venerdì 27 marzo 2009

MADRE TERRA - Tazenda

DEDICATO AI MIEI FIGLI

Ha la pelle di tambor

Abbiamo appena ricevuto un contatto con il numero di codice di Dago: stiamo facendo dei controlli.... però qualcosa mi dice che quel "sardegnolo" è vivo e vegeto....Dio come è bella l'Italia vista da un aereo.... vado a controllare....

Ha la pelle di tambor

lunedì 23 marzo 2009

IL SUICIDIO DEMOGRAFICO ITALIANO

Propongo qui alcuni dati concernenti quello che, con ogni probabilità, è il problema per eccellenza dell'Italia e dell'Europa tutta: il proprio suicidio demografico.
L'Italia è il Paese europeo con la più bassa percentuale di popolazione giovane: solo il 14,2% degli italiani (uno su sette) ha un'età uguale o inferiore a 14 anni. La media europea è del 16,4%. La situazione va peggiorando: tra il 1980 e il 2004 la popolazione italiana "under 14" si è ridotta del 37%.
L'Italia è il Paese europeo con la più alta percentuale di popolazione anziana: il 19,2% degli italiani (quasi uno su cinque) ha un'età uguale o superiore a 65 anni. La media europea è del 16,5%.
Il tasso di fertilità delle donne italiane è dell'1,34%. E' il più basso dell'Europa dei Quindici, dove in media ogni donna mette al mondo 1,5 figli. Il tasso di equilibrio (quello che consente di mantenere la popolazione su un livello stabile) è di 2,1 figli per donna.
L'Italia è il terzo Paese per numero di aborti dell'Europa dei Venticinque. Ogni anno, nel nostro Paese, sono commessi 133.000 aborti. Peggio di noi stanno solo la Francia, con 208.759 aborti ogni anno, e il Regno Unito, con 195.483 aborti.
Dopo il Portogallo, l'Italia è il Paese in cui il numero dei divorzi è più aumentato negli ultimi anni: +62% dal 1995 al 2004.
Dopo la Spagna, l'Italia è il Paese dell'Europa dei 15 che offre meno sostegno alle famiglie. Nonostante l'altissima spesa destinata al welfare, solo l'1% del prodotto interno lordo italiano è usato per aiutare le famiglie. In media, i Paesi europei spendono per la famiglia il 2,1% del loro Pil. Oltre il doppio dell'Italia, quindi.
In Europa, oggi per la prima volta, esistono più abitanti d'età superiore ai 65 anni (il 16,5% della popolazione) che inferiore ai 14 (il 16,4% della popolazione).
Oggi la popolazione europea conta circa 160 milioni di persone in più rispetto agli Stati Uniti. Visto il declino demografico del vecchio (in tutti i sensi) continente, e vista la crescita della popolazione americana, nel 2051 la popolazione degli Stati Uniti avrà sorpassato quella europea.
Tutto ciò diviene ancora più preoccupante, se si tiene conto di come l'Occidente in senso stretto comprenda circa il 5% della popolazione mondiale, e che in Africa e nell'Islam si registra un galoppo demografico sfrenato.

E' inutile tentare di nascondere la tragedia in atto: il popolo italiano si sta estinguendo.
Considerando i tempi necessariamente lunghi degli eventi demografici, se non vi sarà un rapido ed intenso incremento di nascite entro pochi anni, difficilmente l'Italia potrà sfuggire alla morte per estinzione degli abitanti. La nostra Patria verrà occupata da stranieri.
Il problema è quindi in qual modo salvarsi da tale prospettiva.

domenica 22 marzo 2009

giovedì 12 marzo 2009

Il caso Abu Omar e le sue implicazioni.

Approfitto del blog per dare alcune informazioni sulla catastrofe che il caso abu Omar ha innescato.
In qualsiasi paese civile la sicurezza è affidata oltre che alla Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza, ad elementi, provenienti da queste istituzioni, che posso agire, anche in contrasto con alcune leggi. Il caso Abu Omar è simbolico: stante l'acclarato coinvolgimento dell'imam con il terrorismo islamico, l'impotenza delle leggi Italiane ha fatto scattare un rapimento. In accordo il servizio informazioni statunitense, quello inglese, la Nato, e alcuni vertici del FSB russo. Il soggetto veniva trasportato in appositi siti per essere interrogato. Vi assicuro che le informazioni "spontaneamente" fornite, sono stae molto utili. Ma, purtroppo, qualche giudice, si è sentito sopra, la ragion di stato, ed è intervenuto, fornendoe inquisendo personaggi in vista. Ora, noi periamo su vari fronti: le due suore liberate, sono state uno dei nostri incarichi, ma, come nel caso Sgrena, la credibilità nostra è stata molto ridimensionata. Ma i giudici, non sanno che, con simili gesti, condannano a morte molte persone a noi collegate.
Ora leggendo la notizia della Cassazione, spero che i compiti siano stati chiariti.
Assicurando che un forte organo di controllo assicura la professionalità e l'affidabilità dei miei, opss, nostri agenti alla Costituzione, mi augurerei di poter lavorare in Italia nella più assoluta anonimità.
Chiedo un favore alla Mamma: se potrebbe fare un post con tutte le informazioni disponibili sul caso Abu Omar. Io, dove possibile, chiarirò alcuni aspetti.

mercoledì 11 marzo 2009

CHIESE PISANE (click)


CHIESA DI SANTO STEFANO - PIAZZA DEI CAVALIERI

Una chiesa "No Islam"




Haendel: Hallelujah
Ogni tanto, specie per le feste comandate, come si suol dire, mia moglie ha piacere che l’accompagni alla Messa. La domenica delle Palme è una di queste, l’olivo benedetto ed un clima festoso e primaverile, tutto sommato, si possono anche accettare. Se Enrico IV disse:Paris vaut bien une messe, parafrasando, posso dire: un grand amour vaut bien une messe.
Pongo una sola condizione: scegliere la chiesa. Immancabilmente la mia preferenza cade sulla chiesa pisana di S.Stefano, forse l’unica chiesa sicuramente “no islam” d’Italia.

Non tutti sanno che, alla battaglia di Lepanto del 1571,nella Lega Santa (*) insieme alle altre flotte erano presenti dodici galee toscane(**), di cui la maggior parte erano armate dal Sacro Militare Ordine Marittimo dei Cavalieri di S. Stefano (ordine istituito da Cosimo I de' Medici il I° Ottobre 1561 con sede in questa chiesa a Pisa).

cav1 Progettata dal Vasari la cinquecentesca navata centrale, la più antica, è semplicemente splendida, specialmente il soffitto, dove quadri di autori fiorentini del ‘600, sono incastonati in una cornice finemente lavorata e ricoperta d’oro, che occupa tutta la parte superiore della chiesa. I trofei, le bandiere e le insegne appartenuti alla flotta turca di Alì Pascià e conquistati nella battaglia, ornano le pareti laterali, mentre la porta di ingresso è contornata da parti lignee scolpite di navi dell’epoca. Una grande statua di S. Pio V, per il cui volere si costituì la Lega Santa, sovrasta l’altare maggiore.
Siamo sicuramente nella chiesa del cattolicesimo più classico, nessun “sinistro” strimpellio di chitarre, come in certe chiese del cattolicesimo fai da te, ma il suono grave e solenne dell’organo, le cui canne, anch’esse incastonate, come i quadri del soffitto, fanno bella mostra di sé ai lati dell’altare. Non seguivo molto le parole del priore, anche perché la liturgia pasquale mi è ben nota, ma l’atmosfera di questa chiesa mi induceva ad un salto indietro nel tempo: Lepanto 1571. Non possiamo che ringraziare il comandante della spedizione don Giovanni d’Austria, all’epoca giovane ed inesperto, ma abbastanza intelligente da seguire le indicazioni dell’ammiraglio veneziano Venier, che scelse il momento giusto per l’attacco ed a lui va attribuito il merito della vittoria.

Una grande battaglia per la Civiltà, per la nostra Civiltà.

Non credo che oggi saremo altrettanto eroici da respingere le barbarie dell’islam, anche perché molti europei, con la vigliacca scusa della tolleranza, hanno issato bandiera bianca.


cliccare 2 volte col sx sull'immagine per ingrandirla

(*)Il 20 maggio 1571 venne formata la Lega Santa contro i Turchi. Vi aderirono il regno di Spagna, la repubblica di Venezia, lo Stato Pontificio, le repubbliche di Genova e di Lucca, i Cavalieri di Malta, i Farnese di Parma, i Gonzaga di Mantova, gli Estensi di Ferrara, i Della Rovere di Urbino, il duca di Savoia, il granduca di Toscana con l’ordine dei cavalieri di S. Stefano. La Lega era stata fermamente voluta da Pio V per contrastare l’avanzata islamica in Europa.
(**)Per la precisione 12 galee con insegne pontificie noleggiate presso Cosimo de' Medici montate da Cavalieri di Santo Stefano e soldati delle Marche e delle Romagne.

domenica 8 marzo 2009

8 MARZO , LE MIMOSE NON BASTANO (click)


A HERAT i militari italiani, su iniziativa del tenente Paola Treglia, hanno donato materiale umanitario alle donne afgane

venerdì 6 marzo 2009

Il terrore dopo 60 anni

Il Terrore dopo 60 anni - "Voglio testimoniare perché c’ero" di Andrea Pellarini

Voglio testimoniare perché c’ero.
Voglio testimoniare perché sono figlio di esuli Istriani che hanno perso tutto, senza alcuna colpa se non quella di amare l’Italia.
Posso testimoniare perché ho sempre rispettato gli Sloveni e la loro minoranza presente in Italia.
Posso testimoniare perché ho sempre rispettato chi è morto per un ideale anche se diverso dal mio.

Amara tristezza è il sentimento che da sabato 28 febbraio 2009 accompagna i miei pensieri.
Rivivo la ritrosia dei miei “vecchi” nel ricordare quanto accaduto alla fine della guerra.
Preferivano sempre raccontarmi dei loro giochi, gli scherzi e di quanto bella e libera fosse stata l’infanzia l’adolescenza e la maturità vissuta in Istria.
Le mie insistenze per saperne di più cozzavano, contro la loro volontà di rimuovere un passato che aveva provocato ferite profonde che non si sarebbero mai rimarginate.
Forse proprio i loro silenzi e la loro profonda tristezza è riuscita a farmi tanto amare le mie radici e le terre perdute, loro Patria.
I terribili fatti di sabato scorso riportano l’orologio della storia indietro di oltre mezzo secolo.
Ho potuto leggere il terrore negli occhi di tanti esuli ottantenni nel rivivere i giorni della mattanza titina e della pulizia etnica protrattasi negli anni.
Quei simboli, quelle grida oltraggiose, gli insulti, gli sputi alle spalle, i bastoni, le facce rubizze piene di odio, gli spintoni, gli slogan urlati al megafono….. realtà, incubo o il set di un film?
Tutto questo alla faccia dei settant’anni di autocritica Italiana sulle colpe del fascismo e sul male assoluto.
Oggi la Slovenia è in Europa.
Il Trattato di Osimo, per me sciagurato, ha messo la pietra tombale su qualsiasi tipo di rivendicazione. La minoranza Slovena in Italia è forse la più tutelata e finanziata del mondo.
Per contro la minoranza Italiana in Slovenia a malapena sopravvive.
Quasi 10.000 km quadrati di terre Italiane sono state cedute.
Decine di migliaia di persone innocenti sono state barbaramente torturate, infoibate, annegate o giustiziate.
Per 60 anni tutti questi morti e le sofferenze di quelli cacciati dalle proprie case sono rimaste nelle penne di chi ha scritto una storia a senso unico.
Ancora oggi esiste una sorta di censura di negazionismo e di intimidazione verso chi da una parte e dall’altra del confine cerca la verità.

Debbo ricordare i 100.000 Istriani Fiumani e Dalmati cacciati dalle loro terre ed accolti a Trieste.
Debbo ricordare i 250.000 Istriani Fiumani e Dalmati cacciati dalle loro terre e sparpagliati nel resto d’Italia e del mondo.
Grido la mia rabbia contro gli Italiani che, nelle stazioni attraversate dai vagoni carichi di esuli terrorizzati e smarriti, inveivano contro i propri fratelli.
Grido la mia rabbia contro chi a fine guerra ha eliminato centinaia di migliaia di Sloveni, Croati, Bosniaci, Montenegrini e Serbi perché non comunisti.
Grido la mia rabbia contro chi in seguito ad un cambio di strategia politica pianificava e perpetrava in Dalmazia sull’Isola Calva ( Goli Otok ) il massacro di migliaia di comunisti Italiani che avevano creduto in Tito e nel suo comunismo.
La nuova dottrina di comodo. Non allinearti e prendi tutto

Anche tutto questo è male assoluto.

Non ci sono già stati morti a sufficienza ?.
Non c’è stato già abbastanza odio e dolore da una parte e dall’altra del confine.
Non basta che la Slovenia sia il più grande cimitero dei senza nome in Europa.

La manifestazione anti Italiana di sabato scorso è un fatto inqualificabile.
Si tratta di un’ azione che ha avuto sicuramente una regia ed è stato resa possibile dalla tolleranza delle autorità e delle istituzioni Slovene.
Chi ha vestito quei bambini da partigiani titini?
Chi ha consigliato di portare bastoni e sbarre di ferro.
Chi ha sfregiato il tricolore con quel simbolo che per i Giuliani e per gli esuli significa terrore morte e sofferenza.
Chi ha coordinato, organizzato e fomentato quell’accozzaglia di “avvinazzati pseudo partigiani titini comparsa” istigandoli allo scontro fisico contro pericolose settantenni o claudicanti ottantenni.

Queste domande devono trovare una puntuale risposta sia dalla politica che dalle forze di polizia Italiane e Slovene.

Mi appello al Sindaco e a tutto il Consiglio Comunale affinché ognuno di noi condanni e si attivi secondo la propria coscienza per far si che episodi simili, non siano più possibili.

Andrea Pellarini Socio Lega Nazionale e Consigliere Comunale A.N. Comune di Trieste
intervento al Consiglio Comunale di Trieste in data 2.3.2009 a seguito dei fatti accaduti presso la foiba di Corgnale sabato 28.2.2009

L'ultima offesa ai nostri morti. (click su foto)


















Fotocronaca parte seconda

http://www.unioneistriani.it/3t-data/files/1041.pdf

Fotocronaca parte terza

http://www.unioneistriani.it/3t-data/files/1040.pdf

L'ultima offesa ai nostri morti.

Corgnale di Divaccia, 28 febbraio 2009
Folto gruppo di sloveni avvinazzati, muniti di bastoni, punte di ferro e in
divisa partigiana, con l’avvallo della Polizia locale e con l’appoggio di
esponenti della minoranza slovena di Trieste impediscono agli esuli la
deposizione di fiori alla foiba di Golobivnica, nonostante le
autorizzazioni.
Fotocronaca – parte I

http://www.unioneistriani.it/3t-data/files/1042.pdf

giovedì 5 marzo 2009

Inno dei Lupi di Toscana

Quando Marcello riuscirà a postare la sua magica striscetta, questo potrà essere annullato

L'ultimo silenzio per i "Lupi di Toscana"

Inno dei "Lupi di Toscana"











Premessa
L'anno scorso, quasi di questi tempi, scrissi questo piccolo post per mio ricordo e senza pretese letterarie. Ha avuto un successo impensabile più di 600 visite nei primi 2 giorni, tanto che decidemmo con l'Associazione Lupi di Toscana di Firenze di aprire un apposito blog, dopo neanche un anno le visite al blog, che nel frattempo è stato arricchito con foto, filmati e articoli, hanno superato la cifra di 22.000, che visto la particolarità dell'argomento, mi sembra un buon risultato. Aldilà dei numeri quello che più è commovente vedere quanti "lupi" sono intervenuti e quanti mi hanno mandato foto e filmati da pubblicare. Pensate che la stragrande maggioranza sono ragazzi di leva.........tutti uniti nel ricordo e nell'orgoglio di essere stati nei "Lupi di Toscana".
http://78lupiditoscana.wordpress.com/


Dopo 146 anni di storia il glorioso 78° Reggimento “Lupi di Toscana”verrà sciolto.
Il 31/03/08 Verrà sancita la fine operativa del reggimento.
Uno dei più gloriosi dell’Esercito italiano con la Bandiera decorata con l’ordine militare d’ Italia, una medaglia d’oro, due medaglie d’ argento al valor militare, una medaglia d’argento al valor civile, due attestati di pubblica benemerenza al valor civile e decine di medaglie al valore per imprese eroiche di singoli fanti. Nel novembre 1916 in località Veliki- Faiti il reggimento si coprì di gloria e viene decorato con medaglia d’oro. Nella motivazione della medaglia si legge:” il nemico, sbigottito dall’eroismo dei fanti del 78° gridò “ Ma questi non sono uomini, sono lupi “.






Da allora i soldati del 78° reggimento, ai miei tempi di stanza a Firenze e Livorno, portano sul petto a sinistra, un distintivo dorato con due teste di lupo.E’ il reggimento nel quale ho adempiuto all’obbligo militare, come sottotenente, al comando di un plotone di assaltatori.

In memoria di tutti i caduti verrà suonato per l’ultima volta il silenzio.

Reggimento presentat’arm!!!
“LUPI”

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Il monumento, della foto, per ora, si trova nella caserma Gonzaga di Firenze.E' in atto un lungo braccio di ferro con l'ufficio storico dell'esercito, per metterlo in una piazza di Firenze, già individuata dal comune che è d'accordo, ma a Roma, more solito, mettono i bastoni tra le ruote, e lo vogliono disperdere in qualche magazzino, come hanno già fatto con gli altri cimeli per i quali, noi avendo trovato dei locali adatti, avevamo proposto un museo a Firenze. Non c'è stato niente da fare.
Il distintivo, rappresentato nella foto, è quello originale, che portava anche d'Annunzio, con tanto di nodo Savoia. Inutile dire che con l'avvento della repubblica il nodo Savoia fu tolto.

domenica 1 marzo 2009

La battaglia di Capo Teulada

                     Inno del S.Marco                                  Silenzio fuori ordinanza






                          Non ho la pretesa storica di ricostruire la battaglia, ma semplicemente di mostrare delle fotografia dell’epoca, la maggior parte scattate dalla nave Trieste su cui era imbarcato mio padre.     Pertanto solo pochi cenni sullo svolgimento dei fatti, sulla storia della nave e sulle sue caratteristiche di armamento.


              L’incrociatore  Trieste faceva parte della classe Trento della Regia Marina. 


 


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              Nell’agosto 1933 insieme agli incrociatori Trento e Bolzano formò la III Divisione Navale.


             Durante la seconda guerra mondiale prese parte a molte delle principali azioni navali, come la battaglia di Punta Stilo del (9 luglio 1940), primo scontro tra la Regia Marina e la Royal Navy, la battaglia di Capo Teulada (27 novembre 1940), successiva alla notte di Taranto dell’11 - 12 novembre 1940 in cui la gemella Trento venne seriamente danneggiata e la battaglia di Capo Matapan (27 - 28 marzo 1941). 


Cenni sulla battaglia di Capo Teulada.


Le navi da guerra britanniche avevano cinque cannoni da 381mm in più degli italiani che, d’altra parte, potevano contare sui 320mm della Cesare. Agli incrociatori italiani, la maggior parte di essi erano considerati pesanti, gli inglesi contrapponevano principalmente incrociatori leggeri (uno era pesante), ma potevano contare sugli aerei dell’Ark Royal.(portaerei) 


         L’unico fattore che avrebbe potuto rompere l’equilibrio  tra le due flotte sarebbe stata la Regia Aeronautica, ma essa non partecipò.


    Gli italiani avevano un vantaggio balistico; i loro cannoni potevano essere usati ad una distanza di 30,000 metri mentre i britannici erano limitati a 24-26,000 metri. Il peso dei proietti italiani da 381mmm era 880 Kg simile agli 800 Kg usati dagli inglesi.


     Va notato che, come più tardi descritto dall’Ammiraglio Iachino,  gli incrociatori britannici non concentrarono il fuoco su un solo obiettivo (azione combinata). A detta di Sommerville, questo problema fu causato dalla mancanza di addestramento tra le varie unità.  


     Gli inglesi avevano l’incredibile vantaggio dell’Ark Royal. Conoscendo il risultato dello scontro vengono molti dubbi circa il vero valore di questo fattore che, al momento dell’azione, era comunque enorme


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 (La bandiera di combattimento viene portata in plancia) 


La scacchiera era pronta e Campioni prese una decisione critica; non impegnarsi. Prima di lasciare Napoli, l’ammiraglio aveva ricevuto ordini precisi: era autorizzato a dar battaglia solamente se le condizioni fossero state particolarmente favorevoli. Le corazzate assegnate al suo gruppo da battaglia erano le uniche disponibili per servizio; il rischio era troppo alto. Alle 12.07 Campioni ordinò agli incrociatori di cambiare rotta e convergere verso le corazzate. L’ordine era troppo tardivo per l’Amm. Iachino che stava già manovrando per impegnare il nemico. Durante questa fase, mentre il comandante britannico in mare era libero di organizzare le sue proprie forze, Campioni febbrilmente comunicava  via radio con Roma richiedendo istruzioni. La differenza organizzativa tra le due marine militari era più che evidente. 


 


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 Questo scambio di comunicazioni diventò terreno fertile per varie interpretazioni. Alcuni storici, fra loro il rispettassimo Amm. Fioravanzo, citarono le comunicazioni come prova dell’intenzione di Supermarina di impegnare il nemico Invece,  Francesco Mattesini scrive: mentre Roma pensò che Campioni stava tentando di evitare combattimento, Iachino già stava scambiando bordate


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 Alle 12.22, l’Amm. Matteucci a bordo dell’incrociatore Fiume aprì fuoco contro la flotta nemica. Subito dopo, tutti gli incrociatori della IIa  Squadra  aprirono il fuoco rapido usando proietti esplosivi. Secondo i resoconti italiani, il fuoco fu aperto  approssimativamente a 23.500 metri; poi la distanza tra le due formazioni diminuì a 22.000 e, più tardi, a 14.000. 


Il Pola ed il Fiume concentrarono il fuoco principalmente all’incrociatore pesante Berwick. Questi, il Manchester, lo Sheffield ed il Newcastle concentrarono il fuoco sugli incrociatori della III Divisione, mentre il Southampton concentrò sulla I divisione. Alle 12.24, la Renown entrò nel vivo della battaglia aprendo il fuoco contro il Trento ad una distanza di approssimativamente 23,800 metri; sei salve sommersero completamente l’incrociatore italiano che, illeso, fece fumo e comincio una manovra evasiva. Va notato che a causa di errori di comunicazione il Trento e non il capodivisione Trieste stava conducendo la formazione, la velocità era di 25 nodi e parte della scorta era in ritardo a causa di una avaria temporanea a bordo del cacciatorpediniere Lanciere. 


La Ramillies aprì fuoco alle 12.26, ma subito dopo era fuori portata. La Renown era l’unica corazzata rimasta  e concentrò il fuoco soprattutto sul Bolzano. Alle 12:30 Iachino ricevette ordini di non impegnare! L’ammiraglio ordinò l’aumento della velocità a 30 nodi mentre le corazzate italiane si avvicinavano sempre di più. Questi cinque minuti erano i più pericolosi per le forze italiane; le salve britanniche stavano diventando sempre più pericolosamente vicine e la manovra evasiva aveva lasciato gli incrociatori allo scoperto. Ancora una volta, la differenza tra le artiglierie italiane e britannica fu molto evidente: la telemetria italiana era superiore ma le salve disperse, mentre le salve britanniche erano raggruppate, ma spesso lunghe o corte.


Durante questa fase, il Lanciere fu colpito varie volte. La nave fu letteralmente devastata da molti colpi a segno, ma fu in grado di riaccendere una caldaia e continuare a muoversi; più tardi un’altra unità la portò a rimorchio fino alla base. Gli altri cacciatorpediniere lanciarono una cortina fumogena che costrinse la nave all’attacco (il Manchester), a cambiare obiettivo ripuntando i suoi cannoni sulle Zara.


 


La situazione era critica; Iachino stava impegnando il nemico, ma presto i cannoni della Renown avrebbero potuto rapidamente rompere l’equilibrio. Fortunatamente, intorno alle 13.00 la Vittorio Veneto era entrata nel raggio di portata. La corazzata sparò 19 colpi in sette salve. Appena gli incrociatori britannici (18 Div) comprese che i 381 mm della Veneto era entrati in azione, si allontanarono rapidamente cerando la protezione della Renown. A questo punto Sommerville e Campioni decisero entrambi di rompere il contatto, Campioni in virtù  della sua rotta divergente, mentre Sommerville cambiò rotta.  


In tutto,  la battaglia era durata 54 minuti; l’incrociatore della 2 Sq. avevano sparato 666 colpi, il Pola 118, il Gorizia 123, il Fiume 218, il Trieste 96, il Bolzano 26, il Trento 92. Per la maggior parte dello scontro le unità italiane erano state in minoranza tattica e numerica


Alle 12:22 l’incrociatore pesante Berwick fu colpito da un proietto da 203mm sparato dagli incrociatori italiani. La torretta Y (poppiera superiore) fu colpita, sette uomini uccisi e l’arma distrutta. Il comandante, C.V. Guy il Warren di L., continuò il combattimento indisturbato. Alle 12.35, il Berwick ricevette, un altro colpo, questa volta nel quadrato ufficiali, ma non ci furono vittime. I due colpi non diminuirono l’efficienza bellica e lo spirito combattivo del Berwick.


(le foto sono di proprietà dell'autore, la descrizione della battaglia dal sito   http://www.regiamarina.net/battles/teulada/teulada_it.htm)


 


Caratteristiche


Classe Trento cantiere Stabilimento Tecnico Triestino.


Varato 24/10/1926 entrato in servizio 03/04/29


Tipo incrociatore pesante  dislocamento 13.145 tons.


Lunghezza 196,6 mt.  Larghezza 20,6 mt.Potenza 150.000 CV velocità massima 35 nodi  (63 km/h)


Equipaggio 723 uomini  Artiglieria: cannoni  4 torri binate da 203/50,  8 torri binate da 100/47,  20 mitragliatrici,  8 tubo lancio siluri Corrazzatura da 50 a 100 mm. 1 catapulta e 3 idrovolanti


              L’incrociatore Trieste affondò dopo essere stato colpito nel corso di un bombardamento aereo americano sull’isola della Maddalena il 10 aprile 1943, insieme all’incrociatore Gorizia che, pur colpito, subì però solo gravi danneggiamenti.

INTANTO SONO QUESTI I NOSTRI SOLDATI (click)


di Vittorio Dell'Uva
HERAT (1° marzo) - Sotto di lei scorre il paesaggio lunare afgano con le gole, le valli, i contrafforti delle montagne e i villaggi color della terra che possono nascondere insidie. Siede, a un passo dal vuoto, sul portellone spalancato del Chinook 47, uno degli elicotteri del “task group” La Fenice; tra le mani stringe la mitragliatrice Mg 762 da ottocento colpi al minuto. Il vento le agita il codino biondo che fuoriesce del casco aprendo un piccolo varco alla femminilità nascosta dalla tuta di volo con le insegne alate del primo reggimento Antares. E' il caporale volontario Barbara Pittiglio, una ragazza di Cassino, prima donna mitragliere di bordo dell'Esercito italiano, impiegata in una zona operazioni dove molto labile può rivelarsi il confine tra l'impegno da peacekeeping e la guerra.

«Vorrei proprio non dover mai sparare», è la speranza che esprime a conclusione della sua missione di volo numero uno durante la quale sono stati testati i piccoli ordigni al fosforo destinati a ingannare, deviandone le traiettoria, i razzi nemici attirati dal calore. Le è stato assegnato un compito assai delicato, da «occhio del pilota». Con altri due colleghi deve scrutare, armi in pugno, il terreno segnalando anomalie o eventuali minacce. Oltre che un alto livello di attenzione le si chiede grande freddezza.

«Mai aprire il fuoco senza ordine», ha chiarito il tenente colonnello Antonio Del Gaudio che ad Herat guida i cento militari della «Fenice» chiamati a garantire le scorte ai convogli e i collegamenti con le basi remote degli italiani del contingente.

A ventisei anni, Barbara Pittiglio è approdata alla sua prima missione all'estero, della durata di due mesi, dopo aver inanellato primati nell'ambito dell'Esercito superando con lunghe falcate ogni corso cui aveva la possibilità di partecipare. Difficile sarà in futuro provare a tenerla in ufficio a sbrigare pratiche come le è accaduto per qualche tempo subito dopo l'arruolamento. «Non era quella la vita militare che volevo», dice per meglio spiegare che cosa l'abbia indotta a partecipare al corso per mitragliere svoltosi alla “Macao” di Ascoli dove ha spazzato via le scorie dello scetticismo imponendosi su 370 concorrenti. Il posto all'undicesimo gruppo di Viterbo, cui è stata assegnata, se lo è letteralmente conquistato al poligono di tiro, colpo dopo colpo. L'ipotesi di lasciare la divisa dopo i quattro anni di ferma predefinita nemmeno la sfiora. Non è guardando alla vita civile che sta per conseguire, presso l'università di Cassino, la laurea in Economia e commercio. «Mi manca un solo esame, ma una donna in armi può valere di più. Diciamo che è meno vulnerabile» azzarda pur evitando di avventurarsi in una compendiosa analisi della condizione femminile.

Le piace sostanzialmente competere in campi su cui pesa tradizionalmente l'opzione dei maschi. L'ha sempre affascinata l'idea della donna-soldato piuttosto che la divisa indossata dagli uomini. Anche nello sport l'hanno guidata le stesse linee guida. Ha giocato nel ruolo di portiere nella squadra di calcio femminile della Roma imponendosi, per partecipare agli allenamenti, tour de force da pendolare dello sport. Adesso è legata ad una società minore in Ciociaria. Superare gli ostacoli fa parte dello stile di vita. Ha dribblato la legittima preoccupazione della madre Maria Grazia che mai avrebbe immaginato che un giorno Barbara sarebbe finita, con una mitragliatrice tra le mani, sullo scenario afgano.

Non ha lasciato che nel campo affettivo la sua scelta fosse negoziabile con «qualcuno che non apprezza quello che fa». Ma non le mancano comunque, in famiglia, le sponde cui appoggiarsi. Guida la pattuglia dei fans, che include anche la sorella, il padre Casimiro «metodista» alla Fiat di Cassino. Da lui non è mai arrivata, ieri come oggi, una minima obiezione.