mercoledì 29 aprile 2009

E I NOSTRI MILITARI ADOTTANO LE ORFANELLE


M. P. Gianni
Pubblicato il giorno: 28/04/09
L’orfanotrofio voluto dall’Italia

Shala, dieci anni appena compiuti, da grande vuole fare il dottore. Non ha mai visto sua madre. Ma conosce bene il clima pesante dell’Afganistan, e ha un sogno: diventare una persona importante, in un Paese dove i diritti della donna hanno ancora molta strada da fare. Malgrado la triste condizione del popolo afgano che fatica a risollevarsi, dagli occhi di queste bimbe si legge un messaggio di speranza e di grande rivalsa. Come in quelli di Shala, una delle cento ragazzine dai cinque ai diciott’anni ospitate nell’orfanotrofio “Shahid” di Herat, nella regione ovest, realizzato dal “Provincial Reconstruction Team” (Prt) italiano. È qui che il colonnello Michele Brandonisio ci porta in visita, per mostrare uno dei progetti della preziosa opera di ricostruzione portata avanti dai nostri militari italiani in Afganistan. Soldati che da anni rischiano la vita per aiutare questo popolo a riprendere possesso del proprio territorio. Le bambine ci accolgono gioiose, sono tutte vestite a festa, chi col foulard, chi con una collana speciale. Tutte amano farsi fotografare, le fa sentire importanti. La struttura è accogliente, ampia 470 mq, distribuita su tre piani, con dodici camerette ben ordinate e rifinite ad otto letti, disposti a castello, complete di ogni comfort e con tanti giocattoli. Non manca l’assalto ai dolciumi portati dal colonnello Brandonisio. La struttura mira ad accogliere e formare le donne del domani. Qui si vivono storie davvero incredibili. Come quella di Robbie, istruttrice, 28 anni, senza genitori, che ha conosciuto suo marito, anche lui orfano, in una struttura per i “figli di nessuno”. Oggi è madre di tre maschi e una femmina, che vivono a “Sharid” insieme agli altri bambini. È qui che Robbie lavora, è lei che pensa alla sua famiglia, visto che è vedova da cinque anni: suo marito, è stato ucciso in un’azione militare.

L’orfanotrofio, nel cuore di Herat, è anche una sorta di scuola, qui si studia, si fanno i compiti, si gioca, si guarda la tivù. E ci si innamora. A poca distanza, infatti, c’è la struttura omologa al maschile, e durante i numerosi incontri gioviali, spesso sbocciano anche gli amori.

La struttura è una dei tanti progetti umanitari e di cooperazione realizzati dal Prt italiano. L’unità è costituita da una componente militare dei paracadutisti della Folgore e da un team civile del ministero degli Esteri e della Cooperazione Italiana, che opera nella regione di Herat dal 2005 a sostegno delle istituzioni locali afgane in più campi, tra cui spicca quello della ricostruzione e dello sviluppo.

Il progetto è nato come tutti quelli realizzati dal Prt italiano: su richiesta delle autorità locali, in questo caso il dipartimento per gli affari sociali di Herat. Realizzata in pochi mesi da un’impresa locale, l’orfanotrofio è stato progettato da un ingegnere afgano che lavora per il Prt con la supervisione dei tecnici militari specializzati in cooperazione civile-militare. Una delle priorità è quella di favorire il coinvolgimento delle donne nella società afgana: le scuole realizzate per il ministero dell’Istruzione devono tassativamente avere una sezione femminile e il centro di accoglienza per giovani orfane rientra in questa logica. Per assicurare la continuità del progetto, il Prt italiano coinvolge le autorità competenti affinché non manchino personale e fondi. Ecco perché qui le orfane afgane hanno un futuro, grazie ai militari italiani.

lunedì 27 aprile 2009

AFGHANISTAN-HERAT, NON SOLO UOMINI


A Camp Arena cani 'italiani' contro trappole esplosive

Herat, 27 apr. - (Aki) - (dall'inviato Alessia Virdis) - Snake corre in lungo e in largo tra papaveri ed erba, poi punta verso un cumulo di terra, vicino al ciglio della strada. Si ferma, verifica e segnala: sotto la terra e la polvere dell'Afghanistan si nasconde un ordigno di fabbricazione artigianale. Snake ha individuato l'esplosivo e in fretta torna al sicuro. E' impegnato in un'attività nella base di Camp Arena, a Herat, dove un plotone del Gruppo Cinofilo di Grosseto controlla i varchi di accesso alla base, fornisce attività di supporto alla Force Protection ed effettua attività di ricerca e segnalazione dell'eventuale presenza di esplosivi di tipo Ied (Improvised explosive device) ed Eod (Explosive ordenance disposal).

martedì 14 aprile 2009

ITALIANI CHE CONTANO. (click)


Quegli eroi per mestiere infangati in tv

di Cristiano Gatti

Adesso che hanno smesso di scavare come talpe frenetiche e instancabili, adesso che hanno tirato fuori fino all’ultimo aquilano disperso, è giusto che l’Italia dica il suo grazie più riconoscente ai Vigili del fuoco. Bisogna farlo soprattutto in queste ore, mentre sembra un poco sfumare l’emozione stringente del dramma e mentre sale fastidioso il coro dei processi salottieri. Mi offro volontario per questa operazione gratitudine, che è prima ancora un’operazione verità: avendoli visti all’opera, sento il dovere civico di testimoniare su quale impareggiabile patrimonio di sacrificio e di altruismo, ma anche di organizzazione e di efficienza, questa nostra nazione possa contare in tutti i suoi momenti più critici e in qualunque angolo del suo territorio. E poco male se alla fine di questo elogio pubblico anch’io finirò nella singolare galleria che il buon Travaglio, con consueto garbo da canaro, ha definito «una marea di messe cantate piene di retorica, piene di sciacalli veri».
Come sciacallo vero, sono qui a raccontare con ammirazione, senza stupida retorica, di un tizio veneziano sulla trentina, papà di due bambini e di una terza in arrivo, all’anagrafe Claudio Ippolito. Costui è un pompiere (spero nessuno si offenda se li chiamo ancora così, come ho imparato da piccolo) dal fisico normalissimo, abbastanza magro da far sembrare vuota la tuta da lavoro. Tutt’altro che un Rambo, per essere più chiari. Ma quello che gli ho visto fare in quelle giornate, lui assieme ai suoi compagni, non lo scorderò nemmeno campassi cent’anni. Per ore e ore, il padre di famiglia Claudio si è infilato in pertugi bui e sinistri, tra macerie precarie e traballanti di una casa vicina alla famigerata via XX settembre, cercando esseri umani. Vivi o morti, sperando fossero vivi. Fuori, i colleghi fungevano da catena umana per rimuovere macerie e per mettere in sicurezza la catasta di travi e mattoni. Uno di loro stava sempre con il fischietto in bocca, per avvertire tutti quanti delle scosse che molto più puntuali dei nostri treni arrivavano a seminare nuova angoscia. Ma lui, sempre là sotto. Sparito negli abissi delle rovine, infilato nelle fessure più assurde. Il premio di tanto lavoro, di tanta abnegazione, di tanta generosità, arrivava il martedì sera: dall’inferno della casa, chissà come, usciva ancora viva Eleonora. L’immagine che noi, dall’esterno, possiamo ricordare è quella di un parto. Tale e quale. Il pompiere Claudio che fa da ostetrico e tira con tutte le sue forze, lo stretto pertugio che a un certo punto riesce a espellere una nuova vita. La seconda vita di Eleonora. Quella sera, il pompiere commenta davanti a qualche microfono nel modo più semplice: «Il sorriso della ragazza vale più di qualunque premio. Dà un senso al mio lavoro».
Finita qui? No, non finisce mai nulla, all’Aquila, in quelle ore. Per un disperso ritrovato, altri da cercare. I pompieri si danno qualche cambio, si alimentano, si riposano un minimo. Ma l’azienda delle ricerche non si ferma, tanto meno la notte. La mattina dopo il pompiere Claudio è di nuovo là sotto. La terra trema, noi civili - e anche un po’ conigli - scappiamo in mezzo al prato, ma lui sta sempre là sotto. I suoi compagni, come trepidi fratelli, ad assisterlo in ogni fase del lento scavo. A fine mattinata, altri parti, purtroppo questa volta senza sorrisi: tornano in superficie una coppia di coniugi e l’amica di Eleonora, loro però morti. Nel silenzio funebre, i pompieri portano a termine la pesante missione, senza mascherare il senso di dolore e di sconfitta davanti alla crudeltà del terremoto...
Mi rendo conto che raccontare il lavoro del pompiere Claudio rischia di creare il mito dell’eroe. Ecco, è un errore che voglio evitare. Parlo di Claudio come potrei parlare di tutti gli altri pompieri italiani, e credo di non essere smentito dicendo che qualunque aquilano potrebbe fare lo stesso, testimoniando di quanto lavoro, di quanta qualità, di quanta umanità questo corpo dello Stato sia capace. Mentre Claudio e i suoi compagni cercavano Eleonora là sotto, in superficie ho parlato a lungo con i colleghi del turno di riposo. Mi hanno raccontato la loro vita, i loro problemi, il loro orgoglio. Ascoltandoli, ho scoperto cose molto interessanti. Tanto per dire, qualche dato. I nostri vigili del fuoco sono 32mila, divisi in 22 direzioni regionali, 103 comitati provinciali, 600 distaccamenti e 11 nuclei elicotteri. È un’organizzazione che tutto il mondo ci invidia, perché pensa e agisce come un sistema unico, a livello nazionale. Quando un’emergenza scatta in qualunque zona del Paese, è tutto il sistema, nel suo insieme, a rispondere: se succede all’Aquila, arrivano da Udine a dalla Liguria, dalla Sicilia e dalla Puglia. Neppure i mitizzati vigili del fuoco americani possono vantare un’organizzazione tanto flessibile e tanto sofisticata. Loro, come i francesi, intervengono solo a casa propria. I newyorkesi sono fenomenali, lo sappiamo. Ma quando arriva l’alluvione a New Orleans e il loro intervento servirebbe come il pane, non è previsto intervento: devono arrangiarsi in sede locale. Ognuno lavora nella propria area di competenza. Mentre i sinistrati sognano, senza saperlo, il singolare modello italiano.
Ancora: i nostri pompieri si formano in una scuola nazionale, a Montelibretti, nel Lazio. Tutti i vigili, da Siracusa a Trieste. Sono istruiti allo stesso modo e sanno fare le stesse cose. Sei mesi di addestramento base, altri mesi per le specializzazioni. Imparano persino la psicologia dei singoli interventi, perché soccorrere creature umane non è come spegnere un fuoco o prendere un gatto dalla pianta.
Lo immagino, a questo punto tutti vogliono conoscere la retribuzione. Non c’è mistero: 1.300 euro (mediamente) per i “caschi neri” (diciamo vigili semplici), 1.500 per i “caschi rossi” (capisquadra), 1.700 per i “caschi argento” (funzionari). La richiesta d’arruolamento è biblica: per un concorso di 300 posti - anche in questo caso, i concorsi arrivano col contagocce - possono accumularsi 200mila domande. Spiega Luca Cari, il portavoce dei pompieri: «Certo c’è anche chi lo considera un lavoro come un altro. Ma basta il primo giorno in caserma per scoprire che serve la vocazione». Mi parla di valori, di senso del dovere e di spirito di sacrificio. Sì, anche di orgoglio d’appartenenza: al corpo dei Vigili del fuoco, all’Italia, allo Stato...
Potrei continuare a lungo, ma mi fermerei qui. Tanto dovevo, con il più sentito grazie. Può pure darsi che tutto questo diventi materiale magico per l’iconoclasta Vauro, il satiro di Santoro che per azzeccare una vignetta deve farne dieci (magari, se va a ripetizione da ElleKappa, gli riesce di alzare la media). Può pure darsi che la premiata ditta Santoro&Travaglio, la prossima volta, riesca a dimostrare quanta inefficienza, quanta sciatteria, quanta corruzione si annidino anche tra i pompieri d’Italia. Ma francamente me ne importa poco. Li ho visti all’opera, sotto le macerie, senza tante chiacchiere. Questo mi basta. Lo dico senza acredine: mi sento molto più rassicurato dai pompieri Claudio che dagli incendiari dell’Annozero

domenica 12 aprile 2009

SCRIVO PER VOI RAGAZZI....


Il Signore è risorto, ora aspettiamo che veniate anche voi a dar testimonianza della vostra vita.
Un abbraccio da mamma Ambra

venerdì 3 aprile 2009

AD HERAT (click)

Afghanistan/ Schifani a Herat, oggi arriva la Folgore.

Ci sarai anche tu Pierluigi ?
Benedici e aiuta quei ragazzi.
Ti penso Ambra