
di Vittorio Dell'Uva
HERAT (1° marzo) - Sotto di lei scorre il paesaggio lunare afgano con le gole, le valli, i contrafforti delle montagne e i villaggi color della terra che possono nascondere insidie. Siede, a un passo dal vuoto, sul portellone spalancato del Chinook 47, uno degli elicotteri del “task group” La Fenice; tra le mani stringe la mitragliatrice Mg 762 da ottocento colpi al minuto. Il vento le agita il codino biondo che fuoriesce del casco aprendo un piccolo varco alla femminilità nascosta dalla tuta di volo con le insegne alate del primo reggimento Antares. E' il caporale volontario Barbara Pittiglio, una ragazza di Cassino, prima donna mitragliere di bordo dell'Esercito italiano, impiegata in una zona operazioni dove molto labile può rivelarsi il confine tra l'impegno da peacekeeping e la guerra.
«Vorrei proprio non dover mai sparare», è la speranza che esprime a conclusione della sua missione di volo numero uno durante la quale sono stati testati i piccoli ordigni al fosforo destinati a ingannare, deviandone le traiettoria, i razzi nemici attirati dal calore. Le è stato assegnato un compito assai delicato, da «occhio del pilota». Con altri due colleghi deve scrutare, armi in pugno, il terreno segnalando anomalie o eventuali minacce. Oltre che un alto livello di attenzione le si chiede grande freddezza.
«Mai aprire il fuoco senza ordine», ha chiarito il tenente colonnello Antonio Del Gaudio che ad Herat guida i cento militari della «Fenice» chiamati a garantire le scorte ai convogli e i collegamenti con le basi remote degli italiani del contingente.
A ventisei anni, Barbara Pittiglio è approdata alla sua prima missione all'estero, della durata di due mesi, dopo aver inanellato primati nell'ambito dell'Esercito superando con lunghe falcate ogni corso cui aveva la possibilità di partecipare. Difficile sarà in futuro provare a tenerla in ufficio a sbrigare pratiche come le è accaduto per qualche tempo subito dopo l'arruolamento. «Non era quella la vita militare che volevo», dice per meglio spiegare che cosa l'abbia indotta a partecipare al corso per mitragliere svoltosi alla “Macao” di Ascoli dove ha spazzato via le scorie dello scetticismo imponendosi su 370 concorrenti. Il posto all'undicesimo gruppo di Viterbo, cui è stata assegnata, se lo è letteralmente conquistato al poligono di tiro, colpo dopo colpo. L'ipotesi di lasciare la divisa dopo i quattro anni di ferma predefinita nemmeno la sfiora. Non è guardando alla vita civile che sta per conseguire, presso l'università di Cassino, la laurea in Economia e commercio. «Mi manca un solo esame, ma una donna in armi può valere di più. Diciamo che è meno vulnerabile» azzarda pur evitando di avventurarsi in una compendiosa analisi della condizione femminile.
Le piace sostanzialmente competere in campi su cui pesa tradizionalmente l'opzione dei maschi. L'ha sempre affascinata l'idea della donna-soldato piuttosto che la divisa indossata dagli uomini. Anche nello sport l'hanno guidata le stesse linee guida. Ha giocato nel ruolo di portiere nella squadra di calcio femminile della Roma imponendosi, per partecipare agli allenamenti, tour de force da pendolare dello sport. Adesso è legata ad una società minore in Ciociaria. Superare gli ostacoli fa parte dello stile di vita. Ha dribblato la legittima preoccupazione della madre Maria Grazia che mai avrebbe immaginato che un giorno Barbara sarebbe finita, con una mitragliatrice tra le mani, sullo scenario afgano.
Non ha lasciato che nel campo affettivo la sua scelta fosse negoziabile con «qualcuno che non apprezza quello che fa». Ma non le mancano comunque, in famiglia, le sponde cui appoggiarsi. Guida la pattuglia dei fans, che include anche la sorella, il padre Casimiro «metodista» alla Fiat di Cassino. Da lui non è mai arrivata, ieri come oggi, una minima obiezione.
Nessun commento:
Posta un commento