martedì 8 giugno 2010

L'italiano: il latino moderno

La lingua italiana può ben dirsi latino moderno, poiché i rapporti che la legano all’idioma dei Romani sono ben più numerosi e forti della semplice derivazione da quest’ultimo della maggior parte dei lemmi italiani deriva da quelli della lingua latina, che pure è già di per sé sufficiente a qualificare l’italiano quale neo-latino o romanzo.
Le regole grammaticali della lingua italiana furono fissate molto presto, già nel Rinascimento, e furono degli umanisti a farlo. Costoro modellarono consapevolmente la sintassi italiana su quella della lingua latina, che avevano assunto a paradigma esemplare. Figura centrale fu quella di Pietro Bembo, buon scrittore in italiano ma grande latinista.
Si possono portare molti esempi delle conseguenze di tale scelta. La struttura della frase è molto più breve in inglese che in italiano, lingua in cui sono frequenti periodi di notevole complessità sintattica raggiunti attraverso la coordinazione e la subordinazione. Tale impianto deriva direttamente dalla lingua latina e per la precisione dalla concinnitas, assunta quale modello dagli umanisti rinascimentali e ben differente dal fraseggiare prevalentemente mono-proposizionale di altri idiomi.
Non si può neppure sostenere l’idea di una radicale diversità sintattica fra latino ed italiano dovuta all’assenza dei casi in quest’ultimo. In realtà, il latino era, come tutte le altre lingue analoghe, diversificato al suo interno in determinate varianti: il latino letterario, il latino quotidiano, il latino giuridico, il latino volgare (sermo vulgaris), il rustico (sermo rusticus), il militare (sermo castrensis) ecc. È ciò che avviene anche nell’italiano contemporaneo, od in altre lingue, con una differenziazione di linguaggi a seconda dell’ambiente sociale, dell’educazione, del contesto. Il latino incomparabilmente meglio conosciuto è, per ovvie ragioni, quello letterario, che ha lasciato come testimonianza di sé una grande letteratura folta di nomi illustri, mentre gli altri sono pochissimo noti, tramite le poche attestazioni presenti in testi letterari, nonché epigrafi di varia provenienza.
Tuttavia, è assodato come nel latino rustico ed in parte in quello quotidiano i casi fossero adoperati con molta flessibilità, od addirittura tralasciati. Il latino orale frequentemente ometteva le desinenze finali ed attribuiva il valore grammaticale ai vocaboli su base posizionale. Un discorso analogo si può compiere per l’uso dell’articolo, assente nel latino letterario, ma presente di fatto in quello quotidiano o rustico (unus quale articolo indeterminativo è impiegato addirittura nelle Metamorfosi del raffinatissimo poeta Ovidio).
L’italiano nella sua costruzione ha attinto da tutte le varie forme di latino esistenti, seppure con diversa intensità. Alcuni suoi lemmi o date strutture sintattiche derivano dal latino letterario, altre invece dal latino quotidiano, rustico, volgare, giuridico, militare ecc. Ad esempio, l’aggettivo “equino” discende dal letterario equus, mentre il sostantivo “cavallo” deriva da caballus, del sermo rusticus, e “palafreno” da palafrenus, del sermo castrensis.
La grammatica italiana è quindi molto simile a quella latina, sia per il tramite della sua rielaborazione teorica e letteraria modellata sull’esempio dei classici antichi, sia attraverso la sua derivazione dalle varie forme di sermones antichi diversi da quello illustris.
Un altro aspetto dell’italiano derivante dal latino è il suo vocalismo, nonché la ricerca dell’eufonia: questo è anzi di derivazione letteraria. Oggigiorno esiste la prassi di leggere mentalmente, la cosiddetta lettura silenziosa o mentale, mentre, almeno sino al secolo XIV incluso, l’abitudine era quella di leggere ad alta voce. Questo comportava la ricerca da parte degli scrittori, in poesia ed in prosa, di specifici effetti vocali. Il brano non doveva soltanto rispondere a criteri di bellezza estetica quali oggigiorno si è abituati a valutare in un testo scritto, ma essere letteralmente musicale. Infatti, sia nel mondo antico, sia in quello medievale e rinascimentale, le pubbliche letture di poeti erano, spesso, accompagnate dal suono soffuso di strumenti musicali.
È nota la musicalità sonora attribuita alla lingua italiana, la quale ha le sue radici nella sua natura precipuamente letteraria. I poeti o scrittori italiani, almeno sino ad una certa epoca (XVII secolo) s’ispiravano anche in questo ai modelli della latinità, anzitutto Virgilio e Cicerone, e pertanto selezionavano i lemmi, li modificavano o li combinavano, al fine d’ottenere un linguaggio gradevole all’udito ovvero musicale. Può essere utile per valutare l’importanza di tale operazione riportare un semplice esempio: il grande Monteverdi, fra i padri della lirica, trasse ispirazione nella formazione di questo “nuovo” genere canoro dai testi di Torquato Tasso e dalla loro peculiare cadenza ed espressività. Gli esempi riguardanti il rapporto fra poesia e musica italiane nei secoli passati, specie nel periodo compreso fra il Petrarca ed il Metastasio, potrebbero facilmente moltiplicarsi ad libitum, tanto che il petrarchismo letterario è stato spesso studiato in riferimento ai suoi contenuti musicali.
Ancora, il latino costituisce accanto all’italiano la seconda lingua nazionale d’Italia. Si scritto e parlato ininterrottamente in latino sino almeno al secolo XVIII e la letteratura in questa lingua prodotta sul suolo peninsulare nel Medioevo e nell’età moderna è d’immense proporzioni. In questo modo, il latino ha rappresentato per secoli una bussola indispensabile anche per l’impiego dell’italiano stesso, specie al di fuori della Toscana. Ancora nel 1824 Giacomo Leopardi poteva giustificare sue scelte linguistiche, non contemplate nel Vocabolario italiano dell’Accademia della Crusca, ricorrendo al vocabolario latino del Forcellini.
Si può quindi sostenere che l’italiano sia a tutti gli effetti latino moderno. Esso deriva dalla lingua latina degli antichi Romani, da cui riprende la maggior parte dei propri vocaboli, il proprio impianto grammaticale e sintattico, il vocalismo. Inoltre, sino al secolo XVIII almeno in Italia si è scritto e parlato ininterrottamente in latino e questa lingua ha servito da modello paradigmatico per quella italiana.

3 commenti:

Marco De Turris ha detto...

Cara Ambra,
ho letto il tuo filone di discussione sulla massoneria. Scusami se non vi ho risposto subito: preferisco riflettere un momento, poiché non conosco molto bene l’argomento. Interverrò il prima possibile.
A presto
Marco

ambra ha detto...

Grazie Marco, tu non manchi mai all'appello; la questione mi stuzzica, perché sempre per certei argomenti ci sono ragioni profonde.
A proposito di lingua invece, penso di mettere qui il link di un articolo, che ho trovato interessante:
http://www.tempi.it/cultura/009230-la-mia-guerra-lessicale-anglo-araba

Marco De Turris ha detto...

Grazie a te, Ambra, e scusami se sono stato così a lungo assente da questo blog.
Dovrò essere più frequente.
Spero che tu stia in buona salute.
Salutami Ilda
A presto