GIOVANNA CANZANO INTERVISTA GIOVANNI LUBRANO DI SCORPANIELLO
Ogni tanto torna a galla il dramma delle Fosse Ardeatine, 24 marzo 1944. Adesso il particolare permesso di lavoro concesso all’ex ufficiale nazista Erik Priebke.
CANZANO - Come mai si parla sempre dell’eccidio delle Fosse Ardeatine e mai dell’attentato in via Rasella del giorno prima e che poi portò alla strage nelle cave di via Ardeatina?
LUBRANO – C’è un principio della fisica credo che reciti più o meno così: ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e/o contraria. I 335 martiri barbaramente giustiziati il 24.3.44 devono il loro triste destino all’inutile attentato che il giorno prima, organizzato da comunisti assassini, era costato la vita di 33 soldati del battaglione Bolzen Polizei che ogni giorno intorno alle ore 15.30 risalivano per via Rasella per tornare in caserma. I morti furono in realtà di più perché oltre al povero bimbo Piero Zuccheretti tagliato in due dall’esplosione ci furono almeno 5 vittime tra i civili e, altri soldati di quel battaglione morirono nei giorni successivi per le ferite riportate.
CANZANO – Da chi fu organizzato l’attentato di via Rasella?
LUBRANO – Quel tipo di crimine fu ispirato, organizzato e diretto politicamente da Giorgio Amendola, capo dei partigiani comunisti che si servì come manovalanza assassina di Rosario Bentivegna autore materiale dell’omicidio, di Franco Calamandrei e di tale Carla Capponi.
CANZANO – C’è un perché per via Rasella?
LUBRANO – No. Gli alleati allora impegnati sul fronte di Cassino dove trovarono molta difficoltà a superare gli uomini del generale Albert Kesterling sarebbero comunque arrivati a Roma (4 giugno ’44); gli stessi tedeschi stavano trattando con le varie formazioni partigiane operanti sul territorio romano per garantirsi una via d’uscita tranquilla. I comunisti del PCI pensavano che ci volesse un atto forte che avrebbe portato alla sollevazione della città di Roma contro i nazisti. La strage di via Rasella portò solo alla rappresaglia che costò la vita a 335 persone, barbaramente trucidate e all’allontanamento di Amendola da Roma a Milano.
CANZANO – Ma erano solo ebrei i trucidati nelle fosse Ardeatine?
LUBRANO – Su 335 vittime 75 erano ebrei, le persone più povere della comunità ebraica romana. Ma 68 dei trucidati facevano parte del più importante movimento partigiano comunista romano noto come “Bandiera Rossa”.
CANZANO – Comunisti che fanno uccidere i comunisti?
LUBRANO – Si, il PCI ufficiale era ancora allora super impegnato contro i seguaci di Trosky, in nome delle supreme direttive del compagno Stalin. I comunisti di “Bandiera Rossa” non riconoscevano assolutamente le pretese di egemonia del PCI sul movimento partigiano romano. Da qui ad essere additati come traditori troskisti il passo fu breve e, mani sapienti seppero bene inserire nella famosa lista dei giustiziandi i ragazzi di “Bandiera Rossa”.
DOMANDA – Però gli unici che ricordano i loro motivi sono solo i rappresentanti della comunità ebraica di Roma…
LUBRANO – Vero e giusto. Ai comunisti, e, pure ai socialisti, non conviene ricordare quei 68 ragazzi proprio perché per inserire quei nomi di partigiani di “Bandiera Rossa” nei famosi elenchi l’attentato di via Rasella cadeva come il cacio sui maccheroni. Capito il nesso? Per sua ulteriore informazione, Angelo Fochetti al cui nome è dedicata la strada romana dove oggi ha sede la redazione del quotidiano “La Repubblica” trucidato alle Fosse Ardeatine, era uno dei 68 compagni di “Bandiera Rossa”.
BIOGRAFIA Giovanni Lubrano di Scorpaniello (si firma Giovanni Lubrano) è giornalista professionista e storico. Laureato in Scienze Politiche (Università di Roma Luglio 1970) oltre alle centinaia di articoli-inchieste per l’AVANTI!, è stato capo redattore della Rivista Finsider e direttore di “Aciaio”, il mensile della federacciai aderente a Confindustria. Tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80 ha diretto, quale direttore responsabile, l’agenzia di stampa della corrente del PSI facente capo a Francesco De Martino. In tale corrente, “Riscossa e Unità Socialista” fu eletto membro di Comitato centrale dei Congressi Socialisti di Genova del 1972, Roma nel 1976 e Torino nel 1978. Nella seconda metà degli anni ’80 ha lavorato nell’ufficio stampa di Rino Formica, al ministero del Lavoro (87-89) e poi in quello delle finanze (89-92). Da tempo si occupa di Storia patria, politica e militare, non disdegnando qualche escursione in politica estera. Da segnalare i suoi articoli su Giacomo Matteotti e Bruno Buozzi pubblicati su l’Opinione; la serie di articoli (a puntate) sui mezzi di assalto della Marina da guerra ne secondo conflitto mondiale, l’articolo pubblicato quest’anno da il ‘Roma’; l’intera pagina, a sua firma, pubblicata dal quotidiano napoletano il 6 agosto 2005, in occasione del 60° anniversario del lancio della prima bomba atomica U.S.A. nella città giapponese di Hiroshima. E’ in corso la pubblicazione nella stessa testata partenopea (sono usciti i primi due articoli) sul modo in cui la D.C. si ‘liberò’ nel 1978, prima di Aldo Moro e poi di Giovanni Leone. Collabora con i siti internet nell’VAAR’ e di ‘NOGOD’; nel primo a giorni dovrebbe uscire una serie di interventi dedicati al 20 dicembre 1870. E’ Autore di diverse recensioni di libri. E’ commentatore della Repubblica dal 2 giugno 2003.
Il 24
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6 commenti:
Temo che questa sia solo una parte della verità. Tutta non verrà mai più a galla per centomila ragioni, non ultima ancora l'omertà.
La verità è largamente conosciuta, ma viene ad essere tenuta lontana dai media di massa e dalle parole dei politici. Dire ciò che è accaduto veramente in via Rasella prima, alle Fosse Ardeatine poi, equivarebbe ad innescare un processo di revisione di tutta la cosiddetta "resistenza", e di conseguenza della "Repubblica antifascista e democratica", nata dalla "resistenza" medesima. Perciò, questo non accadrà.
E' paragonabile, mutatis mutandis, alla presa della Bastiglia: ormai, il fatto è storicamente noto nella sua meschina realtà e demitologizzato, però continua ad essere solennemente celebrato dalla Francia intera.
Non si tratta più, in questi casi, di verità storica, bensì di mito politico o religione civica.
Saluti a tutti
Marco
Dunque Marco, devo concludere che il detto "Storia maestra di vita" è un bufala ? Che noi studiamo bugie o falsità e costruiamo su castelli con fondamenta inaffidabili ?
Torna presto a tenermi compagnia. Ciao
Cara Ambra, cerco di spiegare il mio modesto punto di vista, che poi non è certo solo il mio.
La storia certo dovrebbe essere magistra vitae, però lo studio della medesima è purtroppo soggetta, talvolta, ad errori ed a deformazioni. Fortunatamente, essi, prima o poi, vengono corretti, anche se certo la perfezione non è cosa di questo mondo: veritas est filia temporis.
Non voglio certo accusare gli storici di scrivere sempre e comunque falsità, ma soltanto ricordare che, talvolta, si hanno fenomeni di mistificazione ideologica e politica: eppure, vi sono anche gli anticorpi per opporsi a ciò.
Stammi bene
Marco
Caro Marco, non era un rimprovero per il tuo pensiero, anzi, era una constatazione amara sui "tempora et mores".
E' vero che si dice che la storia la scrivono i vincitori, ma quante volte i vincitori sono in buona fede ?
Gli onori si rendono solo quando fa comodo per essere esaltati dalla storia fasulla o, se vuoi, dalle mezze verità ?
Sono d'accordo con quanto afferma Marco.
Sono altresì convinta che mai si verrà a sapere la verità su quanto è successo, non solo in quegli anni terribili di vendette e omicidi, me anche dal dopo guerra ai giorni che stiamo vivendo.
Quanti traditori della Patria sono tuttora in auge?
Ad esempio: chi foraggiava e fomentava il terrorismo?
Su qualcosa è stata fatta un po' di luce ma quel poco di chiarore è stato coperto dalla campagna di disinformazione dei giornali di regime.
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