondo cui i neofascisti qualsiasi cosa facessero erano cattivi e i comunisti qualsiasi cosa facessero erano buoni.
Questo per seminare la paura tra gli Italiani mentre il nostro piu' grande nemico era il Terrorismo Palestinese in combutta con le Brigate Rosse, foraggiato e sostenuto dall'Unione Sovietica che era ultrapresente e che ancora lo e', sotto mentite spoglie, in Europa e soprattutto in Italia attraverso la rete di spionaggio prima del Kgb ed ora del Fsb. Ma qualcosa nell'accordo tra il governo italiano e i terroristi palestinesi non funziono', e l'Italia, terra di nessuno, e' stato il palcoscenico di stragi a cui il governo ha offerto la copertura dando loro licenza di uccidere.
Si e' detto che i governi italiani hanno ceduto ed sono capitolati sia a destra, quando hanno rimesso in liberta' i nazisti, da Kesserling a Priebke, (quest'ultimo sotto il governo di sinistra Prodi- D'Alema), e sia a sinistra con l'accordo con i terroristi palestinesi che hanno seminato stragi in Italia e in Europa, come si legge nei verbali della Commissione Mitrokhin che chiamo' a testimoniare testi importanti, come il colonnello Umberto Bonaventura, morto di una strana morte naturale, la sera prima dell'audizione.
Una ragione di piu' per dire che la Commissione Mitrokhin stava sulle buone tracce e tuttora funziona anche se non e' piu' operativa, caspita c'e' gente influente che la teme sia a livello nazionale che internazionale!
E' una commissione di indagine pluralista, degna della migliore tradizione illuministica italiana che onora l'Italia.
La verita' sta facendo il suo corso, sta andando avanti e dobbiamo chiedere, tutti noi in coro, di riaprire il processo sulla strage di Bologna e di continuare con la commissione interparlamentare investigativa per appurare la verita', tanto piu' che testimoni importanti della Commissione Mitrokhin sono stati eliminati, altri sono stati minacciati di morte, lo stesso senatore Cossiga sta parlando a rischio della sua stessa vita, lui stesso ha detto che ci " tiene alla sua pellaccia" perche'la verita', se emergesse tutta sarebbe molto scottante.
E' segno questo che la Commissione Mitrokhin era sulla strada giusta.
Basta con le menzogne, dobbiamo smascherarli e spubblicarli i grandi fraudolenti che ordivano trame internazionali eversive sopra le nostre teste, che defraudano i cittadini del diritto di conoscere la verita' sulla strage di Bologna e su tutte le altre stragi ad essa collegate, rinfocolando scontri tra rossi e neri, assai lontani da una sana politica pragmatica di pacificazione del Paese.
E questa maledetta storia non e' ancora finita, non riguarda solo il passato, prosegue ed e' tuttora attuale e minacciosa; ci riguarda e come, perche' in Italia tutta quella eversione del brigatismo rosso e del terrorismo islamico erano sostenuti ed armati da potenze straniere che miravano ad estendere il loro imperialismo fino al Mediterraneo, (esistente gia' ai tempi di Cavour che l'ostacolo' mandando l'esercito piemontese a combattere in Crimea contro i Russi presso il fiume Cernaia nel 1855), e di nuovo ci risiamo con rinati sogni imperialistici: dobbiamo andare a cercare oltre che a casa nostra,proprio li' la verita', scritta pazientemente nei resoconti dei dissidenti ed intellettuali russi, tutti fuoriusciti, che sono al corrente di quello che stava accadendo in Italia, alcuni ammazzati a colpi d'arma da fuoco o di polonio 120, perche' sapevano troppo...

Piera Prister Bracaglia Morante
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=26111

giovedì 16 ottobre 2008

IL "NAPOLETANO" E' LINGUA COME IL "SARDO"


"MO’ PUTIMMO PARLÀ…"

Cultura Il napoletano è ufficialmente lingua

Nella seduta del 14 ottobre 2008, il Consiglio regionale della Campania ha approvato il disegno di legge d’iniziativa provinciale, rubricato "Tutela e valorizzazione della lingua napoletana": il napoletano è, dunque, ufficialmente lingua. Della presentazione del d.d.l., il cui testo il Consiglio provinciale aveva licenziato nella seduta del 22 marzo 2006, questa testata diede già notizia, nel numero del 24 marzo successivo, e, del resto, non poteva mancare una considerazione siffatta, per un’espressione idiomatica caratterizzata, da un lato, da peculiarità grammaticali e sintattiche e, dall’altro, da un proprio patrimonio letterario, che affonda le radici, addirittura, nel secolo XV.
A supporto dell’esame del d.d.l. si sono svolti, nel frattempo, convegni sui germanismi, sugl’ispanismi e sui francesismi nella lingua napoletana, curati dal gruppo di studio che, coordinato dal consigliere provinciale Luigi Rispoli e dal giornalista Umberto Franzese, vede la partecipazione, insieme con chi scrive queste righe, di personalità di spicco del panorama culturale napoletano, fra le quali, Francesco d’Episcopo (nella foto), Renato de Falco, Carlo Iandolo, don Matteo Coppola, Franco Lista, Ettore Capuano.

martedì 14 ottobre 2008

lunedì 13 ottobre 2008

PIERLUIGI DE PICCOLI FIGALLO


Amico mio carissimo, perché ci hai lasciato ? Piango con grande dolore al pensiero che non sarai più tra noi.
Mi mancheranno le tue parole sanguigne e sempre sincere, mai ambigue e mai sussurrate, anche quando sapevi che non le avrei condivise. Era bello contendere con te e poi trovarci del tutto d'accordo su quei principi morali che tu hai sempre dimostrato di avere e che hai messo in pratica vera, generosamente e umilmente, come solo le persone grandi sanno fare.
Non ti dirò addio, ma arrivederci, perché non posso pensare di averti perso per sempre.
Ciao dunque Pierluigi e stacci vicino. Ambra

venerdì 10 ottobre 2008

Miccia Corta


martedì 07 ottobre 2008, 07:00
Lo Stato non paghi il film sulle Br
di Michele Brambilla

Sembra una tragicomica parabola tipicamente italiana quella della nostra lotta armata, iniziata con le rapine per autofinanziamento e finita con una richiesta di finanziamento pubblico. Oggi infatti a Roma si discute se inserire Miccia corta, un film tratto dal libro dell’ex terrorista Sergio Segio, tra quelli «di interesse culturale nazionale», e come tale meritevole di un contributo ministeriale. Tanto per dare al lettore un’idea delle cifre, ogni anno lo Stato italiano contribuisce al nostro cinema con una cinquantina scarsa di milioni di euro, e solo per Miccia corta se ne chiedono due e mezzo, la metà del costo totale del film.Miccia corta racconta la giornata del 3 gennaio 1982, quando Sergio Segio con venti chili di tritolo fece saltare le mura del carcere femminile di Rovigo e liberò la sua compagna Susanna Ronconi. Le associazioni dei familiari delle vittime del terrorismo pongono una serie di condizioni. Non vogliono che compaiano, tra quelli degli ispiratori del film, i nomi di Segio e della Ronconi; non vogliono che i due partecipino alla campagna promozionale, e tutta una serie di altri dettagli che francamente ci sembrano appunto solo dettagli. Si possono far sparire dai titoli di coda tutti i nomi che si vogliono, ma il fatto raccontato nel film è un fatto storico, ogni spettatore saprà che Riccardo Scamarcio è Segio e Giovanna Mezzogiorno è la Ronconi. Né servirà, per nascondere la parentela con il libro di Segio, cambiare il titolo in La prima linea, come è stato proposto.Non c’è alcun dubbio che da un punto di vista formale il film abbia i requisiti per ottenere il contributo: il regista è bravo e serio, il cast di eccellente livello, i produttori tali da garantire qualità. Ma siccome le forme non sono tutto, a noi sembra che solo in Italia può succedere che si discuta se far finanziare dallo Stato un film tratto da un libro scritto da chi voleva distruggere lo Stato. «Non sarà un’apologia del terrorismo», assicurano quelli del film. Le buone intenzioni sono fuori discussione. Ma è difficile non pensare che anche una «libera interpretazione» non risenta dell’anima del libro. E l’anima del libro la si legge anche sul sito dell’autore: «Nel libro Miccia corta, Segio descrive una delle azioni più clamorose e audaci della lotta armata in Italia: l’assalto al carcere di Rovigo con cui liberò la sua compagna e altre tre detenute politiche». «Clamorosa» e «audace»: sono questi gli unici due aggettivi con cui Segio descrive quell’«azione»: nel corso della quale, va ricordato en passant, morì un poverocristo di pensionato che passeggiava con il cane. Eh no signor Segio: quell’azione va chiamata con i nomi suoi, infame e omicida, non clamorosa e audace. Ma tutto il racconto di Segio corre sul crinale di un pericoloso giustificazionismo: sempre dal sito www.micciacorta.it, leggiamo che «il libro ripercorre le lotte e i movimenti degli anni Settanta, descrive le origini della scelta della ribellione armata, ricorda in dettaglio le stragi fasciste e le deviazioni istituzionali che contribuirono a innescarla». È la solita truffaldina tesi secondo la quale il terrorismo di sinistra fu una reazione a quello fascista e di Stato.Che cosa succederebbe se la strage di Marzabotto venisse raccontata al cinema ispirandosi a un racconto di Walter Reder? E l’eccidio delle Fosse Ardeatine andasse sullo schermo «liberamente tratto» da uno scritto di Herbert Kappler? È bastato che Spike Lee facesse un film non corrispondente all’immagine della Resistenza fissata da Giorgio Bocca per far gridare mezzo Paese alla lesa maestà, anzi alla lesa storia.
Sì, lo sappiamo: il fascismo divide ancora. Ma le ferite delle Br sanguinano ancora. E anche se non invochiamo censure, a noi pare rischioso che chi negli anni Settanta non c’era o era troppo piccolo si faccia raccontare il brigatismo da un Segio, e se lo faccia trasformare in Historia de amor y revolución dai volti belli della coppia Scamarcio-Mezzogiorno. E visto che è rischioso, ci manca solo che lo paghi il contribuente.Michele Brambilla

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=296120

mercoledì 8 ottobre 2008

Un caso d'ingiustizia: la condanna di Carlo Parlanti

Intendo segnalare un caso che, a detta di molti, è di palese ed incredibile ingiustizia, come si può facilmente comprendere dalla lettura di quanto segue. I cittadini italiani i quali si trovano all’estero sovente hanno gravi, od anche gravissime difficoltà a far valere i propri diritti, anche in paesi dal buon sistema giudiziario come gli USA.


L’antefatto
Carlo Parlanti, classe 1964, è un cittadino italiano che da anni lotta contro una delle accuse più infamanti e tuttavia sempre più facili a lanciarsi: stupro e violenza nei confronti di una donna.Manager informatico di successo, Parlanti ha lavorato per diverse società in diversi paesi del mondo. Dal 1996 al 2002 ha vissuto in California lavorando per Dole Food, la famosa multinazionale alimentare.
Egli in America aveva allacciato una relazione con una donna, tale Rebecca White.Parlanti si fida di lei a tal punto da accoglierla nella propria casa e concederle una delega notarile su tutti i suoi beni. Tuttavia, dopo alcuni mesi la loro relazione si incrina e, il 16 luglio 2002, giorno in cui il Parlanti si reca in Gulporth per lavoro, decide di troncare definitivamente i rapporti in quanto la donna sarebbe diventata troppo possessiva . Nelle prime settimane dell'agosto 2002, Parlanti conclude la sua avventura americana e prende un volo per l'Italia, dove avrebbe cercato migliori opportunità di lavoro.


L’arresto e le vicende anteriori al processo
Nei seguenti due anni si troverà ancora diverse volte a viaggiare per l'europa, finchè un giorno, in seguito ad un normale controllo, verrà arrestato presso un aeroporto tedesco. Rebecca White infatti aveva denunciato Parlanti per violenza carnale nel 2002.
Non sono note le ragioni per cui il mandato di arresto, spiccato dalle autorità statunitensi poco dopo la denuncia della White, non sia mai stato inviato o recepito in Italia. Di fatto, Parlanti continua a lavorare e a vivere in Italia per due anni finché, nel luglio 2004, viene arrestato durante uno scalo aereo dalla polizia tedesca, in seguito a un controllo casuale. Riconosciuto come ricercato internazionale, viene immediatamente trasferito nel carcere cittadino di Duesseldorf, dove passerà quasi un anno della sua vita. Questo è solo l'inizio del suo calvario.
In base ai trattati internazionali, la Germania dovrebbe spedire il prigioniero in America per essere giudicato, ma l'Italia può reclamare il diritto di processarlo in patria. Questo darebbe modo alla famiglia di seguire più agevolmente le fasi del processo, e di evitare un ambiente per molti versi ritenuto ostile al Parlanti, il quale rischierebbe di trovarsi vittima d’un duplice pregiudizio, quello contro gli Italiani, giudicati spesso propensi al crimine, e contro gli uomini.
Nonostante gli sforzi dei due avvocati assunti dalla famiglia Parlanti sia in Italia che in Germania, e l'intervento del ministro Castelli supplicato dalla madre di Parlanti, ogni tentativo di celebrare il processo in Italia fallisce per l'opposizione di alcuni magistrati. Alla fine, il 3 giugno 2005, la Germania dà seguito all'estradizione inviando il prigioniero a Ventura, California. Un'estradizione da molti definita come “formalmente controversa”.Una volta in America, tutti i timori espressi dagli avvocati sulla garanzia dei diritti di imputato di Parlanti si rivelano purtroppo fondati. Nelle apparizioni in tribunale non è mai presente alcun interprete. Durante la prima udienza, il procuratore distrettuale introduce il suo caso dichiarando falsamente che l'imputato ha già dei precedenti penali in Italia, tra cui addirittura per stupro e rapina a mano armata. L'avvocato che dovrebbe difenderlo da queste false accuse non si fa neppure vedere, in quanto la famiglia di Parlanti non è stata in grado di assicurargli un cospicuo anticipo. Gli viene così assegnato un avvocato d’ufficio.Durante la reclusione, la salute di Parlanti, già minata, peggiora di giorno in giorno. Soffre di una grave forma d'asma, sciatalgia e piorrea. Risulta inoltre positivo al test della TBC. Molte medicine, tra cui il Ventolin, sono vietate, mentre l'assistenza medica è sporadica e inadeguata al suo caso.


Le assurdità delle accuse
Le accuse di Rebecca White sono a dir poco inconsistenti e contraddette da una molteplicità di fatti e particolari. L’ex amante di Parlanti lo aveva denunciato affermando di essere stata picchiata, legata e stuprata nella notte del 6 luglio (più tardi correggerà la data al 29 giugno) dal suo ex-amante, e sequestrata per una settimana, benché solo di notte, in quanto di giorno Parlanti si recava al lavoro.
1) La polizia non nota né documenta alcuna cicatrice o ferita sul volto della donna e in nessun altra parte del corpo.
2) Dall'ispezione dell'appartamento dove si sarebbe consumato il crimine non emerge alcun segno di collutazione, né tracce di sangue, nonostante la donna dichiarerà più tardi che il suo sangue avesse inzuppato il materasso.
3) Inoltre, le strisce di plastica sequestrate dai poliziotti senza alcun mandato, con le quali il Parlanti l'avrebbe legata, sono nuove e non recano traccia del suo DNA.
4) I poliziotti interrogano i vicini, che non ricordano di avere udito litigi o urla nel corso di quella settimana, nonostante i muri, molto sottili, siano di cartongesso.
5) Su consiglio della polizia, il 22 luglio 2002 si sottopone a una visita medica, da un ‘doctor on duty’ a Monterey, città dove la presunta vittima torna a vivere dopo la denuncia, visita durante la quale non menziona nemmeno il fatto di essere stata stuprata.

6) Stando alle sue stesse dichiarazioni, la donna continua ad avere rapporti consensuali con Parlanti nei giorni successivi al presunto stupro.

7) Nei due anni successivi, fino all'arresto di Parlanti, Rebecca White scrive email in continuazione, nelle quali confessa agli amici il suo amore per Parlanti e la sua disperazione per essere stata lasciata, chiedendo consigli su come sedurlo di nuovo.

In breve, si può riassumere quanto sopra dicendo che non esiste nessuna prova, di nessun genere, a sostegno delle accuse di Rebecca White, e che anzi il suo comportamento posteriore alla presunta violenza consente d’escluderla.
Durante il processo, l’accusatrice cade in continue contraddizioni ed incoerenze, fra cui spiccano le seguenti:
1) La donna sostiene di essere stata costretta a denunciare Parlanti dal padre, che le avrebbe altrimenti negato il sostegno economico. Ma quest'ultimo, interpellato dal procuratore, ha sempre negato, costringendo così la White a correggersi dicendo di avere in realtà parlato con sua madre.
2) Afferma di avere conversato molte volte al telefono con la fidanzata italiana di Parlanti, che tuttavia non parla una parola di inglese.
3) Nega o non ricorda di avere scritto alcune email già agli atti del tribunale, finché non le vengono mostrate.
4) La White dà prova d’evidenti segni di comportamento disturbato nelle sessioni di tribunale. In verità, ella, che quando aveva conosciuto Parlati era uscita da un divorzio, aveva in passato già accusato il precedente marito di violenza domestica e tentato omicidio durante la causa di divorzio: il giudice però aveva ritenuto tali accuse infondate.

La condanna
Come si vede, non solo non esistono prove a sostegno delle gravissime accuse di Rebecca White, ma anzi si può dire provato che non è avvenuta violenza alcuna. Il comportamento dell’accusatrice stessa, che ha continuato per anni a proclamarsi innamorata di Parlanti, e la totale mancanza di tracce di sangue anche minime nell’appartamento, attestano l’opposto. L’incoerenza e l’instabilità psichica evidenti della White dovrebbero toglierle ogni credibilità,
Eppure, l’accusa riesce ad ottenere una condanna per Carlo Parlanti, facendo leva sull’emotività ed i pregiudizi della giuria popolare. La presunta vittima è teatralmente sostenuta da una psicologa fornita dal tribunale quando si celebra di fronte ai giurati, mentre all'italiano, incatenato sino al momento dell’ apparizione in corte, non permettono nemmeno di scambiare una parola con la madre venuta per l’occasione e con la fidanzata italiana.
L’arringa dell’accusa (leggibile sul sito www.carloparlanti.it ) rivolta alla giuria popolare, esordisce ammettendo che non saranno mostrate le prove che sarebbe lecito attendersi (!!!), ed costruita sullo stereotipo del “maschio latino violento”. L’accusa giunge a dichiarare alla giuria che l’imputato aveva precedenti per violenza in Italia, il che non è assolutamente vero: errore od infame calunnia?
La sentenza, che verrà emessa il 7 aprile 2006, prevede una pena variabile tra i 9 e i 12 anni e mezzo di carcere, nonostante le evidenti incongruenze.



OGGI
Attualmente Carlo Parlanti è detenuto nel carcere di Avenal, in California, in condizioni assai dure. I genitori del tecnico italiano e la sua fidanzata Katia Anedda continuano a lottare per avere giustizia, nonostante il dissesto economico e i forti debiti contratti per l'assistenza legale e le trasferte. Mentre la sua accusatrice ha diritto ad un assegno mensile quale presunta "vittima di un crimine", le difficoltà sembrano invece susseguirsi senza fine per la famiglia di Carlo e per i suoi cari.
Per la palese ingiustizia della sentenza, la storia di Carlo Parlanti ha sollevato e continua a sollevare l'interesse e la solidarietà di numerosi sostenitori, raccolti attorno alla figura e all'impegno di Katia Anedda, promotrice di un comitato di sostegno e di un sito dedicato al prigioniero, (www.carloparlanti.it ). Gli atti del processo sono reperibili sul sito www.thepeoplevscarloparlanti.it .Il deputato di AN Marco Zacchera è forse l’unico parlamentare italiano ad aver cercato d’ottenere una revisione d’un ingiusto processo, viziato da rozzi pregiudizi anti-maschili ed anti-italiani.
Del caso si sta occupando anche l'organizzazione non governativa Fair Trials Abroad, che ha dedicato alla vicenda Parlanti un approfondimento nel mese di marzo sul proprio sito internet: www.fairtrialsabroad.org

Da parte mia, posso solo ribadire che nel caso Parlanti non esistono prove della colpevolezza del nostro compatriota, unicamente la parola della sua ex fidanzata contro la sua: in siffatta maniera, chiunque potrebbe essere accusato e condannato per violenza carnale.E’ vergognoso che le autorità politiche italiane abbandonino i propri connazionali all’estero, tranne quando siano politicamente spendibili, come la terrorista Silvia Baraldini, rea confessa di gravissimi crimini, fra i quali il tentato omicidio d’un poliziotto durante una rapina.Considerando che gli Italiani detenuti in paesi stranieri sono circa 3000, sorge la domanda di quale sia la percentuale di coloro che risultano effettivamente colpevoli, dato che uno straniero, di solito, ha meno possibilità di far valere i propri diritti dinanzi ad un tribunale ovvero può non padroneggiare a sufficienza la lingua e la cultura locali, e, se italiano, deve scontare anche i pregiudizi di chi scorge nel Bel Paese solo la terra delle varie mafie. Se a questo s’aggiunge l’indifferenza da parte delle autorità diplomatiche e politiche in genere, il sospetto che un buon numero di sventurati italiani sia incarcerato ingiustamente.

martedì 7 ottobre 2008

CALABRIA LA REGIONE PIU' DERUBATA DAL 1860 AD OGGI (click)



Calabria: la regione più derubata dal 1860 ad oggi!

di Antonio Nicoletta

Sono nato in Calabria e lì ho vissuto quasi il primo terzo della mia vita.
Il mio universo, fisico e culturale aveva in quei luoghi il suo epicentro. Godevo della mia territorialità e la consideravo quasi un privilegio. Rimasi molto male, quando crescendo ed affacciandomi al mondo, mi resi conto di come la mia terra, ed il meridione tutto, era considerata la parte debole ed arretrata della nazione Italia. Mi resi conto di quanto negletta fosse, e quando considerata, lo era solo per la sua arretratezza, ignoranza, infingardaggine, malaffare.
L’albagia dei vari pubblicisti e commentatori, molti del nord, rendeva ancora più acuto il mio disagio, quando leggevo nei loro scritti quanto il sud pesava e quanti problemi dava. L’orgoglio della mia nascita cominciava a pesarmi e di questo me ne accorsi quando giovane allievo ufficiale venni inserito in una piccola babele di origini, dove la mia alle volte faceva le spese di distinguo e sottolineature non sempre piacevoli.
Avevo letto della sua passata grandezza, dei suoi filosofi, della sua storia, del suo contributo al territorio che poi divenne (anche se in malo modo) la nostra Patria. E non mi rendevo conto come in una nazione che malgrado la mancanza di risorse, con la sua inventiva e la sua intelligenza era stata capace di creare fonti di reddito con attività che si imponevano nel mondo, solo il sud, a parte alcune piccole nicchie, dipendenti soprattutto dalla peculiarità del suo clima, per il resto fosse assente.
Solo in età un po’ più vicina alla maturità mi resi conto che forse alla base di tutto questo vi erano responsabilità non solo nostre; la storia non era quella che ci insegnavano a scuola. Molte cose ci erano tenute nascoste, altre avevano evidenze diverse da quelle che immaginavamo.
Alcuni servizi comparsi su un quotidiano economico nazionale confermò, con l’autorevolezza delle proprie firme, quanto nelle varie e disordinate letture avevo intravisto e cercato di approfondire e divulgare. Mi consentiva di parlare di una regione che fino all’unità era tutt’altra cosa di quella che si presenta oggi alla pubblica conoscenza. Quegli articoli, che cercherò di evidenziare e un poco ampliare, narravano di tempi in cui il meridione non aveva bisogno di quell’assistenza dello stato sempre rinfacciata dai nostri connazionali del nord; producevamo, tanto e bene, materiali e beni pregiati che con i loro proventi assicuravano al popolo della mia terra un benessere, che contestualizzato in una regione di circa 1,200 milioni di abitanti, poteva essere superiore a quello di molti altri posti ora più ricchi e per questo ritenuti più civili. Citerò dal quotidiano “il sole 24 ore” una serie di servizi comparsi nel marzo del 2004 a firma di Bruno Bisogni:
Un’opera singolare quanto meritoria. Un archivio virtuale che documenta oltre un secolo di testimonianze su quello che ha rappresentato il più importante stabilimento metallurgico nel Mezzogiorno prima dell’Unità d’Italia. Lo ha realizzato il Laboratorio di documentazione del dipartimento di Linguistica dell’Università della Calabria.
Un Archivio cartaceo delle Reali Ferriere della Mongiana, in effetti, già esisteva, conservato dal 1951 nei locali dell’Archivio di Stato di Catanzaro. Si tratta di un fondo costituito da 90 unità archivistiche, molto poco funzionale alle esigenze di chi cerca informazioni puntuali e in tempi relativamente brevi. La brillante attività degli studiosi dell’ateneo calabrese non ha trasformato la realtà materiale della memoria storica della Mongiana, ma si è invece concretizzata nella realizzazione di una schedatura analitica delle unità archivistiche, riordinate logicamente ma solo sul piano virtuale. Attraverso il sito www.linguistica.unical.it/laboratorio-doc/pubblicazioni/RealiFerriere/index.htm, è infatti possibile consultare la straordinaria documentazione disponibile, distribuita in oltre mille unità tra fascicoli e sottofascicoli, contenuti in novanta “buste”. In tal modo, il ricercatore-navigatore può individuare i documenti che gli interessano, visualizzarli, confrontarli simultaneamente con gli altri materiali. Un’autentica manna per chi vuole riscoprire un pezzo importante della storia industriale del Sud e approfondirne personaggi e situazioni. La schedatura del Laboratorio di documentazione del dipartimento di Linguistica dell’Università della Calabria è stata effettuata «secondo i correnti parametri archivistici, evidenziando, ai fini della consultazione, la corrispondenza tra vecchia e nuova segnatura». E stato così ricostruito l’ordinamento originario degli atti, che ripartiva la documentazione nelle seguenti tematiche: Contabilità finanze (stati di contabilità), Contabilità materie (stati di rimesse e consumi; quadro degli altiforni), Inventari, Stati di situazione, Stati dei lavori, Processi verbali, Registri copialettere, Protocolli, Corrispondenza, Contratti, Disegni, Tariffe.
Gli accademici calabresi si sono poi avvalsi del’ prezioso materiale per realizzare i testi del sito dedicato alle Reali Ferriere, completo di immagini e riferimenti storici.
Ancora:
Mongiana
La realizzazione, nella provincia di Vibo Valentia, in Calabria, di uno dei più importanti stabilimenti metallurgici d’Europa non è un progetto per riconvertire la regione italiana meno industrializzata. È storia.
La storia del complesso della Mongiana, avviato alla fine del Settecento e inserito in un comprensorio industriale sito tra Monteleone a Gerace, in mezzo a boschi e corsi d’acqua, a poca distanza da Serra San Bruno.
Le Reali Ferriere della Mongiana giunsero a dare occupazione fino a 1.500 operai. Vi si lavorava il minerale di ferro estratto dalle vicine miniere statali di Pazzano. Si realizzavano manufatti di utilizzo civile e soprattutto militare. Di grande rilevanza, tra le produzioni per uso civile, le componenti (bulloni, maglie, catene) dei primi ponti sospesi in ferro realizzati in Italia, costruiti sui fiumi Garigliano e Calore nel 1829.
Mongiana rappresentò un autentico modello di civiltà industriale per l’epoca. Accanto agli stabilimenti produttivi, furono edificate case per gli operai e gli ufficiali d’artiglieria che vi presidiavano, una chiesa, una struttura sanitaria e perfino un teatro.
Un’autentica comunità, insomma, costruita attorno a un impianto che assicurava lavoro e sviluppo a un vasto territorio. Rispetto ad altre aree del regno borbonico, inoltre, il Mongiana godeva di un regime lavorativo più umano. Non vi era, come altrove, sfruttamento della manodopera femminile, e lo stesso lavoro minorile veniva circoscritto nelle mansioni e ridotto negli orari.
La localizzazione delle Reali Ferriere in mezzo a distese boschive non era casuale. All’epoca infatti, per le fucine di simili opifici occorrevano straordinarie quantità di legno da trasformare in carbone. Il che determinava autentici scempi ecologici. Le fonderie della Mongiana erano state impiantate per sostituire le antiche ferriere di Stilo, risalenti all’epoca angioina, e declinate proprio per la carenza di boschi ancora vergini nelle vicinanze.
Il ventenne Ferdinando IV di Borbone (poi divenuto Ferdinando I, re delle Due Sicilie) decise dunque, nel 1771, di dare vita al moderno stabilimento in un’area immersa tra faggi e abeti, tra il Tirreno e lo Ionio. La costruzione richiese diversi anni. Per assicurare all’impianto una tecnologia d’avanguardia, Ferdinando si assicurò la consulenza di scienziati, quali Faicchio, Melograni, Savaresi e Torídi, che avevano in precedenza condotto appositi studi in alcuni degli stati più industrializzati d’Europa, primi fra tutti Francia e Inghilterra.
Il periodo murattiano (1808-1815) diede impulso all’attività siderurgica. Non a caso, nel 1814 il complesso di Mongiana era giunto a triplicare la sua produzione, sfornando 14 mila quintali di ferro.
La successiva politica di sviluppo industriale, voluta dal nuovo re Ferdinando II, contribuì a favorire la crescita del colosso metallurgico calabrese, tanto che, a metà degli anni Trenta, le Ferriere furono rafforzate con la costruzione di una nuova fonderia di prima fusione, la Ferdinandea. Una struttura di notevole interesse architettonico che, oltre ai locali per le lavorazioni, prevedeva alloggi per l’esercito e perfino appartamenti reali.
La fonderia della ferriera, da parte sua, aveva tre altiforni e poteva avvalersi di macchine a vapore Sofisticata fu anche la concezione della fabbrica d’armi, progettata e realizzata nell’ambito del complesso industriale, a metà secolo, da Domenico Savino.
All’ingresso aveva colonne di ghisa che, quasi come un ammiccamento pubblicitario, richiamavano l’attività produttiva.
All’interno, c’era anche una scuola per i figli degli operai. Nella fabbrica d’ armi gli occupati oscillarono tra le 100 e le 200 unità. In parte erano “filiati”, ovvero esentati dal servizio di leva, a condizione di restare legati allo stabilimento per almeno un decennio.
Il drastico ridimensionamento del gigante metallurgico arriva subito dopo l’unificazione del Paese. Passano infatti appena due anni, e la produzione si dimezza.
I motivi stanno soprattutto nell’improvviso abbattimento delle barriere doganali, nell’incremento delle imposte e néi pesanti tagli agli ordinativi per forniture militari e ferroviarie decisi dal nuovo Governo. Poco fondate sono invece le giustificazioni, pure addotte all’epoca, che riguardavano una presunta relativa qualità dei prodotti. Se così fosse stato, non si spiegherebbero i numerosi riconoscimenti assegnati all’opificio. Dalla medaglia con diploma attribuita in occasione dell’Esposizione industriale di Firenze del 1861, ai premi per prodotti delle ex Reali Ferriere, quali lame damascate, sciabole e carabine di precisione, disposti all’Esposizione internazionale di Londra del 1862.
La Mongiana e la Ferdinandea chiusero definitivamente i battenti poco dopo la cessione, nel 1873, a un privato, il deputato ex garibadin o Achille Fazzari.
La Mongiana e la Ferdinandea non esaurivano il patrimonio industriale della Calabria ottocentesca. La regione, anzi, costituiva, l’area più industrializzata del Regno dopo quella di Napoli – Caserta – Salerno. Sempre nella siderurgia, non si può non ricordare lo stabilimento di Cardinale, nel bosco di Razzona, impianto privato noto come la ferriera del principe di Satriano, avviato da Carlo Filangieri nel 1824 e che risulta attrezzato fin dal 1839 con ben nove fornelli di fusione. E da lì che, assieme alle Reali Ferriere di Mongiana, uscirono la gran parte dei componenti utilizzati per-la costruzione dei primi ponti sospesi in ferro d’Italia, sui fiumi Garigliano e Calore. Filangieri riuscì a far quadrare i conti della sua ferriera per molti anni, malgrado dovesse importare il ferro dall’isola d’Elba, non potendo utilizzare il minerale estratto dalle miniere statali di Pazzano. Un grosso aiuto gli venne dagli abili artigiani locali, maestri nella lavorazione del materiale.
L’opificio giunse così ad annoverare fino a 200 addetti. La fine fu decretata da un evento naturale, l’alluvione del 18: che recò danni irreparabili e strutturali.
Un’altra fonderia, che produceva spranghe di ferro, era localizzata a Fuscaldo, nella Calabria citeriore.
Accanto all’industria siderurgica figurava in primo luogo quella estrattiva. A Lungro per l’estrazione del sale, erano attivi all’epoca più di un migliaio di operai.
Più che notevole era la presenza dell’industria tessile, nel cui ambito operavano anche imprenditori stranieri. In particolare la Calabria citeriore era nota per la lavorazione della lana, le Serre e il Poro per quella della seta. Alla nascita dello Stato italiano, nel 1860, le imprese del settore disponevano complessivamente nella regione di circa 11 mila telai. Nella sola industria della seta operavano oltre tremila persone, con larga presenza femminile.
Sin dall’inizio dell’Ottocento, in Calabria si erano andate sviluppando, specie nell’area di Reggio e di Cosenza, imprese di distillazione da vino e frutta per produrre spirito. Un’attività il cui successo era testimoniato da una clientela vasta, spesso anche extraregionale, e che si è protratta, tra alterne vicende, fino alla seconda guerra mondiale.
Agli inizi del XV secolo si consolida in Calabria la coltivazione del gelso per il baco da seta (gelso bianco) che viene avviato per le particolari doti climatiche nelle aree di Bisignano, Catanzaro e Reggio Calabria. Nel 1589, si ha notizia di una produzione di circa 400.000 libbre a Catanzaro e Bisignano e di altre 100.000 libre a Reggio Calabria.
Una produzione formidabile per l’epoca pur se sottoposta a forti fenomeni di depauperamento a causa del contrabbando - sia della seta che dei bachi -, anche se le pene, per chi esercitava questa attività illecita, erano estremamente severe.
L’andamento di questa attività produttiva continua ad essere ottimale anche nel XVII secolo, quando la crisi colpisce molte aree dell’Italia per una generale carenza di innovazioni tecnologiche.
Paradossalmente questa carenza tecnologica incentiva tanto il contrabbando quanto la commercializzazione - quasi obbligata - dei semilavorati di seta e soprattutto dei bachi.
Al confine tra industria e artigianato, la Calabria riusciva anche ad assicurare ai mercati sia nazionali che esteri una produzione manifatturiera svariata, dai cappelli alla pelletteria, dai mobili ai saponi, all’oggettistica in metallo, fino ai fiori artificiali.
La coltivazione intensiva dell’ulivo, oltre a renderla la regione più produttiva di olio alimentare, le dava anche il primato nella produzione di olio lampante, che in un periodo in cui non esisteva l’illuminazione a gas o elettrica, e non essendo stati ancora messi a punto gli impieghi del petrolio minerale, costituiva la materia prima atta all’illuminazione e alla produzione di saponi.
La pianta della liquirizia di Calabria, è stata fonte di altra ricchezza per la gente del posto. Infatti la storia della sua trasformazione è molto antica ed è legata alle vicende del latifondo e delle famiglie feudatarie calabresi. Le sue radici, tanto lunghe che si diceva arrivassero all’inferno, pur contribuendo ad azotare il terreno, dovevano essere estirpate prima di procedere a qualsiasi coltura. La loro raccolta, in un’economia strettamente dipendente dall’agricoltura, consentiva di sfruttare il terreno nell’anno di riposo della rotazione, dando lavoro ai propri contadini nonché a gruppi di immigrati stagionali provenienti da zone ancor più depresse.
Nel 1500, quindi, si inizia a estrarre il succo di liquirizia e nel 1731, secondo la tradizione, l’attività si espanse e fu dato particolare impulso nel 1800 con il miglioramento dei trasporti marittimi e con i privilegi e le agevolazioni fiscali concesse dai Borbone a queste industrie tipiche.
Importanti sul piano locale erano anche le attività di estrazione oltre che della liquirizia quella del tannino dal castagno
Già nel XIV secolo risultano tracce di un agrume esclusivo del sud della Calabria Limon pusillus calaber. L’etimologia più verosimile è Begarmundi, cioè pero del signore in turco, per la sua similarità con la forma della pera bergamotta.
La prima piantagione intensiva di alberi di bergamotto (bergamotteto) fu opera nel 1750 Originariamente l’essenza veniva estratta dalla scorza per pressione manuale e fatta assorbire da spugne naturali (procedimento detto “a spugna”) collocate in dei recipienti appositi (detti concoline).
Nel 1844, si documenta la prima vera industrializzazione del processo di estrazione dell’olio essenziale dalla buccia grazie a una macchina di invenzione del reggino Nicola Barillà, denominata macchina calabrese che garantiva una resa elevata in tempi brevi, ma anche un’essenza di ottima qualità se paragonata a quella estratta a spugna.
Inoltre durante questo secondo periodo borbonico si registrarono in tutta la Calabria importanti cambiamenti. Prima di tutto c’era la quasi completa possibilità di esercitare gli usi civici che consentivano a larghe masse di contadini di utilizzare i vasti demani della Sila e del Marchesato. La popolazione aumentò notevolmente tra il 1801 ed il 1861, passando dai 750.000 a 1.140.000 abitanti. A Mongiana, nelle montagne delle Serre, come detto, funzionavano le Regie Ferriere con quasi duemila operai. Secondo alcuni, era il più importante polo siderurgico italiano, che subito dopo l’Unità venne completamente smantellato. Nel 1859, Ferdinando II moriva. Gli successe il giovane figlio Francesco II. Infuriava la seconda guerra di indipendenza e per il Regno delle Due Sicilie i tempi volgevano all’impossibile. Il giglio della dinastia era destinato ad appassire presto e con questo sarebbe appassita anche la Calabria.

venerdì 3 ottobre 2008

COME FAR SOLDI DALLA MORTE DI QUALCUNO


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giovedì 2 ottobre 2008

AGGIORNAMENTI DI POLITICA


Sul parlamento: «Bisogna velocizzare i tempi»
Berlusconi: «Nessun rischio di regime»
Il premier: «In Italia il capo del governo ha meno poteri rispetto ad altri colleghi europei»


Silvio Berlusconi (Reuters)
ROMA - Con l'aumento dei poteri del premier «non si rischia nessun regime autoritario o dittatoriale, come qualcuno paventa». Lo scandisce il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, in conferenza stampa a Palazzo Chigi, ribadendo che attualmente in Italia il premier non ha determinati poteri, «contrariamente ad altri colleghi europei», che operano «in una vera democrazia».

TELEVISIONE - Il premier aggiunge poi: «Non andremo più in tv a subire insulti. Abbiamo la libertà di non essere più insultati nel corso di trasmissioni condotte in maniera faziosa». In questo modo, dice Berlusconi, «la maggioranza potrà riacquistare dignità. Non dobbiamo più essere disponibili a partecipare a spettacoli in un clima di rissa».

PARLAMENTO - Berlusconi affronta poi il problema legato alla lentezza dei lavori del Parlamento. «I parlamentari sono un popolo di persone depresse - dice - a causa di tutto il tempo sprecato in aula per approvare le leggi«. Quindi, aggiunge, «bisogna fare di tutto» per velocizzare l'azione del Parlamento, a partire dalla modifica dei regolamenti delle Camere.

SCUOLA - Il premier parla anche della scuola: «Avremo meno insegnanti ma pagati meglio, adeguandoci in questo a ciò che accade in altri paesi dell'Europa» afferma. «Nessuno sarà cacciato» assicura però il presidente del Consiglio. «Il numero di 87mila in meno da qui a tre anni - spiega - sarà per effetto dei pensionamenti e del blocco del turn over».


02 ottobre 2008