Contrariamente a quanto vuole una vulgata diffusa, il fascismo in quanto tale non perseguitò realmente gli ebrei, ed anzi prima delle leggi razziali numerosissimi ebrei aderirono al fascismo stesso. Anche dopo il 1939, Mussolini ed i fascisti non promossero alcun piano di sterminio nei loro confronti, ed anzi riuscirono a salvare molte migliaia di ebrei dalle deportazioni naziste.
Ben diverso fu invece il comportamento di dittatori comunisti, come Stalin o Tito. Il primo era un antisemita feroce, e progettava lo sterminio e la deportazione di tutti gli ebrei sovietici, ed ordinò personalmente l’eliminazione di molti di loro. Tito fece uccidere diverse migliaia di ebrei, alcuni dei quali dovevano la vita proprio all’esercito italiano ed ad ordini di protezione di Mussolini.
IL RAPPORTO FRA FASCISMO ED EBREI SINO ALLE LEGGI RAZZIALI DEL 1938
Dal nascita del fascismo, il 23 marzo del 1919, sino alle leggi razziali del 1938, i rapporti fra italiani di religione ebraica ed il movimento fascista furono nel complesso più che buoni. Basti dire che la percentuale di iscritti al PNF toccava il 10% dell’intera popolazione ebraica italiana: una quota superiore a quella media dei cattolici. L'anno dopo la stipula dei Patti Lateranensi fu adottata la cosiddetta Legge Falco sulle comunità israelitiche italiane, giudicata favorevolmente dagli stessi ebrei italiani
Numerosi ebrei ricoprirono alte cariche sotto il fascismo. Aldo Finzi, politico, per un certo tempo vicino a Gabriele D'Annunzio nell'Impresa di Fiume, divenne sottosegretario agli Interni del gabinetto diretto da Benito Mussolini e membro del Gran Consiglio Fascista. Dante Almansi ricoprì il ruolo di vice capo della polizia. Guido Jung venne nominato ministro delle Finanze fra il 1932 al 1935
Due generali della Milizia fascista furono ebrei: Maurizio Ravà, che divenne anche vicegovernatore della Libia e governatore della Somalia, e Giorgio Liuzzi, che fu anche uno dei comandanti del corpo italiano di spedizione in Spagna.
Numerosi furono gli ebrei combattenti per il fascismo. Durante scontri con esponenti della sinistra violenta, avvenuti fra il 1919 e il 1922, morirono tre ebrei: Duilio Sinigaglia, Gino Bolaffi e Bruno Mondolfo, poi proclamati “martiri fascisti”. Non meno di trecentocinquanta ebrei parteciparono alla marcia su Roma, e numerosi furono i volontari ebrei nelle guerre di Etiopia e Spagna, con diversi decorati, come Alberto Liuzzi, che ottenne la medaglia d’oro al valor militare.
I profughi ebrei tedeschi, dopo l'avvento del nazismo, vennero accolti senza ostacolo alcuno, ed anzi ottennero da Mussolini condizioni molto favorevoli d’ingresso, mentre altri paesi, come gli Usa od il Regno Unito, ponevano delle restrizioni notevoli all’arrivo d’ebrei tedeschi in fuga.
IL RAPPORTO FRA FASCISMO ED EBREI SINO DOPO LE LEGGI RAZZIALI DEL 1938
1. Le leggi razziali italiane imposte da Hitler. Mussolini non era un antisemita
Le leggi razziali furono sostanzialmente un’imposizione da parte del potente alleato germanico, e trovarono l’approvazione soltanto di una piccola minoranza dei fascisti stessi. Mussolini medesimo negli anni passati si era più volte ed apertamente dichiarato contrario all’antisemitismo ed al razzismo biologico, ed ebbe modo d’affermarlo anche in seguito, durante gli anni della RSI.
Mussolini aveva dichiarato, dalle colonne del Popolo d’Italia (1920): “In Italia non si fa assolutamente nessuna differenza fra ebrei e non ebrei; in tutti i campi, dalla religione, alla politica, alle armi, all’economia . . . la nuova Sionne, gli ebrei italiani, l’hanno qui, in questa nostra adorabile terra.” In seguito, in un suo discorso alla Camera, Mussolini dichiarò (13 maggio 1929): “Questo carattere sacro di Roma noi lo rispettiamo. Ma è ridicolo pensare, come fu detto, che si dovessero chiudere le sinagoghe o la sinagoga. Gli ebrei sono a Roma dai tempi dei Re; forse fornirono gli abiti dopo il ratto delle Sabine. Erano cinquantamila ai tempi di Augusto e chiesero di piangere sulla salma di Giulio Cesare. Rimarranno indisturbati” . Ancora, in un suo discorso in Piazza Prefettura del 6 settembre del ’34, lo statista romagnolo parlò di “trenta secoli di storia che ci permettono di guardare con sovrana pietà talune dottrine di oltr’Alpe, sostenute da progenie di gente che ignorava la scrittura nel tempo in cui Roma aveva Cesare, Virgilio, Augusto”
Nel febbraio del 1944, parlando con il professor George Zachariae, il suo consulente medico, Mussolini respinse le teorie antisemite naziste:: “Io non sono un antisemita […]Non posso approvare la maniera con cui è stato risolto in Germania il problema ebraico, perché i metodi adottati non sono conciliabili con la libera vita del mondo civile e ridondano a danno dell’onore tedesco“.
2. Limitazioni delle leggi razziali italiane
Le leggi razziali italiane non erano assolutamente paragonabili a quelle tedesche, ma risultano molto più moderate. Mussolini disse che dovevano “discriminare, non perseguitare”. Esse inoltre non contemplavano alcun progetto di sterminio, né mai avvennero stragi di ebrei ad opera di fascisti.
E’ bene anche ricordare che le leggi razziali non si applicavano a tutti gli ebrei, ma prevedevano:
“Nessuna discriminazione sarà applicata, escluso in ogni caso l’insegnamento
nelle scuole di ogni ordine e grado, nei confronti di ebrei di cittadinanza
italiana, quando non abbiano per altri motivi demeritato, i quali appartengono
a:
• famiglie di Caduti nelle quattro guerre sostenute dall’Italia in questo
secolo; libica, mondiale, etiopica, spagnola;
• famiglie dei volontari di guerra nelle guerre libica, mondiale, etiopica,
spagnola;
• famiglie di combattenti delle guerre libica, mondiale, etiopica, spagnola,
insigniti della croce al merito di guerra;
• famiglie dei Caduti per la Causa fascista;
• famiglie dei mutilati, invalidi, feriti della Causa fascista;
• famiglie di Fascisti iscritti al Partito negli anni 1919, 1920, 1921, 1922 e
nel secondo semestre del 1924 e famiglie di legionari fiumani.
• famiglie aventi eccezionali benemerenze che saranno accertate da apposita
commissione.”
Ancora, la loro applicazione fu scientemente osteggiata od impedita da fascisti stessi, per la sostanziale assenza di antisemitismo all’interno del PNF. Un attento storico dell’”Olocausto ebraico“, Mondekay Poldiel, egli stesso ebreo, ha scritto: “l’amministrazione fascista e quella politica, quella militare e quella civile si diedero da fare in ogni modo per difendere gli ebrei, per fare in modo che quelle leggi rimanessero lettera morta“. La stessa idea compare nel classico studio di Raul Hillber, “La distruzione degli ebrei d’Europa”: le leggi razziali in Italia rimasero per lo più lettera morta, perché i fascisti stessi non volevano applicarle.
LA PROTEZIONE OFFERTA DAL FASCISMO AGLI EBREI DALLE DEPORTAZIONI NAZISTE
Scrive Rosa Paini, ebrea, nel suo libro “I sentieri della speranza“: “Era la fine del 1939 e nasceva in Italia la “Delegazione Assistenza Emigrati” (DELASEM), un organizzazione ebraica che avrebbe salvato migliaia di israeliti profughi dai Paesi dell’Est Europeo e, in particolare, dalla Germania e dai territori che i nazisti andavano occupando (. . . ) “. La DELASEM nacque il 1 dicembre 1939, come associazione autorizzata dal governo fascista, per iniziativa di Dante Almansi e Lelio Vittorio
Valobra, rispettivamente presidente e vicepresidente dell’Unione delle comunità israelitiche in Italia. Scopo ufficiale era quello di assistere i correligionari stranieri allora profughi e internati in Italia ed agevolare l’emigrazione di almeno una parte di essi. […] gli ebrei stranieri rifugiatisi in Italia risultavano nella maggior parte privi dei più elementari mezzi di sussistenza. Tra il 1939 e il 1943 la DELASEM fu capace di assistere oltre 9000 rifugiati ebrei e di aiutare 5000 di essi di svariata nazionalità a lasciare l’Italia e raggiungere paesi neutrali (in primo luogo la Spagna), salvando loro la vita. Nel 1942 fu costituita a Firenze la “DELASEM dei Piccoli” con lo scopo specifico di dare assistenza ai bambini internati, offrendo loro libri, assistenza medica, giocattoli e vestiti. […] A Villa Emma a Nonantola il delegato DELASEM Mario Finzi in collaborazione con don Arrigo Beccari e il medico Giuseppe Moreale organizzò un orfanotrofio modello che accolse per circa un anno un gruppo di un centinaio di bambini dalla Germania e dai Balcani.”
Diversi funzionari fascisti durante la RSI protessero gli ebrei dalla deportazione: Perlasca (fascista), Guelfo Zamboni (console fascista a Salonicco), Giuseppe Castruccio (anch’egli console a Salonicco), Palatucci (questore di Fiume). Ognuno di questi salvò dalla deportazione migliaia e migliaia di ebrei. Costoro però non furono affatto dei casi isolati: un elenco completo dei fascisti che difesero gli ebrei negli anni 1943-1945 sarebbe lunghissimo, e si estenderebbe per migliaia di nomi. Bastino alcuni esempi.
Ferdinando Natoni, personalità fascista, si fece incontro da solo alle SS entrate nel ghetto di Roma per il rastrellamento, e richiese, ed ottenne, che se ne andassero, rilasciando anzi alcuni ebrei già catturati. Persino Roberto Farinacci, considerato uno dei fascisti più vicini al nazismo, nascose nella sua tipografia due ebrei: Emanuele Tornagli e la signora Iole Foà. Anche Giorgio Almirante, capo di gabinetto del ministro Mezzasoma, poi segretario storico del MSI, nascose in casa sua per due anni un’intera famiglia di ebrei torinesi, quella dell’ingegner Emanuele Levi. Mussolini in persona ordinò l’arresto, durante la RSI, di un gruppo di estremisti che consegnava ebrei ai Tedeschi in vista della deportazione.
UNA GRANDE OPERAZIONE DI SALVATAGGIO DI EBREI DIRETTA DA MUSSOLINI
1. La deportazione degli ebrei in Jugoslavia. Il ruolo degli alleati slavi dei Tedeschi
Come era già accaduto negli altri paesi dell'Europa orientale entrati nell'orbita del Terzo Reich, dopo il 1941 anche in Jugoslavia erano giunti gli «esperti» della VOMI (Volksdeutsche Mittelstelle), l'organizzazione creata da Alfred Rosenberg, il teorico del razzismo hitleriano, per procedere «alla ricerca e al richiamo del sangue tedesco». Questo programma si basava sull’idea, pseudo-storica e pseudo-scientifica, di una “razza germanica”, i cui membri si sarebbero dispersi in Europa, pur conservando al massimo la propria purezza nella “Deutschland”. Pertanto, era possibile rintracciare coloro che biologicamente appartenevano a questo ceppo razziale.
Il compito di questi pseudo-scienziati nazisti consisteva nell'individuare i «puri ariani di origine germanica», ritenuti mescolati nella popolazione locale, al fine di selezionarli e provvedere alla loro ri-germanizzazione. Per raggiungere il loro scopo, i membri del VOMI facevano ricorso a complesse procedure: esame dell'albero genealogico a partire dal 1785, studio delle correnti di emigrazione, e poi naturalmente aspetto fisico, misurazioni antropometriche, specie del viso e della scatola cranica ecc..
Incoraggiati dal dittatore croato Ante Pavelic che rivendicava per il suo popolo, del tutto assurdamente, un'«origine runica» (sic), gli «esperti» del VOMI raccolsero in Croazia un gran numero di presunti “Volksdeutsche”.
Essi ottennero di aggiungere al giuramento di fedeltà a Pavelic anche quello di fedeltà al Fuhrer e di appuntare sull'uniforme uno speciale distintivo con la croce uncinata.
Hitler stesso diede un impulso tale programma, poiché egli, da buon Austriaco, ambiva ad una germanizzazione dei territori sloveno e croato un tempo parte dell'impero asburgico.
L'appoggio di Pavelic alla ricerca di presunti membri della "razza germanica" fra i Croati aveva anche una precisa funzione nazionalistica, (per quanto possa apparire paradossale, essendo il popolo croato notoriamente slavo), che era rivolta sia contro i Serbi, sia contro gli Italiani. Lo stato croato di Pavelic inoltre si distinse per particolare ferocia nei confronti degli Ebrei, non inferiore a quella del III Reich stesso.
2. Aiuto italiano agli Ebrei perseguitati da nazisti e nazionalisti jugoslavi
Le operazioni di rastrellamento e deportazione degli Ebrei in Venezia Giulia e Dalmazia, oltre che nei territori di Slovenia e Croazia, furono appoggiate dai regimi nazionalistici locali e dai movimenti militari che li servivano: domobranci e belagardisti Sloveni, ustascia Croati diedero un grosso aiuto ai nazisti nella “soluzione finale”.
In particolare, lo stato croato di Pavelic rappresentò un caso unico fra i satelliti di Hitler, poiché costituì propri autonomi campi di concentramento per Ebrei (come quello famigerato di Jasenovac), come altrimenti soltanto il III Reich aveva fatto.
Gli Italiani, finché rimasero in Jugoslavia, tentarono in linea di principio di proteggere le popolazioni civili coinvolte in una guerra al contempo esterna ed interna. Ancora nel luglio del 1941, l'ambasciatore italiano a Zagabria, Antonio Casertano, informava Mussolini che si registravano continui incidenti fra italiani da una parte, tedeschi e ustascia dall'altra, «perché le nostre truppe danno evidenti e continue prove di simpatia nei confronti degli ebrei e dei serbi proteggendoli dalle accanite persecuzioni».
Da parte sua, il generale Ambrosio, comandante della 2a Armata, riferiva al comando supremo che “dal mese di giugno in poi la presenza delle truppe italiane è malvista soprattutto perché rappresentano uno scomodo testimone dei selvaggi massacri di cui si vergognano gli stessi croati”.
3. Lo studio di Shelah Menachem
E’ importante al riguardo il lavoro dell'ebreo dàlmata Menachem Shelah: "Un debito di gratitudine Storia dei rapporti tra E.I. e gli ebrei in Dalmazia (1941 - 1943)". Il Menachem, originario della Dalmazia ed in seguito divenuto professore di storia contemporanea all’università di Gerusalemme, spiega come il Regio Esercito salvò una moltitudine di ebrei dàlmati (oltre 10.000), che altrimenti sarebbero stati massacrati dagli ustascia. Non soltanto gli Ebrei furono salvati dal Regio Esercito, ma anche un gran numero di Serbi, scampati alle stragi degli ustascia grazie alla protezione offerta dall’esercito italiano.
Si riporta qui un brano dell’ “Introduzione” dell’opera di Menachem, scritta da Antonello Biagini, ordinario di storia dell’europa orientale a Roma:
“proprio nell'esaltazione del ricordo di quanti hanno tentato di difendere il più a lungo possibile i gruppi di ebrei che avevano trovato rifugio sotto la bandiera italiana - dal governatore Bastianini, al generale Roatta, ai diplomatici Pietromarchi e Ducci fino al ministro Ciano - che il lavoro di Menachem Shelah si viene svolgendo seguendo il cammino segnato dall'ampia documentazione conservata nell'Archivio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito e del Ministero Affari Esteri in Roma. Per l'originalità e attendibilità delle fonti cui attinge, questo volume, che ben si inserisce nella ricca letteratura storica e memorialistica jugoslava e italiana relativa all'Olocausto nei territori jugoslavi, offre una sua risposta ai quesiti che ancor oggi gli studiosi si pongono dinanzi al fatto che, mentre in altri paesi alleati o occupati dalle truppe del Terzo Reich le dimensioni dello sterminio furono più elevate, in Italia e nelle sue zone di occupazione la fase più cruenta della persecuzione antiebraica abbracciò solo i venti mesi che separano 1'8 settembre 1943 dalla fine del conflitto. 1'A. indica nell'opera di solidarietà svolta dal personale diplomatico e dall'esercito italiano - la sola risposta possibile. Mosso perciò dal desiderio di rendere un pubblico atto di ringraziamento a quanti, in quei lontani e bui anni di guerra, salvarono la sua vita e quella di altre centinaia di ebrei, Menachem Shelah riesce a destreggiarsi in una materia così spinosa e complessa”
Il Menachem, ebreo dàlmata poi divenuto professore di storia contemporanea all’università di Gerusalemme, riporta una gran mole di dati interessanti e positivi sulla presenza italiana nei Balcani Egli attesta la difesa delle popolazioni civili serbe dalle stragi compiute dagli ustascia croati:
Parlando di un’area della Dalmazia, il Menachem scrive che “vi vivevano in promiscuità serbi di religione greco-ortodossa e croati cattolici. […] Con l'avvento al potere degli ustascia la situazione cambiò: teste calde croate, sia del posto sia venute da fuori, attaccarono gli insediamenti serbi, saccheggiando e uccidendo con una ferocia inaudita. Le case serbe furono arse, i beni saccheggiati, uomini, donne e bambini messi a morte con terribile efferatezza. Quegli stessi croati che fino a quel momento avevano salutato cortesemente, anche se freddamente, i loro vicini serbi si univano ora all'orgia di sangue. […] I pochi militari italiani restati nella zona erano esterrefatti, e l'orrore da essi provato vedendosi costretti ad assistere a scene così inumane è documentato dalle decine di strazianti rapporti inviati in quel periodo al Comando e a Roma. In uno di tali documenti un ufficiale italiano racconta che dopo che la sua unità ebbe consegnato ai croati il villaggio in cui era accampata, apparve un prete croato che disse di essere il nuovo comandante. L'italiano chiese quali ordini il «nuovo comandante» avesse ricevuto dai suoi superiori e l'ustascia rispose: «Un solo ed unico ordine: sgozzare tutti i cani serbi». L'ufficiale italiano, che in un primo momento aveva creduto che quello volesse scherzare, fu subito inorridito vedendo che i croati già avevano iniziato il macello. In breve tempo tutti i serbi del posto furono uccisi. In quel periodo, gli italiani cercarono di proteggere contro gli ustascia i serbi e gli ebrei locali e in mancanza di direttive ufficiali, i comandi delle diverse unità militari operarono di propria spontanea” (Menachem, Ibidem, p. 41)
L’esercito italiano quindi prestò aiuto e protezione ai Serbi dinanze alle pratiche genocide dei Croati (che sterminarono centinaia di migliaia di Serbi nel conflitto, per lo più civili), sia sulla base di direttive precise delle proprie autorità politiche e militari, sia per iniziativa spontanea dei comandanti locali.
Il Menachem ricorda come gli Italiani, che stavano cercando in ogni modo di salvare gli Ebrei dallo sterminio, furono costretti ad internare alcuni di loro ad Arbe, fingendo di volerli poi deportare nei lager tedeschi. Si trattò di una misura strumentale all'inganno delle autorità germaniche, ma che non comportò perdite di vite umane fra la popolazione ebraica. Il Menachem dedica un intero capitolo al campo di Arbe, ed al buon trattamento ivi ricevuto. “L'internamento degli ebrei nel campo di Arbe provocò, senza dubbio, un peggioramento della loro situazione e inflisse loro un grave colpo. Prima la stragrande maggioranza dei profughi era alloggiata in alberghi, in pensioni e in case private, mentre ora essi si trovarono tutti ammucchiati in un campo approntato in gran fretta, carente di strutture atte ad ospitare a lungo una folla in cui il numero dei vecchi, delle donne e dei bambini era molto elevato. Di ciò non si devono incolpare gli italiani, che avevano fatto tutto il possibile per migliorare le condizioni esistenti nel campo e soprattutto non dobbiamo dimenticare di porre il campo di Arbe a confronto con «i migliorí» tra i Lager tedeschi o i campi croati. Anche ad Arbe l'atteggiamento tenuto dalle autorità nei riguardi degli internati fu cordiale e i comandi preposti al campo fecero tutto il possibile per alleviare le sofferenze dei loro «prigionieri» senza mai interferire nella vita interna del campo, la cui direzione era affidata a persone elette dagli stessi internati fra di loro.”
E’ importante inoltre ricordare ciò che il Menachem osserva sul ruolo dei vertici del fascismo in tali decisioni. Sulla base di un’amplissima documentazione di documenti ufficiali, lettere, telegrammi ecc. egli può dimostrare come Mussolini, il ministro degli Esteri Ciani e molte altre altissime personalità fasciste fossero a conoscenza diretta del salvataggio degli ebrei compiuto ad opera dell’esercito, ed anzi si fossero impegnati personalmente affinché avesse buon fine. Mussolini in particolare si preoccupò di salvare il maggior numero possibile di ebrei dalla deportazione nei lager, e diede precise disposizioni ai comandanti militari della Dalmazia.
Si deve quindi concludere che il fascismo in quanto tale non progettò mai lo sterminio degli ebrei, e neppure li perseguitò, tranne che nel periodo delle leggi razziali, approvate su imposizione tedesca e contrastate dalla stragrande maggioranza dei fascisti, tanto che lo stesso Mussolini evitò di farle applicare con rigore. Inoltre, i fascisti salvarono un gran numero di ebrei dalla deportazione.
Sull'argomento, esiste un'amplissima bibliografia. Basti ricordare Renzo De Felice (il maggior storico del fascismo), Leon Poliakov e Raul Hillberg (due fondamentali storici sull'antisemitismo e l'olaucasto), Shelah Menachem, lo storico israeliano che ha documentato il salvataggio di migliaia di ebrei ad opera di Mussolini e dell'esercito italiano. Sono solo una parte dei molti storici che hanno approfondito l'argomento qui presentato succintamente.
mercoledì 27 gennaio 2010
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